A poco più della metà della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, sono già tre i film impegnati a narrare la Storia, e due di essi parlano degli anni '20 a Parigi. Mentre The Danish Girl ripropone quegli anni come naturale sfondo di fatti realmente accaduti, Marguerite è stato ambientato in quegli anni per scelta di regia, perché i fatti narrati riguardano invece gli Stati Uniti degli anni '40.
The Danish Girl narra la storia di Lili Elbe (Eddie Redmayne), danese di nascita, una delle prime persone al mondo a cambiare sesso con l’aiuto della chirurgia, e di come questa trasformazione sia vissuta da Einar Wegener, stimato paesaggista danese, all’interno del matrimonio che ha contratto con Gerda, che l’ama a tal punto da assecondarlo in ciò che rappresenterà la fine del loro matrimonio. Gerda, impersonata da Alicia Vikander, è anch’essa un’artista, specializzata in ritratti, e vive con straordinaria modernità in un periodo storico in cui la società, anche la più evoluta di Parigi, dove andranno a vivere i due danesi, non è disponibile neppure a parlare di deviazioni sessuali. Il tema è trattato con grande delicatezza, in una ricostruzione storica frutto di anni di ricerche, l’uscita del romanzo da cui è tratto il film risale infatti al lontano 2000. La complessità dell’argomento trattato e la bravura degli attori aprono a un approfondimento del tema, che suscita tante discussioni ancora ai nostri giorni.
In Marguerite è ancora una donna forte e coraggiosa la musa ispiratrice del regista, Xavier Giannoli, autore, con Marcia Romano, di sceneggiatura e dialoghi. Non è una biografia, ma una ricostruzione a partire da un fatto realmente accaduto: Giannoli sente alla radio una cantante lirica che interpreta stonando malamente la Regina della notte, dal Flauto Magico di Mozart. Ne rimane così stupito che intraprende una ricerca che lo porterà a scoprire che si tratta di Florence Foster Jenkins, vissuta negli anni '40, una donna molto ricca e amante della musica e, in particolare, dell’opera lirica. Da ritagli di giornale, trovati copiosi a New York, Xavier ricostruisce la storia e il fatto che la cantante era totalmente inconsapevole di questo suo grande impedimento, che nessuno le aveva palesato, per ipocrisia o vigliaccheria; oltre a concerti privati con amici, la Jenkins aveva sostenuto anche un concerto pubblico.
Questa ricostruzione diventa un’avventura appassionante che sfocerà in un film, ambientato vent’anni prima a Parigi, grazie al ritrovamento di foto di scena di cantanti liriche dell'epoca di libertà artistica e personale. Gli studi approfonditi hanno permesso al regista di scrivere una storia di finzione, con un punto di vista personale sugli eventi, e di ricostruire la vita ipotetica di questa donna che dalle foto appariva ingenua, ma al contempo molto sicura di sé. Questo coinvolgente modo di procedere lo ha messo al riparo dalla preoccupazione della notizia che si sta realizzando anche un biopic hollywoodiano su Florence, poiché la sua opera non è un documentario, ma a metà strada fra verità e finzione. L’attrice prescelta, Catherine Frot, ha portato avanti questo progetto nel modo più auspicabile. Anche i personaggi secondari, a cominciare dal marito, sono costruzioni che aiutano lo spettatore a entrare più profondamente nella società del tempo. E questo che sembra un film dal budget stratosferico è invece assai contenuto nei costi.
Il fascino del film è molteplice: mette in luce la potenza della musica quale scopo della vita di una donna non ricambiata in amore dal marito, ma analizza anche il potere manipolatorio che può provenire dalle immagini. Molto attuale è l’illusione creata dalla pubblicità e l’ossessione per la celebrità che ammala molti giovani. “Descrivendo questo personaggio, ho voluto esplorare il suo rapporto travagliato con la realtà, la malvagità che sostiene il suo mondo di illusioni” conclude il regista. Non senza una dose di umorismo, che permette a questa “urlatrice” di esprimere tutta la veemenza del suo desiderio inappagato, riuscendo comunque a vivere e lasciar vivere. Più ancora che nel primo film, in Marguerite la storia viene attualizzata da uno sguardo moderno, che non distorce, ma interpreta.
Il terzo film che affronta i temi della Storia è Francofonia, del venerato Alexander Sokurov. Il suo fine è raccontare il Louvre in una Parigi occupata dai nazisti, e lo fa partendo da materiale fotografico che però non riesce ad animare e da una voce fuori campo che racconta episodi a tutti noti. I molti che hanno apprezzato questo ultimo suo lavoro, memori di altre sue opere meravigliose, come il Faust che vinse il Leone d’oro nel 2011 o L’arca russa ambientato nell’Ermitage, questa volta si sono limitati a trascrivere ciò che il regista ha dichiarato in conferenza stampa, ammettendo in tal modo di non essere riusciti a recepire messaggi direttamente dal film, e che quindi l’interpretazione di Sokurov è rimasta pura dichiarazione di intenti.