Lo scultore Fabio Viale espone fino al 10 dicembre da Poggiali e Forconi di Firenze il suo nuovo progetto dal titolo +O I, un corpus di lavori realizzati in marmo di Carrara; in più nella project room della galleria fiorentina in Via Benedetta, in occasione dei 540 anni dalla nascita di Michelangelo, Viale mette in mostra due opere in marmo bianco dedicate al genio dell’arte: un tavolo di grandi dimensioni tatuato con affreschi della Cappella Sistina e un busto maschile decorato da tatuaggi sempre ispirati dalle scene della Cappella Sistina [1].
Laureato all’Accademia di Belle Arti di Torino, Fabio Viale, cuneese, classe 1975, conosce perfettamente la tecnica scultorea. Le sue opere coniugano una certa classicità con la sperimentazione, il suo credo artistico si basa sulla poetica dello spiazzamento e della strategia dell’equivoco, e sul senso e la percezione della materia. Le sue sculture possenti e significative sono state presentate in ambito nazionale e internazionale e nel 2014 l’artista ha vinto la 15esima edizione del Premio Cairo con l’opera dal titolo La Suprema, una cassetta della frutta in marmo con un’apparenza di estrema leggerezza. Ma l’opera che lo ha lanciato nel mondo delle gallerie e dei collezionisti è la spettacolare performance Ahgalla, quando, nel 2003, l'artista ha attraversato il Tirreno e il Po a bordo di una barca scolpita in un unico blocco di marmo.
Ahgalla rappresenta l’opera che l’ha portata alla ribalta nel mondo dell’arte?
Sì. La prima barca che ho realizzato pesava 230 chili. Poi ne ho fatta una versione più grande in grado di navigare anche meglio, portava addirittura 10 persone. Era una barca a tutti gli effetti ma la prima che ho realizzato è stata fatta ricavandola da un unico blocco, e il periodo in cui ho realizzato questa scultura, per davvero avevo la necessità di fare un’opera che aprisse una nuova dimensione nel mio modo di vedere la scultura e nel mio immaginario. Perché mi sono reso conto all’Accademia che era necessario realizzare delle sculture che fossero differenti da quelle che avevo visto fino ad allora. E un’opera come Ahgalla mi dava la possibilità di vedere anche non solo quel lavoro ma quelli a seguire con una nuova ottica. Poi ovviamente l’aspetto mediatico e la notizia mi hanno fatto riflettere sulla potenzialità che questo nuovo genere di scultura poteva avere. E così poi ne ho realizzate altre su quell’onda.
La scelta della scultura del marmo attinge al suo passato?
Ho cominciato a 16 anni e rispetto agli altri materiali ho trovato nel marmo un’estrema facilità e la possibilità di realizzare delle opere che avevano impressa questa freschezza, e questa freschezza trasmette un senso di qualità e un alto senso estetico del bello. Io stesso ne ero meravigliato. E questa sorta di piacere mi è rimasta negli anni.
Le sue sculture esprimono una poetica dello spiazzamento. Dalla Monna Lisa in polistirolo (in marmo) agli pneumatici sempre in marmo esposti da Poggiali e Forconi.
Io credo che ci debba essere sempre una dualità, un doppio punto di vista. Da una parte uso la materia, mi piace trasformarla, perché attraverso il meccanismo della metamorfosi si crea un meccanismo che incanta, e l’incanto è ciò che crea l’incantesimo dell’arte. Perché a mio parere, la mia scultura andrà oltre me, almeno me lo auguro, e quando andrà oltre me e non ci saranno più le parole , ci sarà solo l’incanto per chi vedrà l’oggetto. Questo semplicemente per riuscire a rimanere nel tempo.
Nella mostra di Firenze, oggetti di uso comune come ispirazione e ready-made perfetti che coniugano il concetto di leggerezza con la potenza del marmo e nella seconda parte l’omaggio a Michelangelo, il genio rinascimentale. Con i tatuaggi che attingono a una sua ricerca precedente…
Ho realizzato molti lavori con i tatuaggi criminali russi e ho fatto una mostra a Pietrasanta con molte sculture tatuate con quella tipologia di immagini. La tecnica è molto simile, le immagini sono molto differenti. C’è molto sacro e molto profano, molti teschi, armi, tante scritte, parolacce in russo ed è, quella del tatuaggio criminale russo, un’immagine molto aggressiva che stride tantissimo con il candore del marmo. Per la mostra di Poggiali e Forconi, visto lo spazio della Project room avevo in mente di fare questo grande tavolo tatuando sopra la Creazione con alcune immagini tratte dalla Cappella Sistina, non tanto per un omaggio a Michelangelo, ma soprattutto per vedere che cosa poteva divenire un disegno fatto da uno scultore su una scultura. E l’effetto è estremamente contemporaneo. Sono riuscito a trovare un bel compromesso tra l’arte della scultura e l’arte della pittura.
Nel 2014 ha vinto il Premio Cairo. Cosa conta un premio per un artista?
Il mio lavoro ha sempre suscitato l’interesse del collezionismo e il premio mi ha permesso di essere conosciuto dal grande pubblico e anche attraverso la TV tutti hanno potuto vedermi. Qualcosa ha fatto soprattutto a livello di bellissima soddisfazione personale. Ma non dovevo vincere io quel premio anche perché partecipavano artisti di fama ben più accreditati di me.
Ha esposto alla Galleria Sperone Westwater a New York nel 2013. Quanto è stato importante esporre in uno spazio tra i più noti al mondo per l’altissimo livello artistico che propone?
Sperone è quello che nella mia carriera mi ha dato la possibilità di lavorare ai massimi livelli. Su ogni finestra della galleria, per dare un esempio, ci sono tre tipi di tende per tre tipi di regolazione della luce: una che frange semplicemente la luce, molto leggera, un’altra un po’ più importante, e una più scura. Sperone è talmente amante dell’arte che fa anche questi sottili ragionamenti per valorizzare l’arte al massimo. E tutto il resto, dall’organizzazione alla comunicazione, richiede un’attenzione e un livello altissimi. E per me essere da Sperone non è stato tanto un punto di arrivo ma il mezzo che mi ha permesso di fare certe cose. Ho dovuto fare un salto di qualità sotto tutti i punti di vista ed è stato uno stimolo costante e continuo.