Un viaggio. Le nostre scelte. Quel viaggio. Te l'avevo raccontato in tempi bui che avrei voluto visitare Mosca. La Russia, con la sua storia mi aveva sempre affascinata, sin da bambina. Sin da quando mi incantavo dinanzi allo spettacolo di danza classica che ogni estate organizzavano dove andavamo in vacanza. Eravamo piccoli. Le scarpette con le punte, le meravigliose coreografie, i colori pastello dei tutù, tutto diventava poesia davanti ai miei occhi. Mi lasciava immaginare l'anima di un popolo così sconosciuto che invadeva la scena e arrivava dritto al cuore. Questa era la magia del balletto, per me.
E dietro ogni balletto una storia, come una madre persa o un padre troppo distratto e troppo ubriaco per amare. Così non diventava nemmeno uno sforzo entrare in quelle vite e credere nella storia dell'anatroccolo che diventa cigno. L'esibizione, però, di quel cigno ne raccontava la morte. La vita, bisognava vederla tra un passo e l'altro, nella tensione delle gambe, nei sorrisi appena accennati su quei volti severi e pieni di dignità. Nei profili spenti.
Fu un amore infantile quello per Mosca. Crescendo, imparai che quella città esplorata nelle viscere non era una cartolina ma un mondo nel mondo che, come una matrioska, si mostra e si nasconde, ritornando nel ventre. Un incastro di cuori nel ventre di una grande madre con gli occhi sempre aperti. Mosca, con i suoi misteri, era un piccolo segreto. Mosca se ti abbracciava, non ti lasciava più. Te l'avevo raccontato in tempi felici che i nastrini bianchi di quel cofanetto azzurro cielo mi ricordavano Mosca quando nevica. E i nodi che si sciolgono, la neve caduta a terra, come un lenzuolo sul corpo immacolato di una terra che giace e riposa.
Quel viaggio per me era una missione da compiere, perdermi tra quelle strade, sedermi a bere caffè e frequentare i salotti dove, un tempo, i miei più grandi amori platonici avevano riposato le gambe stanche dopo l'interminabile danza della loro esistenza. In loro proiettavo me, con i miei mille fogli dispersi nel vento e una penna con cui inchiodarli tutti sulle giunture del mondo. Mosca violenta, Mosca oscena, Mosca suprema, spaventosa e incantevole. Non sapevo quale aggettivo scegliere. Tutto e niente. La messa in scena più grande a cui io abbia mai assistito. L'esibizione di uomini maldestri che improvvisavano passi che non conoscevano, eppure danzavano fieri. Eppure restavano in piedi.
Una grande bambola con le guance rosa confetto, la bocca perfettamente disegnata e i capelli color miele a incorniciare il viso. Così mi era sembrata quella ballerina che non parla inglese e che preferisce lasciarsi osservare e contemplare. Così ostentava la sua natura quella grande madre con la pancia all'insù. Quella grande madre in attesa di vita. E il sipario si chiuse, una finestra si spalancò a lato della sala. Vidi l'inverno entrare e l'estate restare solo un ricordo di fanciulla e svanire.
E mentre ancorati alla sedia restammo ancora per un po’ a gambe accavallate, vidi quel cigno accasciarsi e morire.