Le icone di Sapere Ibrido Scarto sono la sintesi di due percorsi differenti partiti per ragioni diverse dal medesimo bisogno: attribuire alle cose un significato temporaneo e simbolico.
Il tempo determina il sapere, l’ibrido e lo scarto e in ogni istante può cambiare il nostro registro di comprensione tra i loro rapporti. In questa dimensione fa gioco il racconto immaginario della memoria collettiva e la consapevolezza che un’immagine ha la forma di un gesto strappato al presente. Probabilmente per realizzare un’icona ibrida bisognerebbe conoscerne in anticipo la propria destinazione finale. Ma in questo lavoro mi sono mosso senza una direzione precisa nel tentativo di ottenere istanti senza un registro temporale. L’intenzione è di ritrovarne uno nuovo nel momento in cui ho pensato di togliere a queste immagini la propria staticità iconica, di accostarle ad altre e di completarne provvisoriamente e arbitrariamente il proprio significato.
Pertanto, portato all’eccesso, il sapere è un concetto in continua mutazione che possiamo percepire più facilmente nella propria dimensione ibrida o ai margini del proprio scarto. Questo istante anomalo può essere congelato da un solo scatto fotografico e rivelato da una narrazione senza parole. Alla base di tutto c’è la convinzione di ottenere una buona sintesi solo se combino l’immanenza del reale con la contingenza del processo creativo restituendo movimento all’immagine fotografica di per sé statica. Parlare con le immagini mi permette di restare in una dimensione sospesa tra ciò che è in continuo divenire e ciò che diventa immutabile riproducendo la propria fissità all’infinito* (cit. Riccardo Panattoni).
A tal proposito il mio dispositivo non è sempre puntato sull’esterno in cerca della realtà come uno specchio ma piuttosto è una finestra che si apre solo in certi momenti quando sento che qualcosa o qualcuno al di fuori mi sta chiamando. Sarebbe impossibile realizzare immagini fotografiche così come i nostri occhi guardano, ibridano e scartano milioni di volte al giorno. Ma il sapere, differente per ciascuno di noi come approccio all’esperienza, diventa un’immagine ipnagogica, come nel sogno, generata dal confronto con la prima. Nel momento in cui decidiamo di togliere un’immagine dal proprio contesto più o meno completamente possiamo renderla priva di valore temporale e attribuirle un effetto ciclico che la rende contingente. Le immagini di questo progetto sono frammenti temporali di esperienze scelte, costruite, ibridate e cancellate senza alcuna volontà estetica.
Site specific: Hotel Paradiso
In Val Martello si trova vicino a un ghiacciaio un albergo abbandonato che ha avuto nella storia utilizzi e significati differenti: da soggiorno per la borghesia agiata a sede di un comando nazista durante la guerra. L’edificio progettato da Giò Ponti è ancora bello nonostante lo stato avanzato di decadimento e degrado. Divenuto luogo di memoria e di abbandono conserva il proprio fascino come un “tempio greco” ma in una dimensione che non gli rende giustizia. L’Hotel Paradiso è stato in lunghi anni di abbandono danneggiato da chi ne ha abusato lasciando nei suoi pressi e nel meraviglioso contesto naturalistico in cui è inserito scarti e immondizia di ogni genere. I rifiuti abusivi si mescolano ai pezzi abbandonati che probabilmente appartenevano all’hotel. Resti autentici, rifiuti e abusi hanno generato un ibrido ambientale.
Ho raccolto dal contesto alcuni oggetti che mi hanno colpito per la loro forma. (Alcuni sono stati ritrovati nel ghiaccio). Ho dato a questi scarti il valore di documenti come reperti della nostra civiltà fatta di consumo, abuso e degrado senza un giudizio morale ma trattando tutti i documenti semplicemente come un repertorio interessante. Dopo averli catalogati e fotografati ho ricollocato i pezzi ambientandoli in piccoli habitat naturali. Li ho lasciati nelle nuove collocazioni per cinque mesi (dalla primavera all’autunno). Sono tornato sui posti per documentare come la natura si fosse riappropriata degli oggetti abbandonati. Le riprese ambientali degli scarti rappresentano, come una metafora, lo stesso Hotel Paradiso abbandonato ai piedi del Cevedale a 2160 metri in un contesto naturale di cime, nevi disciolte e ghiacciai.
Per saperne di più leggi:
Aboca Museum