Cosa significa Sharg Uldusù?
Sharg Uldusù significa “Stella d’Oriente” in lingua azera. Il nome è stato scelto nel lontano 2001 quando è avvenuto l’incontro tra me e Fakraddin Gafarov, virtuoso di Tar proveniente da Baku, capitale dell’Azerbaijan. Da questa esperienza nasce l’Ensemble Sharg Uldusù con l’idea di sperimentare nuovi percorsi musicali tra Oriente e Occidente.
Ermanno, sei un musicista di formazione classica, ma in seguito sei entrato in contatto con il mondo della musica etnica, attivando numerose collaborazioni: qual è stata la scintilla musicale che ti ha rapito e ti coinvolge ancora oggi in questo ambiente sonoro multietnico?
A partire dalla fine degli anni Settanta ho cominciato a viaggiare in paesi che ancora oggi mi affascinano come Algeria, Turchia, Marocco, portando spesso a casa strumenti musicali che imparavo a suonare da autodidatta (allora non esisteva Youtube) cercando di imitare le melodie e i ritmi che ascoltavo su cassette acquistate in loco. Tra lo studio accademico del clarinetto e l’esperienza etno/world, ci sono gli anni Novanta da me dedicati all’apprendimento dell’improvvisazione in ambito jazz con due grandi maestri come Paolo Tomelleri ed Emanuele Cisi. L’improvvisazione e la propensione verso un idea “sciamanica” della musica hanno fatto sì che le due esperienze, i viaggi e il jazz, si fondessero in una visione aperta e multiculturale della mia personale ricerca verso sonorità calde ed evocative. A conferma di questa immagine visionaria arrivano, sempre negli anni Novanta, album come Madar di Jan Garbarek, Thimar di Anouar Brahem e John Surman e Astrakan Cafè ancora di Brahem con Barbaros Erkose al clarinetto turco, tre pietre miliari della musica che cerca nuovi dialoghi tra Oriente e Occidente.
Dune è il quarto album di Sharg Uldusù 4tet: quali sono le differenze dai tre predecessori?
Dune è suonato da una nuova formazione rispetto ai precedenti album, con tutto ciò che comporta dal punto di vista sia della ricerca timbrica che degli obiettivi che si propone di raggiungere. Sharg Uldusù 4Tet allarga il campo d’azione verso nuovi suoni rappresentati dalla armonica/fisarmonica di Max e dalle percussioni di Francesco, dialoga col jazz più raffinato e lancia ponti verso sonorità originali che superano frontiere e pregiudizi. Il linguaggio suonato dall’oud di Elias si fonde con le ance libere di Max, il clarinetto basso viene usato per sostenere le frequenze più profonde insieme alla cassa della batteria e la fisarmonica introduce quella “terza dimensione” armonica che la tradizione del vicino/medio oriente non conosce.
In Dune compare del materiale tradizionale accanto a brani firmati dai singoli membri. Cosa puoi dirci dei brani della tradizione che avete rielaborato?
Nihawend Lunga è in realtà un brano d’autore composto da Tamburi Cemil Bey (Istanbul 1873/1916), importante musicista che rinnovò la tradizione ottomana a cavallo tra XIX e XX secolo. Il titolo del brano rappresenta il “maqam” nel quale è stato composto, cioè il modo, la scala che è stata scelta e che trasmette determinati stati d’animo all’ascoltatore. Layli Djan in lingua afgana significa “cara Layli” ed è, in origine, una melodia d’amore dedicata alla ragazza che si vuole conquistare. Kir Cicek vuol dire “Fiore Selvatico” in turco. Di tradizione popolare, è in ritmo di 5/4. Uskudar è una delle più conosciute melodie di tutto l’Oriente ed è di tradizione turco/rom. Ne esistono decine di versioni, anche cantate, nelle lingue di quasi tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, compreso il siciliano!
D’Auria, De Aloe e Nardi sono i tre ottimi musicisti che partecipano con te all’esperienza Sharg Uldusù 4Tet: quali sono le caratteristiche dei brani scritti da loro?
Quando abbiamo deciso di registrare anche brani originali oltre a quelli della tradizione, ci siamo dati come punto di partenza un’ispirazione fatta di luoghi, colori, sapori che fossero la continuazione di un discorso legato a un suono originale e caratteristico. Da qui la scelta di Max di proporre Cisternino, brano scritto e interpretato in solo con l’ausilio di una loop machine che diventa patrimonio del gruppo che lo reinterpreta e Fragman, questo si in solo con fisarmonica; di Elias di suonare Fil Hadika (Nel Giardino in lingua araba) scritto per un suo precedente lavoro; di Francesco di usare lo hang, uno strumento inventato da uno svizzero, che ha sonorità che richiamano le steel drum caraibiche e che nelle sue mani diventa suono puro senza tempo né spazio.
Che rapporto c'è tra scrittura e improvvisazione in Dune?
Lo stesso rapporto che c’è nella musica jazz modale, che è identico a quello che si trova nella musica tradizionale extra europea: i temi rappresentano la riconoscibilità del brano e la capacità compositiva di chi lo ha scritto, le improvvisazioni mettono in risalto l’abilità tecnico/espressiva del musicista. In occidente, in ambito colto, abbiamo perso nel corso del tempo il gusto per l’improvvisazione a favore di una musica totalmente scritta che va “solo” interpretata. Fior di musicisti, da Frescobaldi a Chopin, da Bach a Mozart, erano abili improvvisatori e il pubblico partecipava con entusiasmo a vere e proprie gare di bravura. Oggi si improvvisa nel jazz e nelle musiche tradizionali che hanno mantenuto costante questo affascinante aspetto dell’arte dei suoni.
In un periodo delicato come questo, con le nuove migrazioni al centro delle cronache e dell'agire politico, che ruolo assume una musica come la vostra, che cerca di far dialogare culture differenti?
È proprio il dialogo il nostro principale obiettivo! L’arte e la società civile sono sempre state avanti rispetto al sentire politico/istituzionale. Ma esiste già un nuovo mondo nel quale gli uomini si riconoscono nella loro umanità e non si discriminano per provenienza o colore della pelle, però mancano la forza e la cultura diffusa in grado di vincere pregiudizi, interessi e calcoli meschini. Forse musiche come la nostra possono accelerare questo processo di integrazione tra culture che spesso la politica vuole tenere distanti.
In merito a questa fusione di linguaggi musicali, parlate di sguardo “rigorosamente laico”…
Quando c’è di mezzo la religione la gente non ragiona più! “Sguardo rigorosamente laico” è una premessa indispensabile per chiarire il nostro punto di vista sia artistico che umano!
Da novembre Dune proseguirà la sua esperienza live: cosa accade nei concerti di Sharg Uldusù 4Tet?
Nei concerti di Sharg Uldusù 4Tet accade di tutto! Tra il pubblico, di solito, c’è chi ascolta rapito da suoni provenienti da strumenti che probabilmente non ha mai visto né sentito (balaban, furulya, oud, hang, armonica bassa… ), chi balla una vorticosa belly dance coinvolta da ritmi incalzanti ed esotici e chi, per fortuna solo alla fine della performance, ti fa mille domande sul “come mai” facciamo “questa roba”; tra i musicisti, oltre che suonare, si ride e si scherza, si raccontano aneddoti e si fanno battute (soprattutto Max che è un vero “cabarettista”) che suscitano ilari e divertite reazioni. Il tutto in un clima che dall’eccitazione più accesa (come nel finale di Nihawend) passa alla calma meditativa (Dune) poi a un sentire comune di suoni ancestrali (Uskudar) per concludersi con la sensazione di aver compiuto un viaggio tutti insieme in un universo sano, vero e finalmente armonioso.
Biografia
Il 2012 è l’anno dell’incontro tra l’Ensemble Sharg Uldusù (Ermanno Librasi ai fiati, Elias Nardi allo oud, Zakaria Aouna voce e percussioni) e Max De Aloe, uno dei più attivi armonicisti jazz della scena internazionale, che invita il Trio a esibirsi in apertura del decimo Gallarate Jazz Festival e, contestualmente, a tenere una lezione/concerto per gli alunni delle scuole superiori. Per la prima volta il gruppo, che dalla sua nascita nel 2001 propone un repertorio tradizionale che dalla Turchia si spinge fino al Marocco, suona per un pubblico diverso rispetto a quello della World e Folk Music.
L’interesse che si accende intorno a questo concerto è notevole e si comincia a parlare di una possibile collaborazione col nostro committente in termini di ricerca e fusione di sonorità tra tradizione mediterranea e jazz. Nel 2013 si lavora sul repertorio ancora tutto popolare e si studia, dal punto di vista sia timbrico che espressivo, l’ingresso di strumenti inconsueti per questo genere come armonica cromatica e fisarmonica che però si rivelano, fin da subito, assolutamente intriganti per la originale contaminazione che si viene a creare.
I primi concerti della nuova realtà denominata Sharg Uldusù & Max de Aloe lasciano intravedere le notevoli potenzialità che un incontro simile può rappresentare: i dialoghi fitti tra l’oud di Elias e l’armonica cromatica di Max, col sostegno del clarinetto basso rispolverato da Ermanno, accompagnano l’ascoltatore attento in mondi sonori senza frontiere, sospeso tra tempo e luogo, cullato da melodie evocative e ritmi ancestrali. Nel 2014 si cominciano a registrare i primi pezzi e si prende la decisione di inserire nel repertorio anche brani originali.
A questo punto ci voleva un motore, un battito cardiaco, una spinta fatta di grande professionalità, sensibilità e immensa esperienza, capace di far volare il progetto accentuandone l’aspetto sciamanico, in perfetto equilibrio fra tradizione e jazz. Si aggiunge così la raffinata potenza percussiva di uno dei più geniali e versatili musicisti che abbiamo la fortuna di avere in Italia: Francesco D’Auria! La svolta che regala al nostro sound è incredibile. Nelle sue bacchette c’è tutto il Mediterraneo che serve e altro ancora. C’è il sole che scalda, la malinconia che consola, la bravura di chi sa entrare in punta di piedi in un progetto già avviato interagendo come se nulla fosse, come se ci fosse sempre stato.
Il 2015 è l’anno di Dune (Abet Records B9 abj 546), un album che racconta l’incontro tra realtà musicali solo apparentemente diverse, che hanno nella capacità improvvisativa il loro denominatore comune e nella volontà di superare condizionamenti e barriere sia umane che geografiche il significato più profondo.
Per maggiori informazioni:
www.sharguldusu.it