Esiste un paese, in Trentino, dove in vista dei mesi più freddi, come antica tradizione insegna, ci si prepara raccogliendo e sistemando la legna, garanzia e risorsa contro il gelo dell’inverno, energia naturale per le esigenze di famiglie e collettività. Ma non ci si limita a raccogliere la legna e a tagliarla, la si sistema accanto alle case, agli edifici, la si inserisce nell’architettura locale, in sostanza si trasforma l’ammasso in forme d’arte.
Un unicum nell’arco alpino, una particolarità divenuta un vero e proprio spettacolo che attraversa le stagioni. Parliamo di Mezzano, uno dei Borghi più belli d’Italia, a un soffio da Fiera di Primiero e da San Martino di Castrozza. Uno scrigno di gemme inattese, ma soprattutto il racconto di un amore forte per il passato e la tradizione. Prati verdissimi, vicoli stretti da case antiche, mucchi di tronchi odorosi di legno locale, dentro vecchi fienili e stalle, finestrelle orlate di pizzi con la passione e dedizione delle vecchie generazioni, unite all’entusiasmo e l’ardire di quelle nuove. Un impegno consapevole per salvare dall’oblio usanze, tradizioni, costumi. Qui i mestieri di un tempo, rivisitati e corretti per assecondare i nuovi trend, sono diventati i mestieri di oggi e di domani. Un’eredità preziosa che i giovani non subiscono ma condividono fieri con le generazioni precedenti e con l’orgoglio di apportare un vento nuovo, di mettere la propria firma personalissima nella storia di famiglia. Gesti sapienti che raccontano di un mondo antico che può venir voglia di reinterpretare anche all’improvviso, senza essere “figli d’arte”, abbandonando altre strade per disegnare un cammino proprio e unico.
Sono ormai venticinque i pezzi della straordinaria e unica collezione open air di cataste artistiche che ha trasformato l’antico borgo in un museo sotto il cielo. L’iniziativa è ormai un must e si chiama Cataste e Canzei (canzei in dialetto locale significa catasta, appunto) ed è l’omaggio di un paese al proprio destino da sempre legato al legno e agli altri elementi della natura montana. Da qualche anno, tra le antiche architetture rurali di Mezzano, spuntano sempre nuove installazioni ispirate al tema della catasta, protagoniste di una rassegna unica e innovativa che del borgo è diventata l’anima. Le si incontra ad ogni angolo: nei vicoli, sotto gli androni, nelle piazze, sui ballatoi, nei cortili… gigantesche installazioni d’autore che immortalano riti, mestieri, leggende, canti e tradizioni locali in un sorprendente gioco di equilibri, ciocchi e tasselli. Cataste artistiche che strappano i ciocchi al loro destino di fiamme e regalano loro voce.
La stagione del legno, dei boschi infiammati di colori, del profumo di caminetti accesi, dell’aroma di piatti che si fanno più robusti, di riposanti silenzi dopo il clamore estivo – questa stagione - è il momento migliore per una fuga al cospetto delle Pale di San Martino, alla lenta e dolce scoperta di Mezzano e del suo territorio. Ogni angolo del borgo riserva una sorpresa, perché Cataste & Canzei non è infatti che uno degli omaggi di questo paese-cameo alle proprie origini, oggi rintracciabili in ben cinque itinerari intitolati Segni sparsi del rurale e dedicati all’acqua, agli orti (se ne contano ben 400, uno ogni quattro abitanti), alle architetture, ai dipinti murali e alle antiche iscrizioni. Venticinque le cataste artistiche, come abbiamo detto. Eccole in un breve elenco:
La “catasta del mistero”
Di nessuno eppure di tutti. È una catasta anonima ma affollata di nomi quella che apre il percorso di Cataste e Canzei. Non un’installazione artistica ma una “semplice” catasta, di quelle tradizionali, che accoglie però i foto-ritratti di tutti gli artisti che hanno partecipato all’iniziativa e che firmano l’itinerario.
In principio (L’Albero) di Roberto Svaizer
Di facile lettura nella sua toccante immediatezza: tre uomini sono intenti a segare un albero. Sottile il messaggio, affidato alla forma di automi attribuita ai boscaioli: le braccia umane potranno anche essere sostituite da seghe e mezzi meccanici ma l’uomo continuerà a tagliare gli alberi. Un rito rurale che non si estingue…
Installazione In-stabile di Umberto Sancarlo
Detta anche “la catasta che precipita”, quest’opera è un concentrato di allusioni: installazione anche perché posta sopra la stalla degli asini, in-stabile perché posizionata su un manufatto ma anche precaria. La cascata di ciocchi, che infonde alla catasta forza e movimento, pare quasi un monito all’uomo, che può intervenire sulla natura, ma che a questa è pur sempre assogettato...
L’aluvion di Marco Baj
Un artista poliedrico che dalle calde terre di Puglia è salito in Trentino per lasciare il suo segno a Mezzano. La più grande delle installazioni di Cataste e Canzei dal 2012 campeggia in paese su una vasta parete di messa in sicurezza, costruita dopo la tragica alluvione del 1966. Mascherandone la spoglia funzionalità, ne fa un grande quadro sotto il cielo che ricorda all’uomo il prezzo da pagare quando si viola la montagna. Realizzata in legno di larice rosso, marmo bianco, tufo viestano e ferro si estende su ben 80 metri quadrati.
El Mantil di Marta Bettega
“El Mantil – spiega - è un tessuto di lino filato dalle donne del nostro passato”. Nella sua opera ha voluto rendere con il legno una tovaglia che rappresenti il lavoro manuale ma anche di meditazione delle tessitrici. Una tela che intreccia nella sua trama fatica, sogni e rivendicazioni delle donne.
L’acqua dei stoli di Nicola Degiampietro
Un omaggio al ruolo antico dell’acqua, che un tempo veniva molto più rispettata e al tempo stesso temuta. L’opera non a caso viene realizzata nel 2011, anno internazionale dell’acqua.
La fisarmonica di Max Gaudenzi
Una grande fisarmonica aperta che pare una stella. Un’opera maestosa che non ha bisogno di interpretazioni: una fisarmonica diatonica che suggerisce l’armonia di note melodiche e quella di pezzi di legno che paiono nati per stare l’uno accanto all’altro come le note sullo spartito.
Rotonda e Non Rotonda di Roberto Bertazzon
Originario dei colli veneti, l’autore è pittore, scultore e conceptual designer. Impegnato nella sensibilizzazione al rispetto dell’ambiente, nel 2011 ha realizzato per Mezzano due sculture: Rotonda e Non Rotonda.
La funzione del balcone di Alberto Cosner
Un’enorme pannocchia dai chicchi pieni e dorati che sembra sbeffeggiare, irraggiungibile in alto sul suo ballatoio, le galline ingolosite e stupite del pollaio sottostante. In realtà l’opera, attraverso la rappresentazione del granturco, vuole ricordare l’antica funzione del ballatoio, dove le pannocchie venivano messe ad essiccare al sole.
Navesèla di Lucia di Arteler – Lucia Trotter e Zita Zeni
Una grande navetta di telaio in legno, incastonata nella catasta da cui dipartono i fili della trama. Una sorta di mirabile e insolita insegna per un atelier che invece se ne sta discreto e ritroso in una casupola lì di fronte. Quasi di nascosto, dai fili di un telaio antichissimo nascono tele damascate della tradizione primierotta e di un tempo che non c’è più.
Cerco un centro di gravità permanente di Gianluigi Zeni
Una catasta d’equilibrio: la grande freccia di un blu elettrico richiama al ciocco verticale in basso, che da solo regge tutta la scultura, frutto di un incredibile gioco d’incastri e leve.
Free Water di Jimi Trotter
Una copiosa lacrima azzurra su un volto addolorato, una protesta contro la privatizzazione dell’acqua. Il ben comune si paga (ingiustamente) e l’unica acqua gratuita che ci resterà, sarà proprio quella del nostro pianto…
La notte in sogno di Erica Schweizer
L’usanza tradizionale di ricavare nella catasta delle nicchie per porvi vasi di fiori. Così tra i ciocchi, oltre a parole, disegni e citazioni prende vita una deliziosa “casa di bambole”.
Bio-massa di Giuliano Orsingher
Il sano sentimento della gente di montagna che obbedisce al ritmo della natura e con saggio fare da formica ogni autunno si appresta ad accumulare legna per l’inverno, con gesti operosi e perpetui che rispettano l’ambiente e sanciscono il suo antico legame con l’uomo. Una catasta insomma che è monumento alla catasta stessa.
El caro de le zercole di Andreino Zugliani
Passato e presente si fondono: sopra un moderno garage, una sorta di cornicione in legno che porta incastonati una slitta e un carro, di quelli che usavano guarda caso per trasportare i tronchi dal bosco e che la sera si ricoveravano là dove oggi parcheggiamo i mezzi a motore. Un omaggio ai giorni andati che vuole anche coprire gli “scempi” di oggi, vestendo il cemento del calore intramontabile del legno.
Montagna in-canto dell’Associazione La Stua
Legnetti piccoli e infinitesimali, pazientemente incastrati a regalare un magistrale intarsio che racconta la poesia della montagna. Un gioco di immagini e di parole che alludono alla seduzione per l’occhio e per l’orecchio, in un sodalizio tra paesaggio e musica. Così, sullo sfondo di cime maestose, campanili svettanti, alberi secolari, prati fioriti e fieri cervi danzano le note dello spartito.
Temp che pasa… tradizion che resta di Giuliano Rattin
La clessidra chiusa in un abbraccio (o costretta a lavorare incessantemente?) tra il sole e la luna ammonisce che tutto inizia e tutto finisce ma che la tradizione non muore mai.
Opposti di Giuliano Orsingher
Un procedimento plastico a favore di un linguaggio non rappresentativo, ma assente e silenzioso che si rintraccia nel vuoto tra legno e pietra. Una scelta precisa, per lasciare a ciascuno la cura di fare uno sforzo di riflessione personale, poiché il vuoto è uno spazio interpretabile che in sé prevede anche i propri opposti.
Il bosco vecchio di Albino Rossi
L’anima del Trentino si identifica nella montagna, nei campi e nella foresta. Molto c’è da leggere in quest’opera: gli alberi colonne del cielo, i rami che intrecciandosi simbolizzano le relazioni umane… Tutto sintetizzato nella silhouette di un bosco controluce, assopito in inverno nell’attesa di tornare a sbocciare.
Santone di Fabrizio Milani
Rappresentazioni simili alle raffigurazioni dell’uomo primitivo che, iniziando a porsi delle domande sulla vita. Una figura sacra, insomma, ma senza religione. Una sorta di divinità che non corrisponde a nessun credo, se non a quello interiore e nascosto dell’uomo.
Tra le caratteristiche di questo borgo trentino, nella stagione migliore gli orti. Se ne trovano ovunque, grandi e piccoli, recintati e non, strappati al cemento in paese o isolati in aperta campagna. Se ne contano ben 400, uno ogni 4 abitanti! Sono nati da un’esigenza di produzione di cibo per la famiglia, rispettano fedelmente la tradizione trentina che tra le staccionate dell’orto sposa l’utile al dilettevole spartendo la terra tra ortaggi, fiori, odori, piante da frutto e viti rampicanti. Anzi, i fiori superano spesso la metà del totale delle piante, facendo dei coltivi locali dei veri e propri orti-giardino. Gli orti sono gelosamente curati dai privati ma hanno in un certo senso una funzione di verde pubblico. Il periodo migliore per ammirarli è luglio, quando lo spettacolo orto-floreale è al massimo splendore. Sono censiti e raccontati in totem segnaletici installati in paese, proprio come veri monumenti della storia e dell’identità rurale di questo borgo ancora fedele alle sue radici.