Il pittore Agostino De Romanis è nato a Velletri il 14 giugno 1947 e si è formato in un territorio ancora tormentato dalla distruzione del dopoguerra, immerso in quelle immagini devastanti fatte di abitazioni diroccate, folle disorientate e persone addolorate per le perdite subite. Questa è stata anche la spinta per il giovane Agostino a volgersi verso il suo mondo interiore per recuperare la speranza che in futuro lo spazio vuoto generato dalla guerra si riempisse di una nuova coscienza.
Non è stato facile popolare la tela bianca ricreando un mondo più umano, ma Agostino non si è arreso dando luogo a una lunga riflessione sulla disgregazione dei corpi e delle anime. E forse proprio per questo motivo, tra un dipinto e l’altro, si è dedicato alla scenografia, allestendo il suo Palcoscenico per la messa in scena di ambienti più intimi dove l’uomo si sentisse accolto, con uno stile dai contorni indistinti che raggiungerà il culmine del discorso poetico in età più matura.
Una prima svolta nella pittura di De Romanis si attua negli anni '70, con la realizzazione di una serie di dipinti che il critico Marcello Venturoli includerà nella corrente della Nuova figurazione di Vespignani, Ferroni, Guerreschi, ecc., un modo di conciliare il realismo esistenziale dell'immediato dopoguerra con un linguaggio pittorico contemporaneo. Un’altra esperienza importante per il nostro artista, nel 1976, è stata quella di illustrare La Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Agostino dipinge venti straordinari quadri che riflettono la malinconica ansia del Tasso esprimendo, con le giuste tinte, quella condizione dell’uomo sempre attraversata dal dubbio in cui la vita è una “Sfida infernale” dove siamo incessantemente in balia di forza e debolezza e della tentazione diabolica di trasgredire.
La seconda svolta della sua carriera si attua con l’incontro del critico Italo Mussa che, nel 1986, lo inserisce tra gli esponenti della Pittura Colta, un movimento artistico, teorizzato dallo stesso Mussa nel 1980, attento al rigore sia nello studio della forma sia nelle tecniche per realizzarla, con un ritorno alla pittura in chiave postmodernista e con un rifiuto verso ogni facile sperimentalismo. Un passo essenziale per l’avvicinamento al sacro di De Romanis è stato il compito di realizzare, nel 1987, due dipinti per l'abside della chiesa di San Giuseppe Artigiano in Roma intitolati Vecchia e Nuova Alleanza. Un’anticipazione, invece, della sua propensione per il fiabesco, è stata, dal 1988 al 1991, la serie delle Fabulae, come le definisce Domenico Guzzi. Si tratta di “illustrazioni” magiche che «con i tratti del pastello, con le velature dell’acquarello, con il corpo delle resine naturali, poggiando tutto sull’amalgama acrilica, sono il suo mondo. Un mondo in cui il fantastico ha fuor di dubbio il sopravvento sulla realtà».
Negli anni ’90 la verve poetica di De Romanis si estrinseca con l'ideazione e la realizzazione di una straordinaria e avvincente serie di “cento acquerelli” intitolata Acqua Aria Terra e Fuoco che nel 1993 espone nella Cattedrale di St Mary di Sydney. Nel 1995 espone e pubblica, invece, il suo lavoro sui limiti dell’uomo e sui muri che imprigionano l’anima, intitolato Carceri e vie di fuga. Come sostiene, infatti, il critico Vittorio Sgarbi, Agostino si appassiona al tema della «libertà, spirituale e fisica, collettiva e individuale» indagando sulle modalità in cui la prepotenza degli uomini, i meccanismi sociali e le nostre stesse paure, ci condizionano creando muri, pareti e prigioni esistenziali. Nel 2000 Agostino ritorna al sacro dipingendo una serie di 22 quadri sulla cristianità, ispirati a Giovanni Paolo II, un ciclo ititolato Il grande cammino, esposto nell’Abbazia di Casamari e nel Museo diocesano di Velletri, che rappresenta un’altra importante tappa nel suo percorso pittorico.
La terza e fondamentale svolta nell’arte di De Romanis si attua nella serie dei dipinti ispirati all'Indonesia. In verità il primo viaggio di Agostino verso l’Oriente risale al 1978 e, dopo quel primo viaggio, ritorna tante volte in quel posto, in particolare nell’isola di Bali, sempre accompagnato dalla sua compagna Angela. È come se Agostino riscoprisse nelle bellezze di quei luoghi, nella forte presenza della natura, nei riti ormai dimenticati dalla nostra società occidentale, nella potenza dei vulcani e nella grandezza dei fenomeni naturali, quella connessione primordiale dell’uomo con il Tutto, con tutti gli altri Esseri, con la libertà originaria di essere se stessi.
La pittura di De Romanis da quel momento compie un’elevazione che la muta in verità universale. Lo stupore della sua anima tormentata si fa gesto istintivo che esplode nella policromia delle terre, dei rossi appassionati, dei verdi, dei cobalti, dei cieli di doloroso turchese. La luce pervade ogni dipinto, i volti primitivi dei balinesi, la ritualità dei loro gesti, la spontaneità delle scene nell’incanto cromatico del tempo di sogno. Secondo la visione del critico Roberto Luciani, De Romanis riesce ad attuare un «inserimento delle espressioni mistiche dentro le grandi scacchiere dell’origine». Ed evidenzia come il nucleo fondamentale della sua pittura sia la luce: «una luce liquida che scorre in flussi ascensionali e rifluisce in quegli spazi reali o illusori, ad illuminare la complessità delle immagini…». Luciani scorge nell’opera di Agostino quasi una specie di illuminazione dalle ombre che abbiamo dentro: «Nella produzione del maestro affiorano evocati volti e sagome di personaggi misteriosi, dei, occhi, eroi, inquieti idoli rimasti per secoli nascosti sotto la terra. La luce sgorga escludendo ogni ombra e purificando l’immagine dal buio».
Agostino appiattisce l’immagine sulla tela e ne sfuma i contorni esaltandone il colore. Riesce, così, ad attuare quella rappresentazione mentale primaria che fa parte dell'inconscio collettivo, ricreando simboli presenti in tutte le culture e in ogni epoca storica. Bali fornisce lo spunto per manifestare l’archetipo, quella summa di esperienze primordiali dell’umanità sugli aspetti fondamentali della vita che ricorre nel nostro artista. De Romanis scoperchia il pozzo dell’inconscio e lo esplora fino in fondo, facendo emergere dai suoi quadri immagini simboliche, sogni eterei, visioni fantastiche, antiche memorie dei miti, delle fiabe e della religione. Da questa immersione nel mondo orientale scaturiscono una miriade di dipinti che riescono a immortalare l’anima del popolo balinese, «celebrando un altro matrimonio così come avvenne tra Gauguin e Tahiti, tra Agostino De Romanis e le isole indonesiane, tanto che le stesse popolazioni lo considerano uno dei migliori interpreti della loro realtà». Questa abbondanza di dipinti si traduce, naturalmente in una serie di mostre.
Nel 2003 i Musei di S. Salvatore in Lauro di Roma ospitano la serie Riscoprire l'Indonesia - Miti e Leggende, con saggi critici di Vittorio Sgarbi e Italo Moscati. Nel 2004 e 2005 i Musei di Giacarta e Bali espongono i nuovi dipinti della serie Rediscovering Indonesia. Dal 2006 si susseguono esposizioni a Poltu Quatu in Sardegna, a Palermo, a Civitavecchia, a Frosinone, nell'isola di Sant'Antioco e a Roma. Nel 2010 alcuni dipinti di De Romanis sono selezionati dal Ministero Affari Esteri per entrare a far parte della Collezione Farnesina a Roma. Nel 2011 è invitato alla 54ª Esposizione Internazionale d'Arte Biennale di Venezia - Regioni d'Italia a cura di Vittorio Sgarbi. Nel 2012 espone la serie delle opere Il pensiero dipinto - La forza mistica del mondo orientale per la Camera dei deputati, a cura di Vittorio Sgarbi. Nel settembre del 2012, una parte significativa della vita e dell'opera di Agostino De Romanis è rappresentata in un DVD dal titolo L'Indonesia liberata, con la regia di Simone De Rossi. Sempre nel 2012 espone alla Fondazione Elsa Morante di Roma la mostra All'origine delle cose sulla simbologia dei numeri, curata da Roberto Luciani. Nel 2015 Palombi editore pubblica la biografia De Romanis pictor di Antonio Venditti con presentazione di Roberto Luciani.
«All'estremo del suo percorso, dopo aver solcato i sentieri del magico e del religioso, l'arte si è resa autonoma da tutto ciò che non è se stessa ed è diventata redenzione, salvezza dell'umanità: è questo il messaggio che continua a diffondere la pittura sapiente e taumaturgica di De Romanis, per liberare le potenzialità infinite delle nostre anime, per aiutarci a diventare più liberi dentro», scrive Vittorio Sgarbi.
Sono passati cinquant’anni dall’esordio del pittore, oltre 300 dipinti sono stati realizzati nei trent’anni di ricerca nelle isole dello sterminato arcipelago Indonesiano. Essi raccontano dei “mille templi” dell’isola di Bali; della linea di Wallace - confine biologico tra Australia e Asia posto tra Bali e Lombok -, dell’isola del drago di Komodo - la più grande specie di lucertola del mondo -, delle cerimonie funebri delle Sulawesi - dove il defunto, deposto in sarcofaghi a forma di piroga, compie l'ultimo viaggio verso i cimiteri rupestri situati sui fianchi delle montagne, come se stesse affrontando una difficile navigazione -, delle popolazioni mongole dei Batak - che credono nell'esistenza degli spiriti degli antenati ritratti nelle sculture in pietra -, della cultura dei Minangkabau - che riescono a conciliare il matriarcato con la tradizione patriarcale dell'Islam -, della primitiva isola di Siberut, dove il tempo sembra essersi fermato…
La visione animistica di De Romanis, il suo approfondimento junghiano, il suo anelito a conoscere ciè che cova dentro l’anima della Natura, non si limita a rappresentare il Paradiso Perduto delle origini, ma raffigura anche una Natura viva che nel suo movimento può travolgere come mostra in alcune opere fra le quali uno Tsunami. Lo evidenzia Sgarbi dicendo che «i morti travolti dall’onda assassina non sembrano disperati, tornano alla natura che amavano e contemplavano, come in un grande, terribile, ma non doloroso abbraccio. Così, immergendoci nella natura fino alla perdita delle nostre vite, le anime degli uomini si sublimano in essa, diventano la sua stessa anima», infatti lo definisce "pittore dell'Animismo".
La prossima mostra Percorsi recenti è programmata agli inizi del 2016 nella Chiesa di Santa Maria dell’Orto a Roma, sempre a cura di Roberto Luciani.