Gli alberi di mandarino pare si siano salvati. Qualcuno li trapiantò nella Real Tenuta della Favorita prima che arrivassero le ruspe e, forse, danno ancora frutti. Mandarini di Sicilia così profumati da far dimenticare lo scempio. Squisiti come la cassata, i cannoli, le arancine, la martorana, la torta Savoia, le panelle, il gelo di mellone al gelsomino e il pane di rimacinato cosparso di sesamo, sfornato almeno tre volte al giorno. Prelibatezze che leniscono lo sconforto.
Le ruspe distrussero il resto: gli alberi, il garage, il frantoio, la vasca dell’irrigazione. A Resuttana ai Colli, nel mezzo della Conca d’oro, vanto di Palermo dai tempi dei Fenici, la villa di Giuseppe Barbera fu accerchiata dal cemento, lui non si accorse di nulla perché era un bambino e suo padre, costernato, in quell’inverno del 1965 trovò scuse per non portare la famiglia nell’adorata dimora di campagna, a tre chilometri in linea d’aria dal centro, dagli angeli di stucco del Serpotta, dalle volute barocche, dalle cupole arabe. “Il sacco di Palermo”, da un titolo di un’inchiesta del 1961 del giornale l’Ora, cominciò negli anni Cinquanta. La Conca d’oro, che i palermitani avevano creato e curato fin dall’antichità più remota, sostenuti da un clima perfetto, ma domando un terreno non altrettanto generoso, fu abbattuta in vent’anni da una colata scomposta di cemento, valanga di delinquenza, malafede, avidità e vigliaccheria, che trascinò via secoli di civiltà e bellezza.
"Come è potuto accadere?" si chiede oggi Giuseppe Barbera, professore di Colture Arboree all’Università di Palermo, quel giovanetto che registrò la scomparsa del paesaggio della sua infanzia perché da picciriddi certe cose non si afferrano: troppo assurde, e contrarie alla speranza di chi ha l’animo nuovo. "La domanda si ripete di fronte alle tragedie, piccole o immani, che si svolgono al cospetto di sguardi distratti, silenzi complici, intelligenze assopite - continua Barbera - . Cosa ha nascosto a chi aveva occhi per vedere, orecchie per ascoltare, menti per ragionare, trecento milioni di metri cubi di cemento, centinaia di chilometri di asfalto che, tra il 1955 e il 1975, ogni anno hanno soffocato un milione di metri quadri di suolo e preso il posto di oltre un milione di alberi? Perché non è stato possibile impedire che il paesaggio della Conca d’oro giungesse all’agonia, con il suo millenario carico di fatiche, sogni, sentimenti da allora cancellati, negati alle speranze di futuro?".
Mentre il disastro avveniva e a disastro compiuto i sussidiari delle elementari continuavano a insegnare agli scolari che il capoluogo della Sicilia, la Palermo felicissima dei Gattopardi, sorge fra gli agrumi, le palme, le palmette, i frangipane e le plumelie della Conca d’oro. Alcuni hanno la sfacciataggine di scriverlo ancora affinché i ragazzini si formino nell’illusione. Viale Strasburgo fu chiamata, con crudeltà beffarda, la strada costruita sulle rovine dei Colli, un omaggio funebre alla nascente Europa unita. Il tracciato della circonvallazione, con la non estraneità del Vaticano che controllava la Società Immobiliare Generale di Lavoro e di Utilità Pubblica e Agricola, fu spostato di un chilometro sconvolgendo il giardino romantico e colto di Villa Tasca dove Richard Wagner completò la partitura del Parsifal. Oltre un secolo prima della devastazione Goethe fu sorpreso dal lieto spettacolo di Palermo, dove arrivò via mare e nel Viaggio in Italia (1817) parla del "verde tenero degli alberi, le cui cime, illuminate da dietro, ondeggiavano davanti alle case nell’ombra, come grandi sciami di lucciole vegetali […] della fertilità lussureggiante […] dal più bel tempo di primavera". Nell’opera L’inchiesta in Sicilia di Franchetti e Sonnino. La Sicilia nel 1876, gli autori scrivono che Palermo era la città più bella d’Europa, con la naturalezza di chi afferma un fatto risaputo.
La ricchezza biologica dell’ambiente palermitano ha per simbolo la fauna e la flora del Monte Pellegrino: 765 specie vegetali, 50% dei mammiferi presenti in Sicilia, 60% dei rettili e anfibi. Nel 1958 George Evelyn Hutchinson, presidente dell’American Society of Naturalist, propose agli scienziati di tutto il mondo di nominare Santa Rosalia, la Santuzza, patrona degli studi di biologia evolutiva. Nelle parole di Giuseppe Barbera affiora il pianto eterno per i massacri ambientali e culturali compiuti mezzo secolo fa e che hanno sconvolto gli equilibri della Conca d’oro, ma una fievole gioia traspare: "I caratteri del luogo si svelano ancora chiari a chi ha occhi, mente e cuore per comprenderli: sono ancora quelli originari e a essi si legano non solo il passato o il gramo presente ma anche il futuro".
Ed è vero: Palermo è ormai infelicissima, ma rimane un posto dal fascino potente dove ci si domanda, annichiliti: "Come è potuto accadere?" e, insieme, si è rapiti dalla continua meraviglia di ciò che è integro, di ciò che sopravvive, di ciò che s’intravede, di ciò che è sparito eppure permea l’atmosfera. "Nonostante si continui a consumare il suolo a ritmi insopportabili (40 ettari ogni anno) e la pianura, privata degli essenziali servizi ambientali, sia in agonia, si può ancora sperare di vivere in paradiso - in paesaggi dove la cultura mantiene salda l’alleanza con la natura, dove la vita dell’uomo, degli esseri che lo accompagnano, delle pietre e della terra non separino l’utilità dalla bellezza e la congiungano all’etica".
Così Barbera scrive nell’ultima pagina di Conca d’oro (Sellerio editore, Palermo). Ed è vero.