Il contributo femminile alla storia dell’arte alchemica costituisce una delle manifestazioni più raffinate espresse dalle donne nel campo del sapere scientifico. Un contributo strettamente legato alla sapienza medica ed erboristica, che pone ancora una volta al centro del percorso culturale femminile le capacità di manipolazione e trasformazione delle materie prime, unite a una sensibilità innata verso la sfera della salute.

Scienza iniziatica e ricercata, l’alchimia riassumeva saperi eterogenei e complessi che mescolavano primitive nozioni di chimica, astrologia, metallurgia, medicina, rielaborati in un articolato sistema filosofico impregnato di magia ed esoterismo. L’interesse per la natura si manifestava attraverso una sperimentazione sulla materia definita dal rito empirico della ripetizione progressiva, nella tensione a raggiungere il fine ultimo della perfezione. Nel laboratorio alchemico l’attività si raccoglieva intorno ad obiettivi specifici, quali la trasformazione dei metalli vili in nobili e la ricerca della panacea, medicina capace di curare tutte le malattie e di donare l’immortalità: l'alchimista si assumeva il compito di scrutare la natura e i suoi segreti, tentando l'arduo compito di portarne alla luce le virtù occulte, non chiaramente manifeste all'occhio comune. Come interlocutore tra l'essenza delle cose e la loro potenzialità al servizio dell'uomo, questo particolare tipo di scienziato si elevava, nelle intenzioni, al di sopra del medico comune, avvicinandosi certamente più ad una sorta di medico-filosofo.

La medicina rivestiva dunque un ruolo fondamentale nella speculazione alchemica, che ha saputo sviluppare un’indagine filosofica sulla salute di tipo olistico, dove al centro della riflessione era l’uomo, nella sua individualità e nel suo rapporto di stretta corrispondenza con l’universo, e che identificava il processo di guarigione con un percorso di evoluzione interiore. Un principio caro alla medicina femminile, assai simile alle teorie espresse dalla grande medichessa Ildegarda di Bingen intorno all’anno Mille. L’approccio dell’alchimista alla natura era, a tutti gli effetti, un approccio femminile. Almeno per quello che riguarda il particolarissimo rapporto magico e misterico con gli elementi, che da sempre evoca il mondo archetipico della medicina delle donne. E non è un caso se alcune fasi dell’opera alchemica hanno goduto della definizione di opus mulierum: lavoro da donne! La metafora ripropone un intero immaginario che identifica con il lavoro femminile un rapporto vitale con la materia, sensibilità intuitiva ma, soprattutto, profonda vocazione alla “cura del mondo”.

La simbologia alchemica è pervasa dalla ricorrenza dell’elemento femminile, la polarità più vicina alla natura, la quale è madre, maestra e guida del filosofo. Le mitologie più antiche, inoltre, individuavano alle origini di questa scienza una divinità femminile, l’egizia Iside, dea rivelatrice di saperi rivolti alle donne, legata alla sfera della fertilità e della medicina. Forse per questa ragione la presenza muliebre tra i cultori dell’alchimia non destò particolare stupore. Addirittura, tra i primi fondatori dell’arte si individuano due donne: Maria l’Ebrea e Cleopatra. La fama della prima è legata soprattutto all’invenzione di tecniche e strumenti specifici basilari per l’opus alchemicum: fra tutti il celebre Balneum Mariae, ancora oggi noto come “bagnomaria”, che consisteva in un doppio bollitore capace di operare una cottura dolce proteggendo gli ingredienti dall’aggressione diretta della fonte di calore.

Le tecnologie utilizzate nel laboratorio alchemico risultavano spesso essere il frutto delle sperimentazioni operate per la cottura dei cibi: analogamente avveniva per gli apparecchi utilizzati, che riproponevano utensili con i quali le donne avevano certamente particolare dimestichezza. Il richiamo a una professione tutta al femminile emerge anche dall’accostamento dell’alchimia con l’arte dell’ostetricia, uno dei pochi mestieri praticati unicamente dalle donne: l’alchimista è di fatto l’agente di un’operazione maieutica anche in senso filosofico, volta al recupero di una sapienza spirituale incubata nei luoghi più segreti dell’essere.

La presenza delle donne nella pratica di questa dottrina misteriosa attraversa la storia della scienza occidentale senza soluzione di continuità. Già nell’antica Mesopotamia, in Egitto e nel mondo ebraico, i rudimentali fondamenti della chimica erano impiegati nell’industria cosmetica e profumiera, spesso affidata a maestranze femminili. Proprio l’arte cosmetica, infatti, ha costituito per le donne il trampolino di lancio verso i successivi sviluppi dell’alchimia, affiancata dalla conoscenza erboristica e da un’instancabile sperimentazione empirica, nella costruzione di un sapere attraverso il quale le donne hanno saputo formarsi nel tempo una vera e propria identità culturale di genere. Ma non solo. La storia ha dimostrato che l’approfondimento e la pratica della tecnologia cosmetica sono state saldamente legate alle forme del potere femminile, in modo trasversale alle diverse civiltà, percorrendo un arco di tempo incredibilmente esteso.

Lo spirito dell'alchimista ha infatti attraversato la storia della cultura femminile dando voce a numerose tra le più celebri donne dell'antichità, legando con un filo ideale regine e nobildonne appartenenti a tempi e luoghi diversi. Donne che hanno avuto in sorte l'opportunità di un'istruzione alta, concessa da un lignaggio privilegiato, perché lo studio di questa scienza presupponeva l'accesso a saperi complessi dai caratteri fortemente iniziatici ed elitari. Terapia, medicina e cosmesi sarebbero stati il veicolo specifico della loro indagine.

L’antichità è prodiga di esempi eccellenti. La regina Artemisia di Caria, nota per la sua profonda conoscenza delle erbe medicinali e per aver scoperto la valenza curativa della pianta che da lei prende il nome. La carismatica regina egizia Hatshepsut che, ben quindici secoli prima dell’era cristiana, aveva tentato il trasporto dalla Somalia e il trapianto in Egitto di piante pregiate per la produzione e sperimentazione di profumi. La regina di Saba e la leggendaria Semiramide, sapienti conoscitrici di erbe e rimedi. Infine, la celebre Cleopatra, vera e propria imprenditrice nel campo della cosmesi, patrocinatrice di un’industria della bellezza sulle sponde del Mar Morto. Ad onor del vero, se volessimo allungare ancora la lista delle cultrici di questa aristocratica occupazione, non dovremmo escludere quasi nessuna delle imperatrici, o semplicemente delle nobildonne di epoca imperiale romana e poi bizantina.

Attraverso uno straordinario passaggio di testimone, ritroviamo intatta la partecipazione femminile all’alchimia alle soglie di quel momento epocale che fu il transito dal Medioevo al Rinascimento. Il nuovo interesse umanistico per questa scienza diede nuovo slancio alle ricerche delle donne, che seppero raccogliere l’eredità sapienziale delle antenate. Laboratori, sotterranei e stanze segrete tornarono ad essere le fucine vitali delle sperimentazioni farmaceutiche delle grandi donne delle corti e delle Signorie del Cinquecento. E ancora una volta, come nel passato, l’esibizione di questo sapere iniziatico ed elitario divenne conferma e volàno di uno status privilegiato di potere. Lungi dall’esaurire le proprie risorse intellettuali tra alambicchi e serpentine, le donne degli Este, dei Visconti, dei Borgia e dei Gonzaga detenevano un livello di autorità politica per nulla marginale: attraverso il patrocinio delle arti, della letteratura e delle scienze, si facevano strumento prezioso di visibilità politica e strategica agli occhi del mondo. Molte di loro contribuirono in modo sostanziale al prestigio politico degli stati retti dai rispettivi consorti; alcune furono esse stesse protagoniste politiche di primissimo ordine.

Elencarle significa passare in rassegna le più rappresentative figure storiche delle corti italiane: Isabella e Beatrice d'Este, Lucrezia Borgia, Isabella d'Aragona, Elisabetta Gonzaga, Caterina Sforza. “Experimenti” e “Secreti” sono i preziosissimi lasciti materiali che alcune di queste intellettuali hanno donato ai posteri. Attraverso la riproposizione dell’anima più autentica dell’arte alchemica, quella sperimentale, hanno saputo riportare in superficie un riflesso abbagliante degli antichi archetipi della conoscenza femminile.

In collaborazione con: www.abocamuseum.it