“Non esiste quello che vedete, esiste quello che fotografate” si può considerare uno dei principi granitici di Franco Fontana, uno dei maestri contemporanei della fotografia italiana tra i più noti e riconosciuti in ambito internazionale con più di quattrocento mostre, senza contare i numerosi libri pubblicati e i riconoscimenti e i premi ricevuti che attestano la sua arte. E con Absolute, a cura di Roberto Mutti, ha riaperto la stagione autunnale della galleria Sabrina Raffaghello, con una mostra che rientra nel circuito di eventi del Photofestival 2015 e resterà aperta fino al 2 novembre [1].
Fontana, modenese, artista ottantenne con uno spirito, un’energia e una verve senza pari, ha reinventato il colore in fotografia e questa sua intuizione risale agli anni '60. “Il colore in quel periodo non era considerato in fotografia. Invece il colore è molto più difficile da realizzare rispetto al bianco e nero semplicemente perché il bianco e nero è un difetto, per dirla con una mia battuta, e tutto ciò che è difetto attira perché non siamo abituati a vedere i difetti delle cose”.
Così forma, colore e movimento costituiscono la sua cifra stilistica sempre coerente e libera e, nello spazio della galleria milanese, si traducono in un percorso che segue le diverse tematiche sviluppate nella sua incessante ricerca artistica, dai paesaggi, ai nudi, dagli asfalti alle piscine fino ai suggestivi landscape urbani dove esalta la luce americana. Opere storiche e opere più recenti con alcuni inediti.
A proposito della sua concezione di forma, Franco Fontana spiega: “È nella forma la chiave dell’esistenza, e cerco di esprimerla fotografando lo spazio, in correlazione con le cose coinvolte in esso. E uno spazio non è ciò che contiene la cosa ma ciò che emerge in relazione della cosa”. Ma la sua visione è molto più vasta: “Noi vediamo con il pensiero e con il cuore. Quando sono andato in America nel 1979 le mie foto sono state accettate e pubblicate da tutti. È chiaro che la mia fotografia rappresenta uno stile sorto da una cultura europea. Sono nato in Italia. E quello che cerco è sempre di isolare nello spazio e nel tempo ciò che normalmente ci gira attorno con la luce perdendosi in una prospettiva infinita, e scomparendo nel vuoto di altri valori. Io dico sempre che cancello per leggere”.
Si nota nello spazio Sabrina Raffaghello una fotografia storica riconosciuta universalmente per l’unicità poetica e tra le più apprezzate dal collezionismo del mondo, dal titolo Baia delle Zagare del 1970, “un’icona che perfino i francesi hanno utilizzato, per la diffusione del pensiero francese realizzando un manifesto in tutte le ambasciate del mondo” precisa Fontana “ma quest’opera rappresenta anche un archetipo, il mio modo di vedere il paesaggio. Non ci si deve limitare a guardare in superficie e così i paesaggi diventano come autoritratti. Tutto si traduce in una specie di connubio, di amplesso con il soggetto”. E le opere esposte raccontano questa realtà artistica e culturale nel trionfo del colore, nelle composizioni geometriche e lineari che sfociano in un astrattismo paesaggistico dove lo sguardo si perde e nel gioco di luci e di contrasti metafisici.
E se si chiede a Fontana, maestro di fotografia, cosa pensa della fotografia di oggi, la risposta è chiara “Dico sempre che è stato fotografato tutto e tutto è da rifotografare. Come l’arte. Va reinventata ma non con pochi scarabocchi e in modo arbitrario. La fotografia è un pretesto e nei miei corsi cerco di far capire ai miei studenti quello che è una loro autonomia e ricordando che prima di diventare bisogna essere”. E la vita di Franco Fontana ne è la riprova. “Dedicarsi alla fotografia non è stata la ricerca di un mestiere ma una scelta che ha privilegiato la qualità della mia vita ed è consistita nel mettere la fotografia al centro dell’esistenza”.