Nel mausoleo dei grandi calciatori, dei più grandi di sempre, da qualche giorno è entrato anche Johan Crujiff, l’olandese volante, il profeta del gol (così lo definì Sandro Ciotti nel titolo di un suo film documentario sul grande calciatore olandese), o, ancora, "divino e imprescindibile", come ebbe a descriverlo Bruno Raschi, altro grande giornalista d’antan, cantore sì soprattutto di ciclismo, ma “penna” a tutto campo e d’altri tempi.
Crujiff ha legato il suo nome al cosiddetto “calcio totale” che negli anni Settanta partendo dall’Olanda divenne il credo di quanti, dai campetti di periferia ai grandi stadi di tutto il mondo, praticavano questo gioco di squadra, spesso scimmiottandolo. In quegli anni, la maggior parte dei bambini in Italia voleva essere Riva (il “rombo-di-tuono”, eroe di Leggiuno trapiantato a Cagliari e lì rimasto, inamovibile, a mo’ di roccia), o Rivera (il “golden boy”, l’alessandrino cresciuto alla corte di Paron Rocco sotto gli stilemi di Nils Liedholm). Ma voleva essere anche Crujiff, cresciuto in popolarità grazie all’aumentato incremento della tv a colori: la finale del mondiale di calcio 1974 segna la fine di un’epoca e l’avvento di una nuova. Quella appunto del calcio totale, di cui Crujiff è stato l’esponente più celebrato. Il calcio totale non deve essere inteso solo come una tattica di gioco, ma come una vera e propria “occupazione” della squadra negli spazi del terreno di gioco, avendo per finalizzazione la vittoria. Sotto questo aspetto, ecco, Cruijff è in credito: nel senso che il calcio gli deve molto più di quanto abbia da lui ricevuto. In termini tecnici, tattici, umani soprattutto, e naturalmente sportivi.
Tra le leggende che lo hanno accompagnato, massime ora che è tutto un florilegio di ricordi, aneddoti, attestazioni, una riguarda la scelta di quel numero, 14, che lo ha reso famoso, un numero suo, solo suo, e che ne è diventato il simbolo. Secondo una versione perché aveva vinto, a 14 anni appunto, il suo primo torneo, nell’Ajax, naturalmente, società d’esordio, squadra di Amsterdam sua città natale. Ma un’altra versione ci racconta di una storia di maglie nello spogliatoio prima di una partita, con Johan che cede la sua, con il numero 9, al compagno Muhren tenendosi quella con il numero 14 nel ricordo dei suoi trascorsi giovanili.
A differenza di altri eroi più o meno eponimi, Di Stefano, per esempio, o Pelé, o Maradona, Crujiff è stato grande, e vincitore, sia da calciatore che da tecnico: «Giocare a calcio è semplice – ha dichiarato una volta – ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile che ci sia. La palla è una sola ed è necessario che tu l’abbia tra i piedi. Il mio Barcellona sapeva gestire il pallone, occupare gli spazi, e anche il portiere doveva giocare coi piedi». Vinse in Olanda, con il suo Ajax, vinse in Spagna, con il suo Barcellona, alzò la Coppa dei Campioni e con la spocchia tipica dei migliori sorrise e si permise di dire: "Certo, con me in campo sarebbe stato diverso". Nessuno lo contraddisse, nessuno avrebbe potuto dire il contrario.
Da calciatore ha vinto una coppa Intercontinentale (1972), una Supercoppa d’Europa (1972), 3 coppe Campioni (1971, 1972 e 1974), 9 campionati d’Olanda (1966, 1967, 1968, 1970, 1972, 1973, 1982, 1983 e 1984), un campionato di Spagna 1974, 6 coppe d’Olanda (1967, 1970, 1971, 1972, 1983 e 1984), una coppa di Spagna (1978) e 3 Palloni d’oro (1971, 1972 e 1974). Il suo curriculum sportivo gli è valso il secondo posto, dietro Pelé, nella classifica dei migliori calciatori del Ventesimo secolo (cioè: di sempre) stilata dalla International Federation of Football History & Statistics (Federazione Internazionale di Storia e Statistica del Calcio), più nota con la sigla IFFHS: Pelé al primo posto, con 1705 punti, poi Johan Crujiff con 1303, quindi Franz Beckenbauer con 1228.
È giusto infine ricordare che ha lasciato una fondazione che ha aperto nel mondo oltre 200 campetti riservati ai ragazzi. Uno a Como, dedicato a Stefano Borgonovo, lo sfortunato calciatore colpito dalla terribile SLA. La Fondazione Cruijff ha fissato 14 regole (sul numero c’era poco da ipotizzare). La prima è: «Gioco di squadra. Per fare le cose, dovete farle insieme». La 14esima , e ultima: «Creatività. È la bellezza dello sport».