Alla luce del titolo con cui c’è stato tramandato, si può essere facilmente indotti a ritenere che il De divina proportione di Luca Pacioli, per quanto suggestivo e affascinante, non sia altro che uno dei tanti scritti di geometria apparsi verso la fine del Quattrocento. In realtà rappresenta una delle espressioni più alte del Rinascimento, perché ne riassume e ne celebra i caratteri fondamentali. Innanzitutto, infatti, contiene un’appassionata rivalutazione dell’uomo nel complesso della sua unità psico-fisica e nella sua posizione di preminenza rispetto all’intero universo. In secondo luogo, offre una visione della bellezza che ne fa il cardine dell’ordine e dell’armonia che riecheggiano in tutto il creato.

Per questo, il De divina proportione si propone come uno straordinario affresco sia del mondo divino che di quello umano. Se ne evidenzia l’origine da Dio e ne sottolinea la dipendenza, al tempo stesso mette in luce che le leggi che presiedono alla sua struttura complessiva e alla sua articolazione interna rispondono al mirabile criterio della proporzione. Questo comporta non solo che tutte le cose sono riconducibili a un unico principio, ma anche che possono essere afferrate e comprese mediante gli strumenti offerti dalle singole scienze e, in particolare, dalla matematica.

Tuttavia, la “divina proportione” che, in quanto riflette la presenza dell’atto creativo di Dio nel mondo, è trascendente nei suoi confronti. Per poterla cogliere, pertanto, all’uomo non è sufficiente l’esercizio dell’intelligenza, ma occorre anche quello della volontà. La contemplazione estatica, infatti, giunge al termine di un itinerario che richiede un forte impegno morale e una profonda ascesi nei confronti del mondo fisico. Solo allora l’occhio si libera delle scorie mondane e, purificandosi, diventa capace di cogliere l’ordine in cui si riflette la “divina proportione”.

Così intesa, l’opera di Luca Pacioli rappresenta un avvincente cammino verso la verità che da sempre è accessibile all’uomo, ma che di continuo gli sfugge perché egli non si pone nella disposizione adeguata per poterla intercettare.

Testo di Antonio Pieretti

In collaborazione con: www.abocamuseum.it