Per comporre alcune delle inimicizie internazionali più deleterie del momento, bisognerebbe resuscitare Odoardo Beccari e poi clonarlo. Altro che ambasciatori e servizi segreti: alla causa della sicurezza del mondo servirebbe un battaglione di odoardi beccari dai sistemi risolutivi. Botanico ed esploratore, il fiorentino Beccari (1843-1920) viaggiò in luoghi dai quali di solito non si tornava e divenne amico dei tagliatori di testa del Borneo, tipi notoriamente poco malleabili, dei cannibali della Nuova Guinea, pure loro non propensi alla socievolezza e dei famigerati predoni della Dancalia.
Il naturalista più importante d’Italia, insieme a Filippo Parlatore, era animato da quella che si definisce un’inesauribile sete di conoscenza sostenuta da ardimento, ma leggendo le sue memorie di avventura e incrociando i suoi occhi nelle foto ottocentesche è lampante che il senso dell’umorismo all’inglese e uno sguardo di quelli che fanno pensare all’avversario "attenzione, questo è più pericoloso di me" lo resero speciale e capace di incontrare senza danni gente parecchio aggressiva, quella che Salgari descrisse, ma non frequentò.
Degli antropofagi Karon Beccari scrive: “Essi però non mangiano che i loro nemici”. Rassicurante, no? Prima di affondare tranquilli nel sofà, tuttavia, è meglio leggere il seguito: “Vero altresì che tutti quelli che non sono della loro tribù sono nemici”. Alla prospettiva di imbattersi nei tagliatori di teste, avvistati in zona prima del suo arrivo: “Per parte mia sono convinto (dall’impressione generale che faccio a chi tra loro mi vede per la prima volta) che basta la mia barba per farli fuggire. Probabilmente nessuno di essi ha visto ancora un uomo bianco, e molto meno uno con la barba lunga”. Anche quando sa di avere alle calcagna popolazioni indigene che lo detestano non si scompone, anzi registra la propria caratura: "Si diceva che più di 500 Alfuros provenienti da Amberbakin si erano riuniti per circondarmi. I Papua devono avere una discreta paura di me, se per prendermi con cinque uomini hanno bisogno di riunirsi in 500!".
Bisognava poi difendersi dai locali in versione accogliente, quelli alla Cesare Pascarella, il poeta in romanesco della Scoperta dell’America, “fregni buffi, co’ la testa dipinta come fusse un giocarello, vestiti mezzi ignudi”. Sfinito da certi festeggiamenti tutte conchiglie, danze, ossi decorativi ai lobi e abbracci del Buon Selvaggio, Beccari riferisce: “Siamo stati ben contenti quando ce ne siamo liberati, quantunque per un poco ci abbiano grandemente divertiti”.
Paolo Luzzi, responsabile del Giardino dei Semplici di Firenze, con Pisa e Padova l’orto botanico più antico del mondo, conferma il ritratto del naturalista: “Famosissimo per le palme e l’erbario, l’Erbario Beccari, il più grande d’Europa, era un tipo carismatico, molto autorevole che si faceva obbedire da tutti. Dormiva sempre con il fucile carico e assoldava persone in loco affinché lo aiutassero nelle ricerche”. A Firenze, nel giardino del Castello del Bisarno in Pian di Ripoli, un edificio del 1200 con rifacimenti vari fino al 1700, prosperano ancora piante portate da Beccari. Luzzi spiega, in uno studio con Giovanna Cellai Ciuffi, Fernando Fabbri e Andrea Grigioni: “[…] Con il passare dei secoli, quando l’ampliarsi degli orizzonti geografici permise esplorazioni in paesi sempre più lontani e diversi, numerosi personaggi di notevole rilievo nel campo scientifico-naturalistico organizzarono apposite missioni e partirono alla volta di esotiche destinazioni per raccogliere esemplari sconosciuti che sarebbero stati in seguito introdotti in giardini e parchi privati, non solo per abbellimento ma anche per studiarne le capacità di acclimatazione alle nostre latitudini. Verso la metà del XIX secolo questa tendenza culturale raggiunge il suo massimo sviluppo e si arriva quindi alla realizzazione di giardini particolari in cui l’obiettivo preminente è proprio la ricerca sull’adattabilità delle piante esotiche […]. Odoardo Beccari vive pienamente tale evoluzione culturale dei giardini. La sua natura esuberante risente in gran parte del fascino dei viaggi avventurosi e la sua ricerca si rivolge soprattutto allo studio dei fiori del paesi allora più sconosciuti, come Borneo, Sumatra, Nuova Guinea”.
Nel giardino di acclimatazione di Beccari si sono acclimatate la palma cespitosa Nanorrhops ritchiana che nonostante lo choc subito nel gelido inverno del 1985 è rigogliosa e con molti polloni vegetativi alla base, non sembri secondario: questi polloni mandano in sollucchero gli studiosi. Verdeggiano poi i Trachycarpus fortunei, il Trachycarpus caespitosa, la Jubae chilensis, il Chamaerops humilis. “Penso che le piante portate da Beccari siano sopravvissute quasi tutte - aggiunge Luzzi -. Il giardino è piccolo, esposto a mezzogiorno, sennò la pianta grassa, la Carnegiea sp., non sarebbe così”. È talmente gigantesca che si è dovuta cospargerne la sommità di pece per evitare che sfondasse il tetto. In un’aiuola fioriscono i tulipani che richiamano una specie individuata da Beccari studente a circa quattro miglia da Lucca e descritta nel 1861 da Cesare Bicchi come Tulipa beccariana: […] perché scoperta dal signor Odoardo Beccari, valente alunno del nostro collegio, erborando in compagnia del reverendo signore Ignazio Mezzetti, amatore anch’egli della botanica e della storia naturale”.
Finiti i suoi viaggi, durante i quali scoprì anche la temibile, olfattivamente parlando, Amorphophallus titanum, la più grande infiorescenza del mondo, Beccari si sposò ed ebbe quattro figli maschi. Pubblicò le sue memorie Nelle foreste del Borneo. La moglie del nipote del botanico abita ancora al Castello del Bisarno e racconta: “Odoardo Beccari era un uomo molto ruvido, ma adorava la famiglia, era attaccato ai figli, soprattutto a Baccio che era simpatico e viveva a Radda in Chianti. Era molto malato e il padre lo accompagnava ai bagni di Asciano. La responsabilità del giardino significava molto per me, me ne occupavo e quando moriva una pianta era un cruccio. Guerrino il giardiniere, sua moglie tata di mia figlia…”. La signora, tanto graziosa e spontanea, racconta anche che per Beccari furono molto importanti gli incontri con i Doria e Sir Charles e lady Margaret Brooke, rajah e rani bianchi di Sarawak.
Il bisnipote di Beccari Carlo Giuseppe Maggioni invece abita vicino a Milano con la moglie Roberta e si capisce che il castello, dei Capponi fino a quando il padre di Odoardo lo comprò nel 1838, è un’eredità piena di incombenze: “Ma c’è un orgoglio di tipo familiare, ed è una gioia che lo provino anche i nostri figli, uno dei quali si è appassionato alla storia della famiglia”. Maggioni ricorda: “Quand’ero bambino c’era la campagna tutt’intorno. Qui si faceva il miele, le galline razzolavano e il mantenimento era affidato a due mezzadri”. Adesso tutt’intorno c’è la città, ma il castello è un po’ nascosto: se non te lo vai a cercare, con una piccola esplorazione metropolitana, non ti accorgi nemmeno che esiste. La campagna c’è ancora nel Chianti, a Radda, la Fattoria Vignavecchia produce vino, Riserva Odoardo Beccari inclusa.