Si è da poco conclusa a Modena presso il nuovo spazio MATA un’interessante mostra curata da Fulvio Chimento e Luca Panaro. Mata, acronimo di Manifattura Tabacchi, è il nuovo spazio dedicato alla cultura creato dal Comune di Modena per ospitare eventi culturali di ampio respiro. La mostra Effimera. Relazioni disarmoniche ha ospitato opere di Eva e Franco Mattes, Carlo Zanni e Diego Zuelli portando in città una mostra di sapore internazionale.Il titolo si ispira alla specie animale che ha la vita più breve sulla terra, l’Ephemera, un curioso insetto acquatico (simile a una libellula) la cui esistenza dura circa un’ora e mezza. “Effimera è una mostra dal taglio sperimentale dedicata alla New Media Art che concentra il proprio interesse su artisti italiani nati negli anni Settanta che utilizzano un apparato tecnologico fortemente innovativo”. Abbiamo incontrato i curatori per approfondire direttamente con loro alcuni aspetti.
Com’è nata l’idea di questa mostra? Quali sono oggi le possibilità della New Media Art?
Effimera prende ispirazione dalla volontà di dare slancio a un percorso critico legato all’interazione tra arte, tecnologia e comunicazione. Arte intesa come aggiornamento continuo del presente, in cui l’artista, che padroneggia sofisticate strumentazioni tecnologiche e conosce le dinamiche legate alla comunicazione dei nuovi media, torna a rivestire un ruolo guida all’interno della società. Una delle caratteristiche di Effimera è costituita dalla convivenza di opere legate alla New Media Art inserite in un percorso espositivo (di 500 mq) che potremmo definire “immersivo” e “quasi ambientale”. Le potenzialità della New Media Art sono enormi, poiché essa sposta l’indagine artistica quasi esclusivamente sul contenuto, il messaggio, affrancandosi da condizionamenti estetici legati alla produzione del manufatto artistico, e offrendo spunti che permettono di interrogarsi su quale sia oggi il ruolo dell’arte e della critica calati nella società.
Potete raccontarci alcune opere significative ospitate nella mostra?
Uno degli scopi degli artisti in mostra è contribuire a mantenere “selvaggio” lo spazio creativo del web, inteso come luogo in cui è possibile comunicare “stellarmente”: arte come sistema di segnali che i viandanti si lanciano nella notte, avrebbe detto Nietzsche, in riferimento al fatto che l’arte unisce a distanza gli “stranieri”, ovvero chi non si conosce. Ogni artista ha portato in mostra almeno un lavoro inedito, tra questi Image Search Result (2016) di Eva e Franco Mattes riflette sul tema del data mining, il sistema di analisi dei dati che permette alle multinazionali di intercettare e condizionare l’indicizzazione dei link sui nostri pc. Carlo Zanni presenta Dany the Father & Refuse Thy Name (2016), in cui un iPad in cerca di siti realizzati in Flash viene installato a parete all’altezza di 250 cm da terra, ovvero l’altezza dell’artista sommata a quella del figlio: l’osservatore si trova quindi nella posizione di un bambino che ascolta parlare suo padre, ma qui al ruolo paterno si sostituisce in modo ambivalente la tecnologia. Diego Zuelli, in 8 minuti luce (2016), opera in computergrafica 3D, dà vita a una proiezione: un sole in lenta e continua rotazione per otto minuti (il tempo impiegato dai raggi solari per raggiunge la Terra) lascia il posto al bianco assoluto. L’artista allude a quella dimensione ipnotica di cui è vittima lo sguardo nel momento in cui entra in relazione con un media.
Contrariamente ad altre città che hanno visto diminuire budget e attenzione per l’arte contemporanea, Modena sembra andare controcorrente. In questa prospettiva Effimera potrebbe diventare un appuntamento annuale o biennale dedicato alla New Media Art?
Modena è una città che nel corso degli anni ha dimostrato di saper sostenere slanci innovativi, e lo dimostra anche in questa occasione: è una delle prime volte in Italia che una mostra dedicata alla New Media Art viene ospitata all’interno di un museo pubblico. Al momento non abbiamo particolari certezze ma la nostra speranza è che la collaborazione con il MATA possa proseguire in stretta sinergia. Effimera, infatti, ha un vasto potenziale attrattivo, di livello nazionale e internazionale. Nella sua prima edizione è stata in grado di catalizzare l’interesse della critica specializzata e della stampa, ma ha destato anche la curiosità dei non addetti ai lavori; speriamo dunque di poter proseguire su questa strada. È altrettanto forte però il desiderio da parte nostra di concepire Effimera come una piattaforma più ampia che possa valicare le mura di una città, assumendo a seconda delle circostante forme e significati differenti.
Uno degli aspetti più interessanti della mostra è stato anche il rapporto tra spettatore e opera, cioè tra fruizione dell’opera e spettatore. Quanto è importante comunicare e stimolare un atteggiamento consapevole e anche critico nell’organizzazione di una mostra d’arte?
È stato piacevole osservare e interagire col pubblico di Effimera perché, a differenza di altre mostre, il pubblico si è sentito al centro di una grande installazione, nonostante la distinzione di stile e contenuto dei rispettivi artisti. Più utente che spettatore, il visitatore è stato coinvolto a 360°, stimolato da immagini e suoni, ma anche incontri inaspettati, il percorso di mostra è stato un crescendo di consapevolezza acquisita su tematiche strettamente contemporanee. Le urgenze e la fragilità dei nostri tempi, mediate da un dispositivo tecnologico, sono state protagoniste dell’esperienza di mostra.
Possono le nuove tecnologie aiutare l’arte ad avvicinare fasce di cittadini che da sempre si sentono esclusi dall’arte in quanto espressione di una classe privilegiata?
Organizzare un’esposizione di opere equivale oggi più che mai a mandare dei messaggi che abbiano una forte ricaduta sul presente, oltre che a mostrare in rassegna le opere degli artisti. In questo Effimera ha colpito nel segno, avvicinando un pubblico ignaro di certi fenomeni, che si è rapportato alla mostra come fosse un’estensione della propria quotidianità. Quindi sì, i new media possono avvicinare, lo fanno perché ormai quasi tutti li sanno usare per scopi utilitaristici, quindi intriga valutarne nuovi usi e possibilità che soltanto gli artisti sono in grado di articolare. Perché è questo che fa l’artista, usa il mezzo destrutturandolo rispetto al suo utilizzo abituale. Ciò che l’arte ancora stenta a fare, ma presto dovrà ravvedersi, è la creazione di nuove piattaforme per la fruizione e la vendita delle opere, che andranno a sostituire l’ottocentesca liturgia che ancora oggi accompagna il mondo dell’arte.