Per originalità sarebbe meglio non fare l’attacco dell’articolo con Marilyn Monroe. Ma è proprio questo il potere ultracinquantennale di quell’americana platinata che mentre sorrideva come se la vita fosse una passeggiata nella gioia, aveva lo sguardo disperato: non si riesce a sfuggirle. “Ha sbaragliato tutte e per me ha posato sempre con grazia” dice Silvano Campeggi, in arte Nano anche se è alto e longilineo.
Dritto e falcata svelta, passati i novanta, con una chioma bianca che fa pittore; le phisique du role, Nano ce l’ha e forse anche per questo fra le star di Hollywood, e non solo, si è sempre mosso con disinvoltura. Marilyn, al primo incontro, sapendolo artista e fiorentino gli chiese se dovesse spogliarsi, forse l’attrice si immaginò Venere rinascimentale, inghirlandata e con i capelli ondulati. “Grassoncina, simpatica” la ricorda Nano che ha avuto dimestichezza anche con Elizabeth Taylor, le cui sopracciglia da sole sarebbero bastate a ispirare un manifesto, persino senza il viola delle iridi (era poi davvero viola oppure ormai si dice per enfatizzarne la straordinarietà?).
Silvano Campeggi ha disegnato cartelloni per il cinema dal 1945 allo sfumare degli anni Sessanta quando la fotografia prese il sopravvento su tratto e pennelli e da quei giorni fino a adesso ha continuato con il suo film personale, disegnando e dipingendo quel che gli è parso, eroi compresi, il suo ritratto di Salvo D’Acquisto è su un francobollo di Poste italiane. La moglie Elena, musa intramontabile, è ritratta sempreverde tanto che lei si costringe all’autoironia, ma se la gode. Occhi stupendi, Elena e se n’è servita per fronteggiare lo stuolo di dive che circolavano intorno al marito e con le quali spesso lei ha fatto amicizia. Nano ha lavorato per gli studios leggendari, quelli con i simboli che ruggiscono e svettano quando in sala si spengono le luci e il brivido dell’emozione serpeggia fra le poltroncine, Metro Goldwin Meyer, Warner Bros, Universal, Paramount, Rank film, e nel 1964 è stato premiato con la spiga Gambellotti come migliore cartellonista cinematografico.
Non ha rimpianti per quel tempo lontano, espone le sue opere recenti a New York, al Lincoln Center, ed è amato persino nella natia Firenze che gli risparmia altezzosità spesso riservate ai suoi figli, i novanta anni li ha festeggiati in Palazzo Vecchio. Il Lyceum gli ha appena dedicato un pomeriggio in occasione dell’inaugurazione di una mostra sulle eroine pucciniane, introdotta da Cristiana Acidini, già direttrice del Polo museale fiorentino, che vede nell’icona di Marylin di Nano una anticipazione di quella di Andy Warhol.
Si diverte Nano, si diverte tanto. I cavalli impetuosi del manifesto di Ben Hur (1959), criniere candide su fondo rosso gli somigliano, di corsa verso il futuro, senza indugi sul passato. Quando presentò il bozzetto del cartellone in parecchi furono perplessi: il protagonista del kolossal di William Wyler era la super stella Charlton Heston, non quattro purosangue scalmanati. Eppure Nano la spuntò e quel manifesto è nella storia del cinema. Ma non sempre la sua visione ebbe la meglio sui dirigenti delle major di quel periodo: “Con mio grande rammarico, moltissime idee di un certo livello vennero scartate, non ritenute leggibili dal pubblico”. Come un regista alle prese con i produttori, insomma.
Roberto Salvadori spiega il lavoro “registico” di Nano in un saggio contenuto nel libro Il cinema nei manifesti di Silvano Campeggi: “Nel manifesto si portava in primo piano il protagonista, uomo o donna, con un taglio da inquadratura cinematografica su cui il titolo doveva risaltare con grande effetto visivo. Un linguaggio semplice ma semioticamente complicatissimo, dove colore, tratto, dimensioni e caratteri del titolo assumevano ognuno significato nel mosaico strutturato del cartellone […]. Al confronto dei manifesti attuali, opere grafiche su base esclusivamente fotografica, quelli degli anni Cinquanta e Sessanta rappresentano davvero il tentativo di restituire al popolo il proprio inconscio collettivo”.
“Si partiva con la visione del film in versione originale nella saletta della casa distributrice - racconta Campeggi -. Se i dirigenti erano favorevoli a distribuirlo in Italia, allora cominciava il lavoro vero e proprio. Da circa settanta, cento foto di scena, si prendeva lo spunto per l’inquadratura del bozzetto, si sceglievano le foto per le somiglianze, qualche volta insieme a degli spezzoni di pellicola. Bisognava persino stare attenti a rispettare, nei titoli, le proporzioni stabilite nei contratti per gli attori o i registi, senza mai intaccare l’integrità del volto di questo o di quel divo o diva con le piegature o i tagli delle connettiture”.
Ci aveva pensato Toulouse- Lautrec a portare il poster nel mondo dell’arte ed ecco che cosa scrive Gian Piero Brunetta di Campeggi nel suo saggio Il piccolo incendiario fiorentino, contenuto nel volume sopracitato: “Le pur notevoli doti del disegnatore vengono assoggettate, come del resto è avvenuto per secoli ai pittori di icone - a canoni e regole fisse che non consentono particolari strappi all’interno del sistema. Basterà però prendere due semplici esempi (West Side Story e Gigi) per valutare come il tragitto figurativo di Nano sia tutt’altro che statico e tenga come bussole d’orientamento modelli figurativi colti e non solo popolari”.
Tutt’altro che statico, Nano, nel suo studio in collina, con gli amici di un tempo che gli fanno compagnia all’orizzonte, la Garbo, Marlon Brando, Robert Taylor, la Lollo, Stanlio e Ollio, Clark Gable, Burt Lancaster, Paul Newman, Michael Caine. Marilyn, ancora ispiratrice. E tutti gli amici a venire.