Livorno città d'acque, acque salse e acque dolci. La fortuna della città trae origine proprio dalle prime e grazie ad esse, si trasformò da porto pisano a porto mediceo. Quindi da essere avamposto di una delle più importanti repubbliche marinare, che a causa dell'interramento da parte dai fanghi dell'Arno del suo sinus naturale spostò più a sud in una insenatura della costa il suo sistema portuale, divenne un villaggio dapprima e città nel 1606, con una connotazione autonoma e propria di porto principale del Mediterraneo.
Come è risaputo gli agglomerati umani nascono intorno ai corsi d'acqua e lungo essi si stanziano, lasciando testimonianza sotto forma di necropoli, o resti di abitazioni e suppellettili così come attrezzi da lavoro. Successivamente dove c'è acqua la popolazione cresce e crescendo richiede più acqua e così riprende a crescere e a chiedere ancora acqua e così via all'infinito. Questa è stata l'eterna ricerca di Livorno, una continua lotta per la sopravvivenza, giocata tra questa e il bene idrico.
Così Livorno è stata dapprima etrusca, poi romana, ed è stata letta grazie all'ingegneria dell'acqua, come attraverso i ritrovamenti di condutture da acquedotto e vasche limarie per la sedimentazione del particolato. Livorno diventerà il capolavoro dei Medici, sta scritto e così è stato. Città creata al tavolino, disegnata e progettata per essere la città ideale, non a caso inscritta in un pentagono di mura, geometria di significato alchemico. Popolata in fretta raccattando etnie miste e tutte le religioni che a Livorno si potevano professare in piena libertà, senza ghetti o restrizioni di sorta. Pur di popolare questo esperimento di città si concedeva amnistia a pene giudiziarie e si lasciava libero attracco ai corsari con libretto di navigazione ritirato. Una città difficile, pericolosa come una bomba a orologeria, ma che garantiva libero commercio e case. Sotto l'occhio vigile di Ferdinando I De' Medici e dei suoi successori, dove l'emblema era un cespuglio di rose, coniato nella più famosa moneta chiamata appunto pezza della rosa, a monito per gli insubordinati che Livorno è come una rosa, bella e attraente ma ha spine pungenti, ossia la giustizia dei Medici.
Nel realizzare la città pentagonale e quindi nel tagliare la matrice terra per le fondamenta delle mura che sarebbero poi state circondate da un sistema di fossi in diretto contatto col mare, si tagliarono le falde freatiche che alimentavano i pozzi per l'acqua dolce del villaggio, e fu così che Livorno dovette cercare in fretta un nuovo modo di portare acqua all'interno delle mura. Fu Ferdinando I che fece realizzare il primo importante acquedotto cittadino portando l'acqua della sorgente del vicino bosco del Limone attraverso canalizzazioni e pozzi d'ispezione disseminati sul percorso. Ma la città creata era comoda e generosa e dette modo a una rapida espansione, tant'è che presto si dovettero aggiungere altre sorgenti per aumentare il carico.
Quando Livorno arrivò a contare 50.000 abitanti, e a guidare l'esperimento labronico furono gli Asburgo Lorena per motivi non solo politici ma soprattutto per l'estinzione della dinastia Medici, si rese necessario l'ingrandimento della superficie della città con la costruzione di nuove e più lunghe mura e di un nuovo e più efficiente acquedotto. Il progetto che fu affidato dopo il decesso dell'architetto Salvetti a Pasquale Poccianti vide in quasi 40 anni la costruzione di un imponente sistema di cisterne fuori città, cisterne interne alla città, depuratori e conserve, condotti che perforarono colline e sospesi a una e a due serie di arcate. Lavoro meraviglioso che ancora oggi si apprezza per la bellezza e la funzionalità della cisterna o gran conserva cittadina, tutt'oggi in uso ma raggiunta da acque che provengono da molto più lontano.
Nel 1900, contando 100.000 abitanti, Livorno era comunque assetata, difatti si stimava una capacità di consumi al massimo di 7,9 litri per abitante al giorno, quando per esempio Lucca ne vantava 20, Parigi 50, Napoli 200 e Roma 700. Questa scarsezza d'acque anche a scopo di igiene determinò da sempre problemi di carattere sanitario: colera, febbre gialla, tifo, che a Livorno fino all'ultimo caso del 1911 imperversavano costantemente in modo ciclico, a ogni ondata di aumento della popolazione. Quindi i risanamenti imperversavano, si demolivano palazzi fatiscenti, si eliminavano le più strette e malsane strade del centro in modo da dare almeno aria e far passare i raggi del sole. Parallelamente, pozzi, cisterne e serbatoi erano medicati e si allacciò all'acquedotto del Poccianti, chiamato leopoldino o lorenese, anche il vecchio condotto dei Medici che giungeva da Limone, insieme ad altri rami collaterali che attingevano da piccole sorgenti del circondario.
Si deve arrivare al 1912/14 per allacciarsi alla potente sorgente di Filettole, vicino a Firenze, per poi potenziarla intorno agli anni '50 del secolo scorso con un'altra a Mortaiolo, presso Pisa. Livorno ancora adesso deve gestire con oculatezza la sua acqua. Il problema idrico è stato senza dubbio alla base del boicottaggio che portò alla chiusura della produzione dei prodotti “Corallo” imbottigliati insieme all'acqua omonima presso le Terme un tempo chiamate “Acque della Salute”. La società avrebbe procurato cause legali a chiunque aprisse pozzi a monte dello stabilimento per non indebolire le vene d'acqua che convogliando giungevano ai pozzi dello stabilimento. Fu così, che nel 1968, gli anni caldi della guerra per l'acqua, chiuse la produzione, chiuse l'edificio, gli fu dato fuoco, e gli fu costruito negli anni '80, davanti ai cancelli un pauroso cavalca ferrovia. Dissuasione a riaprire? Probabile, l'acqua è un bene pubblico prezioso e non poteva essere captata per arricchire i proprietari dello stabilimento.