Noi occidentali? Alcuni milioni di donne e di uomini sazi. Ci rimproveriamo ipocritamente, accusandoci l'uno con l'altro, di mangiare troppo, di abbuffarci a crepapelle, di far schizzare oltre ogni limite di sicurezza le percentuali di colesterolo, glicemia e azotemia nel sangue e poi di sprecare e buttar via tonnellate di alimenti inutilizzati, seppellendoci di rifiuti che non sappiamo come smaltire. In occasione dell'inaugurazione dell'Expo di Milano la televisione ci ha ricordato che viene sistematicamente distrutto il 30 per cento di cibo prodotto. E ci rinfacciamo, anche severamente, attraverso reportage giornalistici e talk show, di devastare la natura, di massacrare gli animali allevati in veri e propri campi di concentramento e di sterminio, di sperperare l'acqua in maniera suicida.
Sulla follia delle nostre dissennate filiere alimentari, che iniziano con l’inquinamento del suolo e delle acque e terminano con l’avvelenamento del nostro corpo, organizziamo dotti e impegnativi convegni, che trattano del rispetto della terra, della dieta mediterranea, degli antiossidanti, delle culture biologiche. In questi convegni si susseguono testimonianze, lezioni, filmati, slide, interviste, tavole rotonde, incontri, scambi di bigliettini da visita e di indirizzi mail. E alla fine della prima sezione dei lavori... tutti a mangiare con tumultuosi assalti ai tavoli del buffet, con misteriose moltiplicazioni dei convegnisti, poco curandoci tutti sia della dignità, sia del vestito buono indossato per l'occasione che potrebbe macchiarsi nel concitato riempirsi e svuotarsi dei piatti, sia della necessità di mantenersi leggeri per seguire senza prendere sonno la ripresa dei lavori, dimenticando le dietetiche perle di saggezza poco prima ascoltate. Il gaio tintinnare di posate, piatti e bicchieri rinfranca l’animo dei convegnisti un po' oppresso dalla tristezza e dall'allarme del tema trattato. Alla faccia del precetto di alzarsi da tavola con un po' di appetito! Regola che ognuno di noi confessa di aver appreso dal proprio nonno, nel segno di un’ininterrotta tradizione precettistica che, di nonno in nonno e di secolo in secolo, arriva fino al famoso medico e filosofo Mosè Maimonide – Moshe ben Maimon, nato a Cordova nel 1138 – che forse è stato il primo a sostenerla con la consapevolezza d’insegnamento tanto religioso quanto igienico.
E gli antichi precetti, com'è noto, sono tanto predicati e rispettati, quanto inosservati. Così oggi, mentre disapproviamo gli antichi romani, quelli ricchi, che, dopo aver vissuto anni di eccessi e stravizi alimentari, cercavano di arginare gotta e iperuricemia con le cure termali, ricorriamo, per le medesime affezioni, agli improbabili rimedi di pillole piene di controindicazioni o ci sottoponiamo a tardive torture ginniche. Anche nelle piccole e semplici cose puntiamo alla sazietà: i coni gelati, che un tempo chiamavamo “gelato da passeggio”, anche per le loro ridotte dimensioni, si sono fatti giganteschi e ci costringiamo a ingurgitarli velocemente, prima che le creme che sovrastano maestose il bordo della cialda si squaglino, sgocciolando sulle mani e sulle maniche dei vestiti. E i popcorn, indispensabili - diciamocelo francamente – per accompagnare adeguatamente la visione di film come La carica dei 101 o I predatori dell'arca perduta? Non basta più il sacchetto che ci compravano, dopo accorate preghiere, i nostri genitori quando noi ultrasessantenni d'oggi eravamo bambini; oggi ci vuole almeno il secchiello della capacità di due litri.
Non sono da meno i tramezzini e i sandwich. Il sandwich è nato in Inghilterra nel Settecento e prende il nome da Lord John Montagu, quarto conte della contea di Sandwich. Uomo indaffaratissimo e impegnatissimo col lavoro e soprattutto col gioco delle carte e del golf, diede disposizione alla servitù di preparargli abitualmente piccoli panini farciti che gli consentissero di mangiare un boccone continuando a lavorare e a giocare: assaggi, quindi, piccoli e maneggevoli. Guardate che cosa sono diventati oggi! Continuano a farsi chiamare sandwich anche nei cartelloni pubblicitari dove fanno bella mostra di sé ostentando ben cinque o sei strati d’imbottitura. Per morderli bisogna spalancare la bocca come sulla sedia del dentista o assumere lo stesso aspetto truce del Conte Ugolino che nell'Inferno dantesco addenta la testa dell'arcivescovo Ruggeri. Senza contare che al primo morso schizzano via dalla stretta dei due pezzi di pane spruzzi di maionese, di senape, di ketchup e di tutte le altre colorate misture che arricchiscono gli ingredienti della farcitura. Immaginate, per un momento, il quarto Lord della contea di Sandwich, elegante e distinto, stretto in una raffinata redingote, col capo coperto da un'incipriata parrucca, in compagnia di svenevoli dame, mentre impugna con la destra la mazza da golf e con la sinistra un ordigno alimentare di queste dimensioni, che reclamerebbe più una gassatissima coca cola che un compassato tè inglese.
Ma la sazietà non riguarda solo il mangiare, investe in pieno la nostra vita. Prendiamo il gioco del calcio in Italia. Una volta, la domenica pomeriggio, tra veglia e sonno, con l'orecchio alla radio e la schedina alla mano, seguivamo in diretta le partite. Tutto il calcio minuto per minuto: i radiocronisti si chiamavano e si passavano la linea da un campo all'altro, mentre noi trepidavamo con il tredici che compariva e scompariva dall'orizzonte della schedina. Poi, nel tardo pomeriggio, era il turno di Novantesimo minuto, per vederci in televisione i goal ascoltati per radio. E a sera c’era La domenica sportiva per le interviste e i commenti. Tutto qui; se ne riparlava dopo una settimana. Adesso il calcio, tra anticipi, posticipi, recuperi e coppe varie, c'è tutti i santi giorni.
Volete un altro esempio? La musica. Una volta un apparecchio radio aveva tre programmi nei quali andarsi a cercare la musica leggera e la classica. A una certa ora i programmi chiudevano e una delle stazioni emittenti mandava in onda il Notturno dall'Italia che faceva compagnia a chi lavorava o vegliava di notte. Un tempo si aspettava l'orario delle trasmissioni radiofoniche per ascoltare la nostra musica e i nostri beniamini. Si faceva qualche risparmio per l'acquisto di un quarantacinque giri con due sole canzoni; si ballava in casa e si mettevano insieme, per l’occasione, le risorse discografiche di ognuno di noi: di solito non più di una ventina di dischi. Poi sono diventati accessibili i trentatré giri, i long playing, che arrivavano quasi a un'ora consecutiva di ascolto. Oggi lo stesso bisogno di abbuffata si è abbattuto anche sulla musica. Quante sono le emittenti radiofoniche, piene zeppe di canzoni, sulle modulazioni di frequenza in questo inizio di terzo millennio? Non lo so, e non so nemmeno chi possa saperlo. La musica, adesso, è tutta, proprio tutta e sempre, a portata di mano, di mouse e di orecchie. E ce la teniamo infilata in testa durante tutte le ore del giorno, senza mai sentirci sazi.
È una conquista del progresso e della modernità questa esigenza di sazietà che invade tutta la nostra vita? Chissà!