Suor Claudia Biondi, responsabile dell’area “Maltrattamento donna” della Caritas Ambrosiana, dal 1994 si batte contro lo sfruttamento della prostituzione e contro il traffico di organi e adozioni, con un servizio di ascolto, un presidio legale e una comunità di accoglienza.
Cosa si sente di raccontarci di lei?
Complessivamente mi sento una persona felice, faccio ciò che amo, la mia vita è in compagnia di tanta gente di “buona volontà”, credenti e non, con cui condivido il sogno e l’impegno a realizzare un mondo più giusto, più equo, più felice per tutte e tutti. Mi sembrano molte le occasioni di “gioia” da grossi avvenimenti alle “piccole gioie” della quotidianità… tra i grandi avvenimenti c’è l’elezione di Papa Francesco con il suo stile e i suoi contenuti, la sua scelta di andare a Lampedusa e di incontrare i profughi superstiti del terribile naufragio… mi sento maggiormente a casa nella Chiesa e sento di poter osare di più, di poter sperare che davvero il mondo possa cambiare in meglio… non ci sono limiti all’azione di Dio! Se non credessi all’azione di Dio nella storia e non credessi fermamente che ognuno di noi contribuisce con la sua “vita minima” a rendere la terra più buona, perderei il senso del vivere. Le delusioni più dure le ho ricevute dal contesto socio-politico, vengo dalla generazione del ‘68 e ho coltivato grandi speranze di cambiamento … oggi una classe politica spesso incompetente e priva di vera passione per il bene comune “fa il paio” con l’ottusità di tanta gente chiusa nel proprio egoismo, si genera così valanghe di sofferenza e di ingiustizia, pensando di difendere il proprio benessere… Accanto ai grandi scenari c’è poi la mia “vita minima” e allora una buona cena con amici è motivo di piacere, ma anche una discussione che va in profondità o il silenzio della cappellina di casa mia; i dolori più forti sono legati alla perdita di persone care, la speranza consola ma il presente dei lutti morde “la carne”…
Pensando alla donna di oggi: possiamo parlare di liberazione, integrazione, o…
Credo che si possa parlare di un cammino di liberazione trasversale e progressivo a livello globale. Le tradizioni, gli stereotipi, le paure, le leggi scritte e quelle assimilate ci attraversano e ci assorellano, ma posso dire che i passi di chi è passata prima, sono le tracce per chi viene dopo anche se non sempre sono distinguibili o riconosciute. In un contesto multiculturale come quello attuale, qui a Milano, i termini liberazione, integrazione, schiavitù, diversità, benessere, povertà estreme sono tutti intrecciati; nel microcosmo milanese convivono donne di tutte le razze e condizioni; molte donne immaginano che il mondo sia circoscritto alla loro propria esperienza e che il femminismo sia superato dall’aver raggiunto alcuni obiettivi: poter far carriera, libertà di movimento, accesso alla cultura, relazioni libere… ma nel parchetto vicino a casa la notte si piantano le tende e le donne che lì sono accampate con la famiglia, vivono “niente” degli obiettivi raggiunti e neppure le ragazze che vendono il loro corpo sulle strade.
Come rappresenterebbe il rapporto donna-uomo?
È l’incontro con l’alterità, l’esito di questo incontro dipende dai due: la sintonia della ricerca del modo di volersi bene, il rispetto reciproco, il piacere di stare insieme, l’attrazione, una visione almeno un po’ comune delle cose importanti della vita… credo sia un gran mix che però richiede sempre, a mio avviso, una fedeltà e una sincerità di fondo. Mi rendo conto che parlare di fedeltà e di sincerità nelle relazioni sia un po’ in controtendenza, tuttavia il tradimento diventa sempre una pietra di inciampo. Mi viene in mente una vecchia canzone di Gaber che dice: Il mio amico voleva impostare la famiglia in un modo nuovo e disse alla moglie "Se vuoi, mi puoi anche tradire". Lei lo tradì lui non riusciva più a dormire.
Cosa significa per una donna scegliere di diventare una suora?
Significa realizzarsi in solitudine, nel senso di non avere un uomo accanto con cui confrontarsi a distanza ravvicinata, solitudine che è anche libertà. Anche per me è un cammino di presa di coscienza e di liberazione, infinito nel senso che non c’è una meta, non devo arrivare da nessuna parte. Quando parlo di presa di coscienza faccio riferimento al rapporto con Dio e quindi all’ascolto della Parola delle Scritture, del Vangelo. La Parola di Dio è il riferimento, desiderato come unico, ma poi vissuto con tutti i compromessi e i condizionamenti, le paure di giocarsi, … quindi presa di coscienza significa sforzarsi di capire, di discernere, cosa sto vivendo e dove sto andando, è comunque il senso dei voti che le suore (anche i frati, … ) fanno, i tre voti di povertà, castità e obbedienza sono strumenti di libertà: dal possesso delle cose, delle persone, del proprio giudizio e volere come unico.
Come si giocano gli affetti relazionali?
L’affettività entra in tutto, se si sta bene con le persone, e particolarmente bene con alcune si è felici: le relazioni, il voler bene sono fondamentali, la Parola più importante del Signore Gesù è “amatevi gli uni gli altri” quindi non si vive senza amare. Nella mia esperienza vivo alcune amicizie che sono fedeli, durature, calde e poi ci sono gli affetti familiari, un porto sicuro sempre. Poi ci sono le altre suore del mio Istituto e con alcune ci sono dei bei legami affettuosi e profondi.
Si è fatta suora per “un bisogno di radicalità, di verità assoluta … ”
Senz’altro la mia scelta è stata dettata da un bisogno di radicalità, avevo bisogno di orizzonti ampi e contemporaneamente profondi e volevo partecipare alla costruzione di un mondo più giusto, più bello, più libero…”I have a dream”. La passione per la giustizia mi ha sempre accompagnata, e non una passione teorica, ho sempre avuto bisogno di vicinanza, di condividere un po’ da vicino le situazioni di povertà e di ingiustizia, stando concretamente con le persone.
Fa parte della Caritas Ambrosiana, ce ne può sintetizzare le finalità e i progetti?
Organismo della Chiesa milanese, ha la finalità di promuovere la carità dell’intera comunità ecclesiale diocesana. Il rispetto per la dignità umana, l’accoglienza dei più poveri e dei più vulnerabili, l’impegno per la giustizia e la pace sono i principali valori che porta avanti sia nel lavoro pedagogico/culturale che nelle azioni concrete. I progetti della Caritas sono molti, dalla dimensione internazionale a progetti per gli immigrati, i gruppi rom, il maltrattamento domestico, …, altri ambiti sono l’impegno formativo a ampio spettro, la promozione del volontariato, attività di sensibilizzazione e informazione… non da ultimo un impegno più politico, interagendo con le diverse istituzioni e la società civile. L’impegno che Caritas porta avanti è quello di una presenza diffusa, competente, dialogante, attenta ai bisogni dei più poveri.
Si può parlare all’interno della Chiesa di femminismo, e come?
Anche all’interno della Chiesa, la dimensione del femminile sta giustamente emergendo; ci sono teologhe, bibliste, studiose che portano un pensiero specificamente femminile, anche a livello storico emergono figure di donne al centro di grossi cambiamenti, di stili di vita innovativi…
Quali sono state le esperienze, gli incontri, le riflessioni, le emozioni che l’hanno spinta a dedicarsi alle donne che si prostituiscono?
Ho fatto la tesi in Servizio Sociale, nel 1979, sulla prostituzione; in quegli anni ci si illudeva che la prostituzione avesse perso il proprio appeal… siamo state richiamate bruscamente alla realtà all’inizio degli anni ’90 con la comparsa di giovani donne straniere sulla strada. Nel 1994 abbiamo aperto una casa per accogliere donne maltrattate, la prima donna accolta è stata una giovane uruguayana che scappava da un giro di prostituzione, contemporaneamente una parlamentare europea, Paola Colombo Svevo, ci sollecitò a fare un convegno di denuncia della situazione di traffico di giovani donne, nigeriane e albanesi soprattutto, costrette a “battere” sulle strade europee e italiane. Da allora ho avuto il coordinamento dell’area tratta e prostituzione in Caritas.
Dalla sua esperienza qual è il bisogno profondo che “affama” le prostitute? Quale cibo nutritivo si può offrire a una mente-corpo così deprivata e sofferente?
Il bisogno più profondo è di relazioni gratuite, proprio il contrario di ciò che abitualmente vivono: soldi in cambio di una prestazione sessuale nella quale chi è veramente ognuna di loro non interessa affatto. A volte in strada, le donne mandano via i clienti per poter parlare con le operatrici, per bersi un thè in pace e parlare; è un vero bisogno essere considerate persone e non corpi da usare, non essere giudicate e insultate; affetto, cura, stima… è il cibo che piace a tutti!
Lei reputa la prostituzione frutto di “un impoverimento delle relazioni fra i generi”…
Il bisogno di relazioni vere, profonde, calde… appartiene a tutti, la prostituzione è “fare sesso”, senza impegno. In generale, per i clienti la “prostituta” non è una persona ma solo una prestazione che si compra, con il denaro è possibile fare tutto, non importa se quelle ragazze sono minorenni, che siano libere o schiavizzate… ”pago e ho diritto a ottenere ciò che voglio”, il denaro è il potere del cliente sulla prostituta, è una relazione che esprime una disparità profonda e quindi si può parlare di relazioni impoverite contagiose…
Come giudica l’atteggiamento di Milano e dei milanesi di fronte al grosso problema della prostituzione, che è sotto gli occhi di tutti?
La prostituzione è un problema sociale complesso e spesso la gente semplifica e vorrebbe “finte” soluzioni… Sono anni che il dibattito si accende e si spegne, connotato sempre e comunque da superficialità: si vorrebbe ignorare il legame stretto con la tratta, la stragrande maggioranza delle donne in strada è straniera, arrivata con i canali del traffico degli esseri umani e gestito dalla criminalità. Quindi la proposta di aprire di nuovo i casini...fare delle zone a luci rosse... significa connivenze - alla “luce del sole”- con la criminalità … il dibattito continua, ma va affrontato mettendo al centro ciò che fonda una città: il bene comune e i valori sociali, i legami di solidarietà, la giustizia, l’equità, il dialogo, l’apertura…
Quali sono i luoghi, gli ambienti, i monumenti della città che più ispirano a un raccoglimento spirituale?
Il luogo per eccellenza è la Chiesa di Sant’Ambrogio: sobria e accogliente.