Non sempre i medici antichi seguirono le regole della professione codificate nello scritto ippocratico Giuramento. Tra essi non mancarono infatti ciarlatani e impostori, ma anche quanti si arricchirono alle spalle dei pazienti proponendo improbabili rimedi per malattie incurabili.
Il medico Menecrate di Siracusa [1] vissuto nel IV secolo a.C. non si colloca tra i medici deontologicamente corretti, ma nemmeno tra i ciarlatani. Il ritratto tramandato dalle fonti presenta infatti dei tratti del tutto discordanti: da una parte il medico eccentrico simile alla maschera da commedia del medico fanfarone ma incapace; dall’altra il medico di valore, in grado di travasare le sue conoscenza in uno scritto, elaborare una sua teoria sull’origine delle malattie, curare le malattie acute il più delle volte dall’esito infausto, avere tra i pazienti gente illustre e altolocata. Di questa maschera bifronte prima in particolare ha trovato grande fortuna nella tradizione antica e soprattutto, nell’erudito Ateneo (II-III secolo d-C.) che, nello scritto I sofisti a banchetto, dedicava un’ampia pagina al medico siracusano.
Secondo Ateneo, Menecrate a tal punto di inorgoglì per i suoi successi nell’arte medica da osare equipararsi a Zeus. Così indossò il costume del dio con tanto di porpora, portò sulla testa una corona d’oro, impugnò lo scettro e calzò scarpe da dio. Le sue bizzarrie non si arrestarono qui. Menecrate, infatti, era solito costringere i suoi pazienti, dopo averli guariti da gravi patologie, a travestirsi da divinità: così il generale Nicostrato di Argo, dopo essere stato curato dall’epilessia, assunse il costume di Eracle con tanto di clava e pelle leonina; il tiranno Nicagora di Zelea si travestì da Ermes; un certo Asticreonte prese le sembianze di Apollo; un quarto, di cui Ateneo non cita il nome, divenne Asclepio. Così Menecrate andava in giro circondato dai suoi ex pazienti che davano vita a un corteo di divinità quanto mai bizzarro.
Il racconto di Ateneo, improntato a note commedie ateniesi di IV secolo a.C., non si ferma qui. Secondo l’erudito, infatti, una volta Menecrate fu invitato a corte da Filippo II di Macedonia padre di Alessandro Magno. Poiché si presentò al sovrano in abiti da dio e circondato dai suoi pazienti/dèi, Filippo ritenne opportuno trattarlo come tale. Fece dunque allestire un solenne banchetto con tanto di altare e su di esso fece bruciare le primizie offrendo a Menecrate e ai suoi seguaci il fumo delle vittime, ai restanti commensali la carne. Presi dai morsi della fame Menecrate, insieme al suo circolo divino, fu allora costretto a lasciare la corte irriso dai presenti.
Se Ateneo fornisce l’immagine di un medico bizzarro, viceversa la tradizione peripatetica rappresentata da Aristotele e/o dal suo allievo Menone, ricorda le capacità professionali di Menecrate, che aveva studiato le cause delle malattie e aveva scritto un’opera sulla medicina.
Non si è in grado di dire con certezza quale sia stato il vero Menecrate, se la macchietta da commedia di Ateneo, o il medico capace di Aristotele/Menone. Probabilmente il medico siracusano, noto alla scuola peripatetica che si servì della sua opera ricordandone il contenuto, fu celebre anche presso i commediografi ateniesi. Forse rileggendo e amplificando qualche tratto bizzarro del medico siracusano, essi ne fecero l’emblema del medico spaccone e incapace, in grado a tal punto di inorgoglirsi da paragonarsi a Zeus ed essere così deriso alla corte macedone. Tale spassoso ritratto ebbe fortuna tra le fonti, specie tra quelle erudite come Ateneo, che non persero occasione per citare le vicende di Menecrate, consegnando così alla storia solamente la sezione di un ritratto elaborata e deformata dalla mano dei commediografi ateniesi.
[1] Maggiori informazioni sul tema trattato con fonti e bibliografia relativa in: G. Squillace, Menecrate di Siracusa. Un medico del IV secolo a.C. tra Sicilia, Grecia e Macedonia, Hildesheim, Georg Olms, 2012
G. Squillace, I balsami di Afrodite. Medici, malattie e farmaci nel mondo antico, San Sepolcro, Aboca Museum, 2015