Da sempre fascinoso terreno di diatriba filosofica il tempo è oggi il più inquietante e rivoluzionario protagonista nel teatro del mondo.
Il tempo dilatato e onnipotente della visione sincrona sembra spalancare sempre nuove porte al sapere condiviso, abbiamo la sensazione di essere proiettati in quel “tempo del mito” nel quale tutto accadeva come per incantesimo, là dove i poeti potevano incontrare le Muse e gli Dei intrecciavano la loro immortalità con le limitate esistenze degli umani, dove gli eroi sapevano andare e tornare dagli Inferi o viaggiare sul carro del Sole. Eppure questa vastità sconvolgente e quasi ubriacante, questa immensa potenzialità deve fare i conti con una qualità del vivere che sempre più subisce gli assalti del tempo negato.
Nel ritmo concitato del quotidiano il bisogno di tempo è ormai sintomo di disagio collettivo, richiesta martellante, quando non ossessione. Nel nuovo assetto sociale ed economico si è fatto di tutto per velocizzare e rendere più efficiente ogni atto del vivere, eppure accade sempre più spesso di rendersi conto che abbiamo per noi stessi un tempo molto più limitato di quello a disposizione dei nostri antenati.
La trasformazione dei modi del lavoro e dell’impegno non significa quasi mai tempo dedicato a noi stessi, tempo liberato, tempo esonerato dal fare, quanto piuttosto ulteriore tempo da spendere in attività. Si consolida una sorta di horror vacui, di paura dello spazio-tempo vuoto che ci costringe ad andare sempre più veloci per non mancare ad alcun impegno nemmeno a quello del divertimento.
Crescono il timore di essere esclusi dai giochi di gruppo divenuti frenetici, la paura di stare con se stessi, di stare fermi, una mania compulsiva che spinge a consumare ogni attimo, a trasformare ogni azione in un veloce passaggio a qualcosa d’altro. Eternamente scattanti, eternamente giovani, tutti esorcizzano il passare del tempo correndo. C’è l’obbligo della rapidità, il dovere della velocità, l’imprescindibile obiettivo di fare tutto il più in fretta possibile. Rapporti, persone, emozioni, situazioni, pensieri ed illusioni vengono frullati in una sempre più agitata sequenza di azioni nelle quali l’individuo si trova ad essere travolto anziché partecipe o protagonista.
La paura della solitudine viene esorcizzata attraverso l’obbligo di tenersi occupati, di fare qualcosa ogni volta che ci si sente soli, inadeguati, trascurati e si teme di perdere la propria centralità. Ci si annega allora in quell’inconsapevole isolamento, intasato di brandelli di vite altrui, di macerie dell’anima, di storie mai vissute, in una sorta di frenesia, di presunzione di onnipotenza, quasi che nulla fosse più inviolabile, che ogni segreto potesse essere svelato, ogni esistenza manipolata.
Grazie a questo surrogato di intimità si rifugge da quella solitudine che la bellissima parola sanscrita Kaivalya indica come il luogo segreto e prezioso nel quale poter ritrovare se stessi in un’esplosione interiore che è luce di consapevolezza e scoperta di sé. Tutto è contagiato dalla mancanza di tempo: cibo, viaggi, sesso, tutto è veloce. “Nell’ultimo decennio … la velocità ha cominciato a procurarci più danni che benefici” affermava già nel 2004 Carl Honoré nel sul libro E vinse la tartaruga.
Se in pochi istanti possiamo raggiungere ed essere raggiunti da situazioni e persone in ogni anfratto dell’Universo, se possiamo avere accesso all’intero pianeta in tempo reale, allora cambia radicalmente il rapporto “di potere” con il tempo. Cresce a dismisura l’illusione di poter dominare, controllare, e può accadere che si scambi la spettacolarizzazione degli eventi con la realtà, che si finisca per credere che basti guardare per sapere, che basti sapere per agire, che basti apparire per essere. Sempre più capaci di usare l’intelligenza artificiale e sempre meno consapevoli del patrimonio di conoscenza soggettiva, di sensibilità, di amorevolezza per le cose che si alimenta nel tempo dedicato all’attenzione, alla cura, al silenzio, all’“ozio creativo”.
Il numero esorbitante di persone che ogni individuo può incontrare in pochi giorni non è in alcun modo paragonabile all’arco di conoscenze che, solo un secolo addietro, ciascuno poteva annoverare nell’intera sua vita. “Siamo coinvolti in una quantità di rapporti dalle forme e dalle intensità più varie, superiore a qualsiasi altra mai registrata in passato”. Va da sé che in tale situazione si verifica uno straordinario cambiamento nelle relazioni sociali e nei rapporti interpersonali, ma anche nella concezione del tempo che non è più come diceva Platone “l’immagine mobile dell’eternità” bensì un continuum nel quale riuscire a collocare l’infinita e quasi inebriante quantità di stimoli, di interlocutori, di relazioni, di pulsioni. Che fare allora per ridare tempo al tempo?
Torniamo ad immaginare scenari di sopravvivenza, isole fantastiche in cui ritrovarsi a parlare una lingua che non elimini le vocali per rendere più rapidi gli sms, che preveda il tempo dell’attesa di una lettera spedita da qualcuno che non vuole l’immediatezza della e-mail ma il piacere di farsi aspettare, che riproponga il morbido flusso delle “parole tra noi leggere” anziché lo scambio di rapidi segnali finalizzati all’immediato raggiungimento dell’obiettivo.
Ridiamo spazio alle digressioni ed ai racconti che allontanano il tempo del dovere, che fanno riscoprire il piacere del dire con voce ammaliante, dell’ascoltare senza orologio.
Facciamo accompagnare il tempo da connotazioni che ne sottolineino l’ampiezza, l’estensione, la lentezza avvolgente, la durata che talora sembra farsi infinita anziché unirlo sempre ad aggettivi quali veloce, breve, rapido, immediato.
Poniamo l’attenzione su espressioni quali “posso rubarti qualche minuto?” per ricordare che il tempo dedicato all’attenzione per l’altro è dono e non furto, è espressione generosa.
Serviamoci delle parole per dilatare tempo e spazio tornando ad assegnare loro l’antico compito di portarci in mondi fantastici e farci incontrare Terre e persone.
Riprendiamoci il libro come oggetto fatato per viaggiare con la macchina del tempo.
Promuoviamo una giornata di Slow Words.
Regaliamo Scatole del Tempo contenenti parole da leggere o giustapporre con durate differenti.
Offriamo un dicitore di parole lente e lunghissime come regalo di compleanno.
Immaginiamo Stanze del Tempo nelle quali ci si incontra per scambiarsi il tempo-dono.
Suggeriamo di creare empori nei quali poter acquistare tempo parlato, tempo narrato, tempo di silenzio, tempo in ascolto, tempo perduto e ritrovato, tempo per tutti i gusti.
Se accettiamo l’ipotesi di chi collega il tempus al verbo greco tèmno ‘taglio’, ad indicare una sezione ritagliata dallo scorrere illimitato, un intervallo tra un prima e un dopo, prendiamoci questo scampolo di eternità e indossiamolo almeno per un giorno per vivere a tutta lentezza.