Brajo Fuso nasce a Perugia nel febbraio (da cui il nome) del 1899, si laurea in Medicina nel 1923, specializzandosi in Odontostomatologia a Bologna e ricoprendo per alcuni anni la cattedra di Stomatologia all'Università di Perugia. Considerato il padre dell’Implantologia ossea, consegue numerosi brevetti in campo medico e farmaceutico, inventa inoltre il primo "riunito" (mobile sanitario-sedia da dentista).
Brajo però vive anche un'altra vita, complementare e non in opposizione o in fuga “consolatoria” dalla prima, quella di artista, di eclettico e poliedrico autore di dipinti materici e oggettuali, di sculture e installazioni realizzati con materiali di riuso, ma anche versatile modellatore di ceramiche, per non tacere dell'attività di scrittore di commedie e di fiabe per bambini, tutto ciò con una freschezza e spontaneità straordinarie ma soprattutto anticipando linguaggi e movimenti dell'arte contemporanea, che ne fa un “caso” come ebbe ad affermare Giulio Carlo Argan, tra i suoi primi esegeti.
Sarà stato il piacere di plasmare il caucciù, la porcellana, l'oro e il platino nel suo studio dentistico perugino in Corso Vannucci 17, sarà stata la sua instancabile creatività di sperimentatore e inventore di brevetti, sarà stata più prosaicamente la forzata degenza per una granata sul fronte albanese, dove era arruolato come ufficiale medico (già sotto le armi a 18 anni nella Prima Guerra), che inizia dipingere, invogliato dalla moglie Bettina.
I suoi primi oli sono espressionisti, fortemente carichi di colori fauves, ma ben presto oltrepassa la raffigurazione per un'istintiva necessità di rapporto con la materia, attraverso lo sterminato universo dell'oggetto oublié, che negli anni diventerà sempre più intenso. Comincia con le Straticromie gestuali, avventurandosi nel colore puro colato sulla tela, il dripping alla maniera di Pollock, poi dopo aver terminato il quadro vi attacca il pennello e il coperchio del barattolo in una sorta di finale concisione strutturale, per sigillare un universo chiuso che vive una propria vita indipendente e autonoma, che possiamo solo penetrare dall'esterno, scrutando un'altra dimensione.
E' solo l'inizio del viaggio, con la serie dei Cromoggetti, questa “malsana” mania di trovare cose e incollarle sulla tela prende il sopravvento, ma non basta ancora, la tela infatti viene ben presto a mancare e sono proprio legni, reti, coperchi, tappi, lamiere, fili, tubi, forassiti, pietre e parti meccaniche che, articolando la composizione, vengono a costituire la struttura del quadro, testimoniando il recupero dell'oggetto dimenticato e reietto che vive l'ultima fase del ciclo industriale come inservibile e inutile.
Fuso è tra i primi a sottrarre all'oblio il frammento, il rottame, l'oggetto non più integrabile nel consumo per cui era stato prodotto, per dargli una nuova vita, addirittura artistica, ovvero a comprendere che la sterminata massa di prodotti non riciclati ( oggi ne sappiamo qualcosa in più di ecosostenibilità!) poteva essere ricostituita in un'estetica ritrovata e affascinante. Infatti l'artista non si muove nell'ottica di una critica alla società industriale, piuttosto è interessato al relitto in quanto materiale “vivo” di una nuova sintassi espressiva. Alla prassi del “rifiuto”, che simbolicamente, e non solo, rappresenta l'alienazione prodotta dal consumismo, Fuso contrappone l'istinto del bricoleur, lo convoglia in una ricostruzione artificiale, volta a creare meraviglia e incanto.
Sappiamo che non era a conoscenza dei linguaggi artistici che in quegli stessi anni si muovevano nella sua stessa direzione, ma si può efficacemente credere che i suoi interventi partivano da una conoscenza delle avanguardie storiche; la moglie infatti era pittrice ed aveva studiato all'Accademia perugina, il suo salotto veniva frequentato da artisti e intellettuali quali Casorati, Ungaretti, Guttuso, De Felice, Zavattini, Pierre Restany e il già citato Argan. Piuttosto, Fuso, all'apparire di nuovi prodotti sfornati dall'industria, appare calato nello spirito del tempo che convoglia le sensibilità in convergenze culturali che, nello specifico, trovano manifestazione nelle poetiche artistiche oggettuali del secondo dopoguerra mondiale con le neoavanguardie, dagli americani new dada, Jim Dine, Jasper Johns, Robert Rauschemberg, ai nouveau réaliste francesi, dagli accumuli di Arman ai tableaux pièges di Spoerri, passando per gli italiani Manzoni, Fontana, Burri, precorrendo l'ideologia nomadica dell'arte povera.
Per quanto apprezzato, Fuso rimane sostanzialmente fuori dal sistema dell'arte – non registrato appieno dalla storiografia artistica, dove non stupisce trovare ingiustificate mancanze e immeritate celebrazioni - e quindi non conosciuto come meriterebbe. Nel verde di Monte Malbe, a pochissimi chilometri da Perugia, realizza lo straordinario parco museo popolato da sculture antropomorfe, installazioni fantastiche, e una grande casa galleria con centinaia di opere, che alla sua morte, avvenuta nel 1980, passa in donazione modale all’Ente morale Sodalizio di San Martino. Dopo un periodo di disattenzione, da alcuni anni il parco museo è ritornato a nuova vita, con la possibilità di visite e con la prossima apertura di spazi dedicati a manifestazioni culturali e artistiche, per diffondere l'opera e l'ingegno di Brajo Fuso, artista e medico.