Ho ascoltato Alessandro Lanzoni la prima volta al Serravalle Jazz nel 2006, pochi giorni dopo la sua licenza media. Nessun errore: aveva appena passato l’esame di terza ed era già una promessa del jazz italiano. Aveva da poco pubblicato un disco con la Philology in coppia con Ares Tavolazzi al contrabbasso e in cui faceva capolino nientemeno che Francesco Cafiso al sax contralto. Sulla copertina di quell’album c’era la foto di un bambino, che è quello che era allora. Oggi Alessandro non è più una promessa del jazz, non è un ragazzo prodigio da cui ci si aspetta un futuro da protagonista, oggi è una realtà del panorama musicale italiano. Suona qui e all’estero, in contesti sempre più prestigiosi, nel 2013 ha vinto il Top Jazz come artista emergente, e nel 2015 ha ricevuto il premio Renato Sellani dalle mani della vedova del grande pianista milanese, sempre al Serravalle Jazz.
Diversions è il terzo album pubblicato per l’etichetta CamJazz, una delle più serie in Italia e non solo, ed è il primo lavoro per solo piano. In realtà tecnicamente non è così, perché lo stesso Lanzoni compare anche nella vesti di violoncellista, ma la sostanza del disco è incentrata sulla sensibilità e il talento di Alessandro davanti ai tasti bianchi e neri. Musicista con solide basi di studio, impegnato in una continua ricerca personale, Lanzoni è quanto di più lontano dal velleitarismo si possa immaginare. A questo punto della sua carriera, nonostante la giovane età, può permettersi di esprimere la propria creatività in modo personale, anche attraverso le improvvisazioni, che nascono dalle molte suggestioni musicali e culturali che incontra quotidianamente, ma sono sempre saldamente ancorate alla formazione classica e alla scuola jazzistica frequentata suonando ormai da anni con alcuni dei migliori musicisti italiani ed europei (Roberto Gatto per dirne uno). La curiosità, l’umiltà, e la capacità di confrontarsi con i più grandi fanno il resto. Non per nulla nell’ultima apparizione di Keith Jarrett a Firenze, al teatro dell’Opera, Lanzoni era seduto qualche fila davanti a me, entusiasta di quanto stava ascoltando.
Giganti come Jarrett naturalmente non vanno imitati, e Lanzoni non lo fa, ma vanno conosciuti, apprezzati, fatti propri, salvati in archivio. È così che si riesce a mettere insieme un album con otto brani originali e due standard come Pleasent time di Lowell Libermann e l’immortale All the things you are di Hammerstein e Kern, entrambi eseguiti magnificamente. È così che si trova una sintesi riuscita tra fantasia e forma compiuta. Si va dal lirismo rarefatto di Traces of life ai nodi da sciogliere di Unespected errors, dalle atmosfere notturne di Diversions alla poesia delicatissima di Room of definitive affections, fino agli spigoli di Ankward invasions, che alla fine si incastrano in un mosaico affascinante.
Lo stile e la musica di Alessandro Lanzoni sono contemporanei, non dimenticano l’evoluzione del jazz degli ultimi decenni e allo stesso tempo mostrano la frequentazione, il rispetto, e perfino l’amore per i compositori e i musicisti della tradizione. Diversions è un passo deciso in direzione della maturità: il primo disco di piano solo non è un momento qualunque in una carriera. E questo momento della carriera di Lanzoni merita grande attenzione.