Studiosa di diritto costituzionale con incarichi universitari, Benedetta Liberali ha anticipato e approfondito tematiche rivelatesi poi di grande impatto sociale, come il reato di “stalking”, la procreazione medicalmente assistita e l’interruzione volontaria di gravidanza. Avvocato del Foro di Milano e consulente del Comune di Milano, ha ottenuto dal Comitato Europeo dei Diritti Sociali un’importante sentenza in difesa del diritto alla salute e del principio di non discriminazione.
Cosa vuole raccontarci di sé?
Mi sono laureata cum laude in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano, con una tesi in Sociologia del Diritto sul reato di atti persecutori (stalking) in Inghilterra dopo un periodo di studio a Oxford, quando ancora in Italia non si parlava di questo fenomeno. Dopo la laurea ho iniziato a collaborare con la Prof. Marilisa D’Amico (Professore ordinario di Diritto costituzionale dell’Università degli Studi di Milano; componente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa) e ho conseguito il Dottorato di ricerca in Diritto costituzionale, con una tesi sulle problematiche sottese alle materie della procreazione medicalmente assistita e dell’interruzione volontaria di gravidanza. Attualmente sono Assegnista di ricerca in Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Milano, Professore a contratto di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Verona e dal 2011 Avvocato del Foro di Milano. Collaboro inoltre come consulente giuridico con il Comune di Milano, nell’ambito dello sportello offerto ai cittadini sulla genitorialità e sulla procreazione.
Grazie alla Prof. D’Amico, ho potuto seguire tutte le questioni riguardanti i diritti civili e le cosiddette questioni eticamente sensibili, con particolare riguardo alla procreazione, alla salute, all’autodeterminazione, al genere e all’orientamento sessuale, sulle quali svolgo principalmente la mia attività di ricerca in Università, sotto la supervisione della stessa Prof. D’Amico. L’8 marzo 2014 in qualità di avvocato e insieme alla Prof. D’Amico abbiamo ottenuto una importante decisione del Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa, che, accogliendo il Reclamo collettivo presentato dall’International Planned Parenthood Federation European Network, ha riconosciuto che l’Italia viola il diritto alla salute e il principio di non discriminazione, poiché non assicura in concreto – come invece prevede la legge n. 194/1978 – in presenza dei requisiti stabiliti dalla legge, la possibilità di accedere al trattamento interruttivo della gravidanza, in ragione dell’elevato numero di medici obiettori di coscienza e della disorganizzazione degli ospedali e delle Regioni, pure espressamente richiesta dalla legge. Dopo una pubblica udienza alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, davanti al Comitato Europeo dei Diritti Sociali, che si è tenuta il 7 settembre 2015 a Strasburgo, siamo in attesa di una seconda decisione (rispetto al Reclamo collettivo presentato dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro), sulla stessa materia, che coinvolge anche i diritti lavorativi dei medici non obiettori di coscienza che sono costretti, nei fatti, a svolgere solo quel tipo di trattamenti per poter far fronte alla complessiva richiesta.
Nella storia del diritto, in particolare in quello romano, si nota una forte componente maschile, per non dire “maschilista”: com’è la situazione nel diritto contemporaneo ed è possibile oggi configurare un'interpretazione del diritto al femminile?
Se non è pensabile la configurazione o l’interpretazione di un “diritto al femminile”, occorre certamente prendere atto che alcuni settori del nostro ordinamento e la relativa regolamentazione si occupano indiscutibilmente e in misura preponderante delle donne. Pensiamo per esempio alla materia della procreazione medicalmente assistita o a quella dell’interruzione volontaria di gravidanza. La corretta individuazione del bilanciamento fra contrapposte posizioni giuridiche in questi settori (riconducibili in capo alla donna, alla coppia, al padre, al concepito) e la effettiva applicazione delle relative discipline, però, dispiega indubbi riflessi anche nei confronti della società nel suo complesso: proprio in questa prospettiva, allora, una maggiore sensibilità ai temi “femminili” (ma che appunto solo “femminili” non sono) diventa imprescindibile per contribuire alla diffusione degli strumenti conoscitivi atti a rendere consapevoli le scelte delle persone in queste delicate materie.
Tra le stesse organizzazioni femminili e femministe, si è aperta un'animata discussione sulle cosiddette “quote rosa”…
Nel dibattito relativo alle cosiddette quote rosa, occorre necessariamente distinguere all’interno delle misure positive tese a riequilibrare la presenza delle donne nelle sedi di rappresentanza fra quelle che assicurano direttamente il risultato (come potrebbe essere la previsione di un numero specifico di posti da assegnare all’uno e all’altro genere) e quelle che predispongono uno strumentario atto a facilitare la scelta del genere meno rappresentato (come per esempio la composizione alternata in base al genere delle liste per le elezioni o la possibilità di esprimere la cosiddetta doppia preferenza). Queste ultime misure, in effetti, consentono di introdurre una efficace riflessione che potrebbe condurre all’affermazione di una più piena consapevolezza nella società del valore di una rappresentanza equilibrata.
È un'impegnata collaboratrice della Casa dei Diritti: potrebbe illustrarcene significati e finalità?
A seguito della sentenza n.162 del 2014 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa (ovvero del ricorso a gameti esterni alla coppia), la Prof. Marilisa D’Amico, che ha ottenuto la stessa decisione, e l’Assessorato alle Politiche sociali e Cultura della salute del Comune di Milano hanno deciso di offrire ai cittadini e alle cittadine un servizio gratuito essenziale di informazione e conoscenza rispetto alle concrete problematiche sottese alla procreazione medicalmente assistita, sotto diversi punti di vista (quello giuridico, quello medico e quello di sostegno psicologico e di confronto con le associazioni impegnate nel settore). Lo sportello “Tutta la genitorialità possibile” ha inoltre visto ulteriormente rilanciato il proprio compito negli ultimi mesi, in considerazione della necessità di offrire un servizio che comprenda tutte le problematiche sottese alle diverse forme di genitorialità che ormai esistono nella nostra società.
È in corso un serrato dibattito sulla nostra “Costituzione”…
Fermo restando che il tema meriterebbe un più ampio approfondimento, non possibile in questa sede, e fermo restando che non ritengo che la Carta fondamentale debba considerarsi intoccabile, nutro profonde preoccupazioni rispetto al dibattito e alla proposta di riforma costituzionale (soprattutto in combinazione con la nuova legge elettorale), che pur riguardando la Seconda parte della Costituzione (quella dedicata ai profili organizzativi del nostro ordinamento) è suscettibile di incidere anche sulla Prima parte (dedicata al riconoscimento e alla garanzia dei principi e dei diritti fondamentali). Il sistema organizzativo fondato in particolare sul principio della separazione dei poteri (Seconda parte della Costituzione), infatti, si deve porre in funzione servente rispetto alla tutela dei principi e dei diritti fondamentali (Prima parte della Costituzione), così definendo i due pilastri del moderno costituzionalismo (Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789, art. 16, secondo cui ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una Costituzione). Inoltre, credo che l’asserita mancata coincidenza fra Costituzione materiale e Costituzione formale non possa, di per sé, giustificare un’iniziativa di riforma costituzionale, ma al contrario debba impegnare alla compiuta attuazione della Carta costituzionale e dei suoi principi.
“Diritto a procreare”: come si può interpretare e realizzare?
Nel nostro ordinamento non è espressamente riconosciuto il diritto a procreare, ma, considerando alcuni riferimenti normativi e alcune decisioni della Corte costituzionale, è possibile individuare un indubbio valore assegnato non solo alla procreazione cosciente e responsabile (legge n.194/1978, che disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza), ma anche alla procreazione medicalmente assistita (legge n.40/2004, che disciplina la procreazione medicalmente assistita), che può trovare il proprio fondamento costituzionale negli articoli 2, 3, 13, 31 e 32 della Costituzione. Nella materia della procreazione assistita, in particolare, la Corte costituzionale ha avuto modo di dare rilievo alle cosiddette esigenze della procreazione della coppia (sentenza n.151/2009), al diritto di formare una famiglia anche con figli, al diritto di autodeterminazione nelle scelte procreative e al diritto alla salute anche psichica della coppia che debba ricorrere alla fecondazione eterologa (sent. n. 162 del 2014), e di riconoscere il diritto di accedere alle tecniche assistite anche per le coppie né sterili né infertili, ma portatrici di gravi malattie geneticamente trasmissibili, in modo da garantire l’accesso alla diagnosi preimpianto e scongiurare il rischio di violazione del diritto alla salute della donna che, in caso contrario, avrebbe poi potuto accedere all’interruzione di gravidanza a seguito della diagnosi prenatale (sent. n.96 del 2015). A fronte di questo quadro sembra pertanto possibile, non tanto configurare un diritto alla procreazione quale “diritto al figlio in braccio” (e dunque quale pretesa di risultato), quanto un diritto a vedere garantiti seri tentativi di instaurare una gravidanza e dunque tutelati i diritti sottesi al momento procreativo (esigenze procreative, libertà di autodeterminazione nelle scelte procreative, diritto di formare una famiglia anche con figli, diritto alla salute anche psichica).
Come giudica la classe politica, l'opinione pubblica e i “mass-media” italiani nei confronti delle tematiche delle differenze di genere e della procreazione medicalmente assistita?
È molto importante che su queste tematiche, che come si è detto coinvolgono aspetti molto delicati della sfera privata e familiare delle persone, si apra un serio e maggiormente approfondito dibattito anche attraverso i cosiddetti mass media. Questo rappresenta un preliminare e fondamentale passaggio in vista sia delle determinazioni politiche tese a regolamentare questi stessi settori sia della scelta consapevole di esercitare o meno i diritti che vengono riconosciuti. I mezzi di comunicazione, quindi, hanno un compito di grandissimo rilievo, perché possono contribuire in modo decisivo all’informazione dei cittadini e delle cittadine sulle problematiche sottese, soprattutto nell’ambito di tematiche complesse. Rispetto a queste ultime occorre, dal mio punto di vista, che non si rinunci affatto all’informazione, se pure (necessariamente) divulgativa, ma non per questo imprecisa, fuorviante o errata.