Apre la sezione Orizzonti della 72ma Mostra del Cinema di Venezia un film molto interessante, Un monstruo de mil cabezas di Rodrigo Plà( Messico).
Gli interpreti di questa vicenda, tratta da un romanzo della scrittrice Laura Santullo, sono Jana Raluy (Sonia), moglie di un uomo gravemente malato che non è riuscita a ottenere dall’assicurazione, in mezzo a mille pastoie burocratiche, i farmaci dispendiosi che alleggerirebbero la sofferenza del marito, e Sebastiàn Aguirre, nella parte di Dario, il figlio adolescente che viene coinvolto in una vertiginosa spirale di violenza, intentata dalla madre contro i corrotti e menefreghisti esponenti della compagnia di assicurazione.
A chi gli chiede se considera questo suo film un thriller, il regista risponde di non aver seguito regole di genere. E’ forse questo, per lo spettatore, il fascino del film, immediato e imprevedibile, insieme alla lunghezza contenuta, un’ora e un quarto, controcorrente rispetto ai tempi medi dei film in mostra. Tanto da ingenerare il sospetto che non sia stato accettato nella sezione Venezia 72, la principale, per la sua brevità.
Questo film persegue una molteplicità di punti di vista e le azioni si susseguono sotto lo stimolo assai mutevole delle emozioni dei personaggi; ciò crea una tangibile suspense, dato che la madre Sonia, la bravissima attrice di teatro Jana Raluy, pur rassicurando che non farà del male a nessuno, estrae una pistola dalla borsa nel bel mezzo di un ufficio dove si rifiutano di ascoltarla, comprensibilmente in preda a una profonda angoscia mista a rabbia. Ed è solo l’inizio! La protagonista maneggia la pistola con tale disinvoltura da farci pensare che non sia vera, e un gioco scenico magistrale ci racconta i fatti non come avvengono, ma come le deposizioni in tribunale delle persone coinvolte li descrivono, a domanda del giudice. Perché già, questa storia iniziata così per caso si complica e finirà in tribunale con l'accusa di minaccia a mano armata, con l’aggravante di colpi esplosi senza volere dall'improvvisata pistolera.
Una girandola di emozioni diverse ci prende nel corso del film. A tratti ci troviamo perfino a ridere. Ma mai si abbassa l’attenzione, che si sposta dall’episodio da cui scaturisce la vicenda, la grave malattia del marito di Sonia, alle molteplici azioni della protagonista, determinata a perseguire il suo scopo anche a costo di trovarsi in complicate vicende che coinvolgono un sempre maggior numero di persone. In primis il figlio Dario, cui l’impulsività della madre crea parecchi problemi.
Nella riuscita di questo film ha sicuramente giocato - narra il regista in conferenza stampa - una stretta collaborazione sul set fra la Santullo, che ha scritto anche la sceneggiatura tratta dal suo stesso romanzo, e lui. A un punto tale da condurre, durante le riprese, a cambiamenti negli episodi da inserire nel film, tanto che il finale del libro e del film hanno preso vie diverse, e viene voglia di confrontarle per trarne ancor maggiori spunti. Questa vitalità si riverbera nel film e avvince lo spettatore molto più di quello che sono riuscite a fare altre opere, più complesse ma soprattutto più lunghe.