Un articolo pubblicato sulla rivista Scientific Reports descrive una ricerca che mostra come la presenza di ossigeno non costituisca una prova definitiva della presenza di forme di vita su esopianeti. Lo studio condotto da Norio Narita, professore del Centro di Astrobiologia del National Institutes of Natural Sciences (NINS) di Tokyo e da Shigeyuki Masaoka, professore dell’Istituto di Scienze Molecolari presso lo stesso istituto dimostra che nell'atmosfera di un pianeta ci può essere una gran quantità di ossigeno prodotto attraverso processi non biologici.
Sulla Terra, l'ossigeno presente nell'atmosfera viene prodotto dalle piante tramite fotosintesi. Per questo motivo finora gli scienziati hanno pensato che anche sugli esopianeti, quindi in altri sistemi solari, l'eventuale presenza di ossigeno nell'atmosfera dovesse essere dovuta alla presenza di forme di vita capaci di fotosintesi.
Ora però la ricerca condotta dal team del dottor Narita dimostra che esiste almeno un tipo di processo non biologico in grado di produrre ossigeno. Si tratta della reazione fotocatalitica dell'ossido di titanio, un composto noto per essere abbondante sulla superficie di meteoriti, della Luna e soprattutto di esopianeti di tipo terrestre.
Questa ricerca ha concluso che su un pianeta con un ambiente simile a quello del sistema Sole-Terra, una reazione fotocatalitica continua dell'ossido di titanio su una superficie pari a solo lo 0,05% di quella totale di un pianeta potrebbe produrre la quantità di ossigeno esistente oggi nell'atmosfera terrestre.
Sono state fatte stime della possibile produzione di ossigeno anche per pianeti abitabili attorno ad altri tipi di stelle con varie masse e temperature. Il risultato è che anche nel caso di più bassa efficienza, quando la stella ha una temperatura relativamente bassa, la reazione fotocatalitica dell'ossido di titanio sul 3% della superficie del pianeta potrebbe essere sufficiente a mantenere una quantità di ossigeno nell'atmosfera simile a quella terrestre.
Questo studio dimostra quanto poco ne sappiamo ancora sui possibili processi chimici in atto su pianeti in altri sistemi solari. In effetti, perfino le missioni delle varie sonde spaziali che stanno esplorando il nostro sistema solare continuano a riservarci sorprese. Ciò ci dà un'idea di quanto ancora dobbiamo imparare su esopianeti dei quali i ricercatori devono dedurre le caratteristiche da una quantità estremamente limitata di informazioni.
Il dottor Narita ha fatto notare che per cercare vita su pianeti extrasolari attraverso l'osservazione astronomica abbiamo bisogno di combinare le conoscenze da numerosi campi scientifici e di promuovere le ricerche astrobiologiche per stabilire quali siano i segni decisivi della vita. Narita ha aggiunto che anche se l'ossigeno è ancora uno dei possibili biomarcatori, diventa necessario cercarne altri nuovi come conseguenza di questa ricerca.
I primi esopianeti sono stati scoperti solo vent'anni fa e solo negli ultimi anni, grazie a missioni come quella del telescopio spaziale Kepler della NASA, la quantità di esopianeti confermati ha raggiunto alcune migliaia di unità. Molti di questi pianeti sono giganti gassosi, come Giove, non adatti a ospitare forme di vita simili a quelle terrestri. Questo è l'altro grande problema della ricerca di vita aliena: noi conosciamo solo quella terrestre perciò cerchiamo i segni di vita simile in altri pianeti ma potrebbero esistere tantissimi altri tipi di vita.
I nostri strumenti diventano sempre migliori permettendoci di catturare maggiori dettagli degli esopianeti. Le conoscenze accumulate nel tempo ci permettono di interpretarli meglio ma c'è ancora molta strada da fare. Nuovi studi come questo ci permetteranno di cercare in maniera più mirata.