Il Tortonese, legato dalla rettilinea struttura del sistema fluviale Scrivia-Curone e cinto a est, sud-est e sud dalle ultime propaggini dell’Appennino ligure emiliano, è una zona di confine tra il Piemonte e la Lombardia. Mix di pianura, collina e montagna, per la peculiare posizione geografica questo comprensorio, passaggio obbligato lungo i tracciati della Via Postumia e della Via del Sale, sin dai tempi antichi fu considerato terra di conquista dai Milanesi e dai Genovesi.
L’itinerario proposto si snoda tra la Bassa Valle Scrivia e la Val Curone. Punto di partenza è Castelnuovo Scrivia (raggiungibile dal casello autostradale A7 con raccordo Torino-Piacenza), cittadina sul confine con la Lombardia, incorporata al Piemonte nel 1738, con il Trattato di Vienna.
Più volte citata dal novelliere Matteo Bandello (1485 Castelnuovo Scrivia-1561 Agen), suo illustre figlio, come un locus amoenus, ove “l’aria è tanto temperata quanto in altro luogo di Lombardia”, Castelnuovo si trova sul tracciato della Via Francigena, alla confluenza dello Scrivia con il Po. Dominio dei Visconti prima, degli Sforza poi e infine dei d’Avalos, nel Medioevo fu un fiorente borgo mercantile, tra i maggiori produttori ed esportatori di gualdo, pianta da cui si estraeva l’indigotina, un colorante azzurro.
Simbolo dell’agiatezza del ceto imprenditoriale castelnovese, il pregevole portale, realizzato nel 1183, è quanto rimane dell’opera originale della parrocchiale che, sebbene più volte rimaneggiata, è considerata un esempio di architettura religiosa sviluppatasi nei centri commerciali minori nella seconda fase del periodo romanico. Di fronte alla chiesa, sul lato ovest della piazza principale, si affaccia il broletto, che conserva nella sala degli stemmi i segni delle passate dominazioni. Una visita completa del palazzetto podestarile, dalla facciata un tempo affrescata, comprende anche la salita alla torre (39 m).
Oltrepassato lo Scrivia, attraverso ambienti caratterizzati da attività agricole tradizionali estensive, ci avviamo a Sale, nel Medioevo avamposto del Comune di Pavia alle porte di Tortona. Camminando per il centro storico notiamo la presenza di tre parrocchie, tre antiche pievi, poste a breve distanza l’una dall’altra. Fatto insolito, se rapportato alle modeste dimensioni dell’abitato, connesso all’origine stessa della comunità, nata dalla fusione di tre nuclei demici distinti, aventi ciascuno il suo edificio plebano. Due di questi, S. Giovanni e S. Calogero, erano soggetti alla giurisdizione ecclesiastica della diocesi di Tortona e uno, S. Maria e S. Siro, a quella di Pavia. Passato alla diocesi tortonese solo nel 1805, quest’ultimo luogo di culto, segnalato come dipendenza extradiocesana del vescovo pavese sin dal 1217, ha mantenuto nella titolazione a San Siro l’antico legame civile e religioso con Pavia. Classificato nel 1908 come monumento dalla Regia Sovrintendenza, è uno splendido gioiello d’arte gotico-romanica dalla straordinaria forza espressiva, manufatto-simbolo della più chiara manifestazione dell’antico spirito del borgo.
Da Sale la Provinciale conduce a Piovera. All’ingresso del paese, sulla destra, giganteggia la possente, compatta, struttura quadrilatera del castello visconteo, munito di quattro torri angolari fortemente scarpate e merlate alla ghibellina, di cui una soltanto conserva le originarie caratteristiche trecentesche. Trasformato nel Seicento in dimora signorile dai Balbi e circondato da un ampio parco, questo maniero di pianura, in parte ancora tinteggiato a lutto per la morte di Napoleone, è ora di proprietà privata.
Un tracciato secondario, passando per le campagne di San Giuliano, Mandrogne e Levata, teatro della celebre battaglia di Marengo, collega Piovera a Rivalta Scrivia, frazione di Tortona. La modesta estensione delle unità agricole della “Frascheta”, com’è chiamata questa zona a sud di Tortona, ricoperta nel Medioevo da una fitta vegetazione, ha favorito insediamenti a carattere sparso, concentrati ai margini e agli incroci delle strade, costituiti da case coloniche, le “trunere”, realizzate con mattoni ricavati dalla terra rossa e argillosa dei campi.
Il sentiero sbuca di fronte a un viale alberato che porta all’abbazia di S. Maria. Questa chiesa conventuale si distingue dalle costruzioni monastiche dell’area alessandrina per la diversa prospettiva topografica: dall’interno della diocesi, Rivalta divenne un centro d’irradiazione nella diocesi stessa, in ogni direzione. Fondata negli anni Sessanta del XII secolo da una piccola comunità, formatasi intorno a una preesistente chiesa di S. Giovanni, e aggregata all’Ordine cistercense nel 1180, S. Maria è considerata una formazione “spontanea”, nata per impulso religioso e sociale, in perfetta armonia con l’episcopato locale e sotto la sua tutela.
Lasciata Rivalta Scrivia il nostro itinerario prosegue per Viguzzolo. All’uscita del paese, sulla destra della Provinciale, si trova la Pieve di S. Maria, tra i primi segni del Romanico in provincia di Alessandria.
Espressione di una nuova cultura agreste autoctona, che si andava affermando su terre da poco conquistate all’agricoltura, questo centro comunitario dalle finalità essenzialmente religiose, in grado però di assolvere a svariate funzioni civili, venne edificato tra il IX e l’XI secolo fuori dal centro abitato, nei pressi del torrente Grue. Ad aula unica, definita in facciata da una semplice e grezza partitura muraria a salienti, decorata da sottili lesene che si congiungono con archetti pensili, conserva nel catino absidale lacerti di un pregevole affresco raffigurante un Cristo in mandorla. Di notevole interesse la cripta sottostante, assai suggestiva, per le pietre segnate e i fastigi di facciata, prima, commovente ricerca di un alfabeto plastico dai profondi significati simbolici.
Seguendo la strada, tra colline ricoperte da ordinati filari di vigne, si arriva a Volpedo, porta della Val Curone per chi percorreva “la strada di Lombardia”, che da Milano, con tracciato rettilineo, giungeva direttamente a Volpedo. Feudo di Perino da Cameri, che lo ricevette come compenso per i servigi resi agli Sforza, la località è legata a Milano da un singolare episodio, ricordato in un bassorilievo scolpito da Jacopino da Tradate, ora conservato nel municipio del paese. Protagonista è lo stesso capitano di ventura che, prima di morire, decise di donare il feudo alla Fabbrica del Duomo di Milano, con l’accordo di esentare la cittadinanza volpedese dal pagamento delle tasse, a patto che come contropartita offrisse del vino.
Fin dal Medioevo nell’area collinare a nord di Tortona il vino doveva essere di ottima qualità, a giudicare dai numerosi contratti agrari rogati tra il XII e il XIII secolo, in cui è stabilito che i proprietari dei terreni potessero di preferenza ricevere come pagamento dagli affittuari una parte della produzione vitivinicola in luogo del denaro. Tra le qualità di vino prodotte vi era anche il “gragnolato”, un “vino bianco molto potente di nobile odore e sapore”, tanto celebre da essere ricordato da Piero de’Crescenzi nell’Opus ruralium commodorum.
A conferma dello stretto legame tra fondazioni plebane e vie di comunicazione, anche Volpedo, snodo obbligato di passaggio e collegamento, allo sbocco della vallata, sulla strada che dall’alta valle porta a Tortona e all’agro vogherese, possiede la sua chiesa plebana, dedicata a San Pietro. Si trova immediatamente all’esterno dell’antico nucleo fortificato, in prossimità del Curone, e risale alla seconda metà del X secolo, malgrado la struttura attuale presenti alterazioni del ‘400. L’interno è decorato con affreschi coevi, attribuiti ai Boxilio, frescanti attivi nel Novese e nel Tortonese nella seconda metà del XIV secolo. Giunti a Volpedo, l’abitazione e l’atelier dell’artista Giuseppe Pellizza, a un centinaio di metri dalla pieve, meritano senz’ombra di dubbio una visita.
Ripresa la Provinciale, che s’inerpica tra estesi frutteti lungo la media valle, raggiungiamo San Sebastiano Curone, principale centro commerciale della vallata. Situato alla confluenza dei torrenti Curone e Museglia, e addossato al colle che ne divide il corso, deve la propria denominazione a un’immagine di San Sebastiano, dipinta in una cappella viale, nelle cui vicinanze, nel corso del Trecento, venne costruito il primo nucleo abitato del paese. La sua collocazione, lungo la “Via dei 2 Feudi Imperiali” che tramite l’Appennino collegava le città della Pianura Padana a Genova e alla Riviera di Levante, ne favorì lo sviluppo al punto da divenire tappa obbligata del commercio e del contrabbando di sale e granaglie tra la Liguria e la Padania.
Una passeggiata per gli stretti vicoli del borgo medievale, ripartiti da robusti archi gettati tra le case, che ricordano nella disposizione urbanistica e nella policromia il centro storico dei borghi marinari liguri, può offrire al visitatore scorci particolarmente suggestivi.
Poco più a nord si trova Gremiasco. La sua storia è strettamente legata al monte Vallassa, la cui vetta, ricca di resti fossili, sovrasta i dintorni. Lì, antiche popolazioni liguri costruirono il proprio villaggio fortificato, scoperto nel 1951. Raggiungere a piedi la zona archeologica del castelliere di Guardamonte è piuttosto impegnativo, ma la superba vista su tutta la catena dal Giarolo fino all’Ebro e al Chiappo compensa le fatiche della salita.
Pochi chilometri separano Gremiasco a Fabbrica Curone, ove si trova la bella pieve di Santa Maria Assunta. Essa, malgrado le sembianze romaniche, è la probabile erede di una precedente istituzione religiosa, fondata dai monaci di Bobbio. Ad avvalorare questa ipotesi concorrono i lastroni in pietra del pavimento interno, l’enigmatica simbologia zoomorfa altomedievale scolpita nel bassorilievo della lunetta nel portale, una testa e alcuni capitelli d’epoca longobarda rinvenuti nelle campagne di scavi.
Inoltre nelle località comprese nell’antico feudo di Fabbrica sono stati censiti 248 reperti di architettura rurale in pietra, con caratteri architettonici comuni ad altre aree europee e riferibili all’età altomedievale. Sono portali, tessiture murarie, piattabande con iscrizioni, cantonali, resti di stipiti di finestre e bassorilievi, realizzati in pietra locale, calcarea o arenaria, lavorata a spacco o taglio vivo dai costruttori dei villaggi della valle. Accomunati dalla regolarità dei parametri costruttivi utilizzati, questi manufatti in stile eulitico (dal greco: elitos = composto di belle pietre, per l’esaltazione formale e dimensionale delle pietre che lo compongono), rappresentano una preziosa testimonianza di quanto rimane di un unico corpus edilizio, corrispondente a una prima fase dell’architettura in pietra sviluppatasi nella media e alta valle del Curone.
Lasciata Fabbrica, una carrareccia s’inerpica tra pareti rocciose e vecchie faggete, per diramarsi in prossimità delle ultime frazioni di Lunassi, sede di un centro studi sulla Val Curone, e di Bruggi, l’abitato più appartato della vallata, ai bordi della corona appenninica, dove, a monte, ha origine il bacino del Curone. Invece la Provinciale prosegue per Caldirola, località di villeggiatura estiva e invernale. Qui, alla Gioia, una conca naturale poco sopra l’abitato, una seggiovia porta alle piste da sci e in cima al Monte Gropà (1433m), da cui si gode una splendida vista sul golfo del Tigullio.