Where the trees line the water that falls asleep in the afternoon
Tutto comincia con una poesia. E ci perdiamo in quel sottile tratto tra natura e cultura. Tra dono e artificio. Scalzi e in punta di piedi camminiamo per non fare troppo rumore sotto un tappeto di foglie, tendiamo l'occhio al manto di nuvole e origliamo come da una porta chiusa, il rumore del vento. Sgusciare fuori da un confine per perdersi dove si addormenta il giorno.
Appesi alle parole del poeta Pierre Reverdy, il curatore Chris Sharp ha steso questa mostra che con la forza di un filo di erba che esce dal cemento, si sradica tra personalità internazionali. La poesia racchiude la vera linfa dell'esposizione tant'è che ogni parola spesa in più pare in eccesso, pare arrogante e invasiva. Si perché se c'è qualcosa che lega le opere in mostra è sicuramente la pulizia visiva che porta all'apice di un silenzio originario, bisogna rispettare lo spazio che si è venuto a creare con i lavori.
Le sculture e le tele hanno tessuto un personale ambiente tra le mure delle galleria, restituendoci a una nicchia che punta più alla meditazione che alla funzionalità. Ci troviamo in un interstizio polifonico tra dono e artificio dove l'essenziale si rifugia nell'ermetico. Tre artisti, tanti luoghi, diversi intrecci, luoghi, memorie e tecniche. L'artista messicano con sede a Basilea, Rodrigo Hernández, segnalato anche da ArtReview tra i migliori artisti internazionali, presenta per questa occasione quattro opere tutte differenti l'una dall'altra. Il pregio dell'artista è senza ombra di dubbio quello di sperimentare con i diversi media, mirando dritto al cuore dell'essenza. Un lavoro di spogliazione, una nudità della materia che disarma l'occhio e attiva una coscienza primordiale. La semplicità apparente in verità rivela una complessità di studio e di ricerca che trova nei lunghi tempi e nelle attese la lingua madre.
Faccio tesoro da anni di una frase junghiana che merita spazio proprio qui tra queste righe, "Com'è difficile essere semplici", intendendo appunto la semplicità come sintesi di processi talvolta decisamente complessi. Nell'olio su tavola Conflict over coherence la resa pittorica è tersa, lineare, a campiture concentrare e uniformi. Il rigore e la perfezione delle forme infastidisce quasi l'entropia propria del mondo. Una solitudine metafisica colora il s(oggetto).
Nella scultura in cartone, Senza Titolo, l'aridità preziosa e sofisticata di Hernández si fa non-luogo tra le sinuosità della carta, rendendoci voyeur di una visuale dall'alta sul nulla che si fa ambiente inscatolabile. In Pedazo de pueblo la china su carta riciclata ha avuto un effetto corrosivo e scultoreo sul supporto scelto. Come una macchia sfumata si è venuta a formare una seconda pelle, informe, attirando su di sé uno sguardo tattile, come la pellicola del latte caldo che si raffredda.
Una pittura dal tepore cocente, tra rigore e difformità come in Practice of relaxation , dalla pennellata decisa e geometrica, si passa a una disgregazione, alla dissoluzione. Come in un processo chimico la ricerca di Hernández passa da vari stati di materia, tra conflitti, pratiche e relazioni. L'artista newyorkese Clare Grill sperimenta la propria pittura con oli su lino che introducono l'osservatore a una visione stratificata e atmosferica. I gialli di Bee e Pamy e i verdi di Flay si diversificano, si mescolano e si sedimentano venendo a creare un pattern caoticamente pacato. Visivo e tattile. E' un disordine tranquillo, a bassa voce, che si perde a mezz'aria in una nebbia di colori che tono su tono invitano il visitatore a spogliare mentalmente l'opera, come se venisse occultato qualcosa, come se non ci fosse un fondo, e qualcosa sfugga sempre.
Le sculture dell'artista Kate Newby, neozelandese ma con sede a New York, modificano lo spazio richiedendo un'attenzione del tutto silenziosa, introspettiva e meditativa. Dalla ceramica al tessile, al vetro, la Newby pone in relazione l'oggetto con lo spazio ospitante detronizzando la funzione. Tutto quello che occorre è sentire. Origliare come da quella porta dell'inizio per sentire sussurrare il vento. Svuotando l'orecchio da pregiudizi e inquinamenti acustici, la poetica della Newby ci introduce a una disintossicazione del daily to much, per condurci a sonorità e visioni immensamente minimali.
In They sound like each other sei campanelle a vento di vetro rimangono sospese, attraverso la luce che filtra e si perde tra le sinuosità trasparenti che deformano e diffondono, rifrangendo la percezione. Quarantotto elementi di porcellana e ceramica bianca, sospesi anch'essi l'uno accanto all'altro, risuonano per relazione, procedendo come una reazione a catena, se uno si muove, anche l'altro e quello dopo, come in un domino, solo il gesto, il vento, o l'aria potranno risuonare Maybe I won't go to sleep al all nella profondità di semplici e dionisiaci suoni.
In Best possible time ever e I feel like a truck on a wet highway le ceramiche cotte ad alta temperatura e porcellana assumono le forme di elementi vegetali e naturali, come foglie e spugne, occupano lo spazio di tempo al alte vette. Un bell'articolo su Frieze a lei dedicato, è intitolato The art of tiny revelations, perché, come Jennifer Kabat ha scritto, "la Newby celebra la minuzia della vita di tutti i giorni, il suo lavoro è un invito a guardare lontano e ancora oltre".
La poetica dell'artista neozelandese è dal mio punto di vista riassumibile con lo storico titolo della celeberrima canzone Let it be, credo che l'artista abbia un forte fiducia dalla quale trae inevitabilmente anche ispirazione nell'accadere della vita stessa. Con la semplicità logorante del caso che modella e agisce su vite e situazioni come il vento lo fa su paesaggi e ambienti. Sottili rivelazioni, quindi, impercettibili sguardi sull'altrove e indissolubili agganci poetici, non a caso già i titoli delle opere rivelano intrigantemente l'intento artistica dell'autrice.
In questa mostra si cade sempre un po' più in lá "risospinti senza posa" (fitzgeraldianamente parlando), come foglie. Fragili e inaspettati. E siamo già in preda a un'altra stagione, a un altro ambiente senza tempo, come viaggiatori scalzi dentro l'eco del vento.
Under the blazing sun, when the landscape is on fire, the traveler crosses the stream on a very narrow bridge, before a dark hole where the trees line the water that falls asleep in the afternoon. And, against the trembling background of the woods, the motionless man.
(P. Reverdy)