Voglio parlare, per tutti gli anni a venire, di quella frazione di secondo in cui i tuoi occhi mutano.
I tuoi occhi iniziano normali. Lucidi e perfetti, come sempre si presentano al mondo.
Che tu vada avanti o indietro, qualsiasi strada tocchi, i tuoi occhi assorbono occhi, in un canto di scontri e di incontri.
E tutto sembra apparentemente normale, tutto sembra appartenere a quel livello di magia accettabile che chiamiamo semplicemente bellezza, così, come per dare un nome a una figlia, ad una madre, che niente racchiude, quel nome, che può solo rappresentare.
Poi tu entri nell'arco della vita mia, quell'arco poco vasto di quello che ormai sono.
E mentre io già scorro libertà nei fianchi e nei capelli, come se ogni cosa che costringe poi finisse col tuo arrivo, con il tuo arrivo che mi traduce in carne... Ecco, mentre io muto per diventare me, in te mutano inequivocabilmente gli occhi.
Ma se la mia è una metamorfosi metaforica metafisica metaqualcosa, la tua è reale, vera, avviene, come un esperimento chimico, come la sublimazione. Così, improvvisamente sei tu, con altri occhi. Cose che non sono nemmeno occhi.
(Hai presente quelle piccole macchinette fotografiche finte, che tu ci guardi dentro e scatti e cambiano le diapositive, e ti scorre ogni angolo di Venezia, o di Firenze, o di una qualsiasi città che stai calpestando in quel momento? Ecco, non so se c'entra, non è così poco nobile questo che invece ti succede agli occhi. Ma per dirti che non sto facendo poesia. Questa è fisica, scienza. È una cosa che posso dimostrare).
Come diventano i tuoi occhi, mi chiederai. Buchi, tubi, cavi, dai quali vedo la tua vita intera. Come spiare la cena silenziosa dei vicini dalla finestra.
Vedo te ad ogni età. I segni della tua crescita sui muri. La colazione prima di andare a scuola. Il fiocco del grembiule. La prima volta che ti sei allacciato le scarpe da solo. Vedo le tue vacanze, i sorrisi alle ragazze calde di sole, i loro seni e i loro denti. I tuoi patti d'amicizia nelle dita.
Poi vedo quel dolore che non ti aspetti e che ti stanca, che non elabori e non demandi, come una rovina che aspetta che il mondo compia il suo giro per precipitare.
Vedo il contrappeso della mia esistenza, che manda segnali al mondo per fermare la rovina, sempre così umida di congiuntivi, mai un presente.
Che piange ciò che odia, che ti porta in tutte le giunture delle ossa.
L'istante esatto che i tuoi occhi diventano distese, con cielo ed eterno a grandezza naturale, in scala 1:1 sulle mie coperte.
E a me sembra di essere una catasta di cellule che cade goffa nella fede cieca della tua terra, che mi accoglie riparandomi dai lupi, ed io sono la nascita, l'apice, la verità. Sono una spanna più su di quella giovinezza che mi manca solo quando manchi tu.
Il casino che succede quando mutano i tuoi occhi. Ed il nero che casca rotto quando me li togli.
Il nero, tu lo sai, prolunga tutto e fa l'orlo ai sogni.
Ma i tuoi occhi mutano, e muta il tempo.
Diventa Tutto, ovunque tu sia.