L’autunno è una stagione molto difficile per i girovaghi dei festival musicali di agosto. Appena sfumata l’estate, di solito un periodo di spostamenti e ascolti formidabili, mentre vanno in scena le "prime" dei grandi teatri italiani, da seguire, vedere e criticare con il pathos necessario, l’autunno è il tempo della progettazione dell’agosto successivo, dei dubbi amletici, delle consultazioni fra amici, delle decisioni coraggiose, degli strappi polemici, delle rinunce, dei conti economici, della caccia ai biglietti introvabili, sempre trovabili, in realtà, la sera stessa dello spettacolo. Spesso a pochi soldi. Ma l’ansia del viandante sonoro deve essere placata mesi in anticipo, con il possesso del lasciapassare. Per poi avvertire i palpiti sublimi delle dimenticanze, delle perdite, del "dove l’ho messo?".
Quando la luce si attenua e l’aria fredda comincia a insinuarsi nelle case i festival di Salisburgo, Lucerna, Bayreuth, Glyndebourne, luoghi prediletti da molti appassionati, sfoderano il cartellone dell’estate a venire. Per il viaggiatore dello spartito da quel momento la vita diventa un inferno, un folle dibattersi fra opera e sinfonica, fra opera e opera, fra concerto e concerto. Quasi vorrebbe che i programmi fossero di levatura media per provare desideri non brucianti e, soprattutto, non sovrapposti. Come si fa, infatti, se un bel giorno Pierre Boulez dirige a Lucerna mentre Mariss Jansons dirige a Salisburgo e Christian Thielemann a Bayreuth? I programmi proprio scadenti non se li augura nessuno, anche se hanno il vantaggio enorme di: 1) far risparmiare un sacco di quattrini 2) far sfogare i malumori sulla contemporaneità e il decadimento della cultura, pratica nichilista alquanto gradevole. I programmi favolosi sono quelli più impegnativi, ma quando si compone il mosaico… Ah, che delizia, dopo la croce delle incertezze. In questi giorni di inizio anno si devono compiere gli ultimi passi: le richieste di biglietti di Salisburgo, per esempio, vanno fatte entro il 9 gennaio. Il 2013 si annuncia più ghiotto e insieme più spinoso perché Giuseppe Verdi e Richard Wagner ebbero l’infelice idea di nascere nel 1813 e quindi dividono, di malavoglia postuma, un anniversario le cui celebrazioni avvengono sul crinale costante dell’oltraggio. Verdiani e wagneriani già si accapigliano, vedi inaugurazione della Scala con Lohengrin, su quale dei due musicisti abbia la precedenza nei calendari dei teatri di tutto il mondo.
Dopo aver fatto le domande non resta che attendere il verdetto delle biglietterie: i biglietti concessi, il loro costo, la loro qualità. Bisogna considerare che i posti sono buoni a seconda: è indispensabile vedere le mani del pianista; in alto si sente bene, ma si vede peggio; è bello stare seduti sotto l’organo per seguire la musica sul volto del direttore d’orchestra, ma il suono è un disastro. Le espressioni del viso di Claudio Abbado, anzi Claudio tout-court, sono una vera e propria guida all’ascolto. Un buon sistema adottato a Lucerna è quello di assistere alla prova generale sotto l’organo e poi farsi un doppia dose di concerto, prima e seconda serata, in una delle gallerie. Anche questo metodo, tuttavia, non è scevro da recriminazioni: dopo aver provato l’acustica dei posti "veri", ("anche se come si sente a Berlino in nessun luogo", questo il ritornello), si rimpiange di averci rinunciato. Anche solo per una volta.
Bayreuth, a modo suo, è il festival più schietto. Wagner lo fondò fuori mano affinché fosse elitario, il contrario del cinema multisala di oggi, dove uno entra a caso, scegliendo il film per l’orario. Ed elitario è rimasto, soprattutto nell’antipatia che è pressoché unica. I biglietti te li danno dopo dieci anni che li chiedi, si capisce che ti fanno una concessione, durante gli atti delle opere ti chiudono dentro a chiave e il pangermanesimo permea l’atmosfera. Si sa che anche Wagner non brillava per simpatia, solo che era un genio e ha scritto musica che crea una tale aspettativa interiore eppoi un tale appagamento da inchiodarti alla poltrona per ore, giornate nel caso del Ring completo.In sintesi se Bayreuth ti dice no, e ti dice no quasi sempre, puoi tirare un sospiro di sollievo, anche perché dei cinque allestimenti delle opere annuali in genere non se ne salva nessuno. Se ti dice di sì ti fiondi, ubriaco di emozione, dimentico delle regie insultanti, originali a ogni costo, che ti sei sorbito in passato e terrorizzato all’idea di dover aspettare per altri due lustri.
Salisburgo, da dove il figlio più illustre Wolfgang Amadè Mozart fuggì a gambe levate, e si crede che oggi farebbe lo stesso, di solito non mente per varietà e livello. Ospita anche il festival di Pasqua il che complica la vita già complicata dei seguaci. Trovare i biglietti non è l’impresa più liscia della terra, anche perché c’è anche una consistente mondanità con molte presenze di facciata, ma mancano gli atteggiamenti iniziatici di Bayreuth: con abilità, perseveranza e buone relazioni ci si può andare anche ogni anno. E c’è anche la Sacher torte.
Il Festival di Lucerna è stato fondato da Arturo Toscanini e rilanciato da Claudio Abbado. I biglietti per i concerti del maestro sono difficili da trovare. Il festival, benché esente dagli atteggiamenti miracolistici di Bayreuth e dagli snobismi salisburghesi, deve infatti contentare: il circolo degli Abbadiani itineranti, gli abbadiani itineranti in proprio, personaggi che non si placano con un concerto solo, ma vogliono assistere a ogni replica, e il pubblico normale che, comunque, per Claudio tout-court applaude fino a spellarsi le mani.
Glyndebourne è l’Inghilterra fatta festival. L’auditorium sorge nella campagna del Sussex, accanto alla villa che fu dei fondatori, lord e lady Christie, e in uno degli intervalli dell’opera, che dura all’uopo più di un’ora, si fa il pic-nic sul prato all’inglese, in mezzo a ciuffi di fiori inglesi, disordinati per finta, variopinti e terribilmente Jane Austen. I biglietti sono quasi impossibili da trovare, ovvio. La spocchia non c’entra: a Glyndebourne non c’è nessun compiacimento, solo la naturalezza. I signori arrivano in smoking, le signore in abito lungo, con la cesta delle cibarie in mano, il plaid o il tavolino, le sedie pieghevoli. Piove quasi sempre, è questa l’incantevole assurdità.