La mostra fotografica di Broomberg e Chanarin “To Photograph the Details of a Dark Horse in Low Light”, attualmente al FOAM di Amsterdam, combina arte, storia e critica in un connubio di immagini in bianco e nero, dove concetti come razza e genere vengono rivisitati con l’occhio vigile della lente fotografica e lo scatto meccanico della camera analogica. L’idea di questo progetto nasce dalla storia della carta fotografica “Shirley” che, durante gli anni Cinquanta, venne usata dalla celebre industria Kodak come modello per calibrare i colori, le sfumature e i toni della pelle del soggetto fotografico, durante il processo di stampa dei rullini. La carta fotografica si rifaceva allo scatto originale fatto a Shirley Page, modella impiegata della Kodak che fu la prima a posare per la realizzazione dei rullini. Shirley incarnava i canoni “standard” utilizzati per regolare l’esposizione fotografica “normale” del colore della pelle del soggetto fotografato, e negli anni Cinquanta rappresentò il modello assoluto per il bilanciamento del colore all’interno dell’industria fotografica. Prendendo come punto di riferimento i toni della pelle caucasica, l’utilizzo del modello Shirley tagliava fuori qualsiasi altro tipo di etnicità: le emulsioni fotografiche della carta Shirley non riproducevano, infatti, colori come il marrone, il verde o altre variazioni tonali, impedendo di ritrarre con nitidezza visi dalla pelle bianca e scura all’interno dello stesso scatto fotografico. Il modello fotografico “normativo” di Shirley venne ampiamente criticato dal regista Jean-Luc Godard, che durante un reportage in Mozambico si rifiutò di utilizzare i rullini Kodak del tempo, definendoli uno strumento di rappresentazione dal carattere razzista.
Attraverso il progetto fotografico “To Photograph the Details of a Dark Horse in Low Light”, realizzato con i rullini Kodak scaduti negli anni Sessanta, Broomberg e Chanarin esplorano in modo critico il rapporto tra fotografia e il concetto di rappresentazione e di categorizzazione razziale attraverso una serie di esperimenti in camera oscura, seguendo le istruzioni e le pratiche del fotografo ed anatomista Rosenberg, amico di famiglia. Lo strano titolo della serie fotografica deriva dall’espressione utilizzata dagli impiegati della Kodak per descrivere un nuovo tipo di rullino nato all’inizio degli anni Ottanta, il Gold Max, che ritraeva finalmente con efficacia i toni scuri del soggetto fotografico.
Le fotografie di Broomberg e Chanarin, ambientate in Gabon, sono suddivise in sezioni diverse che si snodano all’interno dello spazio espositivo seguendo la stessa linea tematica. L’entrata della sala principale della mostra accoglie con la gigantografia di Shirley, con il suo sorriso colorato di rosso, la pelle candida e i lineamenti angelici. Sulla stampa si legge la scritta “Normal”.
Percorrendo i corridoi del FOAM, Photography Museum Amsterdam, si accede alla seconda stanza: su tutta la parete sinistra regnano i “Portraits with Dodgers”, una serie di ritratti della popolazione nativa (guardando con più attenzione, troverete anche qualche ritratto degli stessi fotografi) che si susseguono tra i contorni di una sorta di “tabella umana”. Ogni ritratto è scattato alla stessa maniera: il soggetto guarda fisso verso l’obiettivo ed è fotografato dalla vita in su. In ogni foto il viso è coperto da una forma geometrica bianca, la stampa del “dodger”, strumento usato in camera oscura per rendere alcune parti dello scatto più chiare. Il formato “tabella” dell’opera suggerisce e critica la tendenza della fotografia del XIX secolo a classificare ed archiviare in “tipi” i vari soggetti fotografici, specialmente rispetto all’appartenenza di razza e genere.
Inseguendo uno alla volta gli sguardi fermi e i visi duri dei “Portraits with Dodgers” la parete del museo curva verso una seconda porta, che introduce nella terza sala della mostra. Qui, il secondo lavoro di Broomberg e Chanarin, “Magic and the State”, ruota attorno all’immagine stereotipata dell’ “altro” e al complicato rapporto tra fotografia e colonialismo. Le otto fotografie esposte, sempre scattate in Gabon, ritraggono i contorni scuri dei corpi di bambini che giocano in acqua o che posano davanti all’obiettivo. I lineamenti marcati disegnano le ombre del soggetto con eleganza, mentre l’immagine del corpo racchiuso dalla silhouette è tagliata e sostituita da frammenti catturati nei paesaggi limitrofi: piante, fiori, arbusti. L’immagine standardizzata del ritratto documentario è sovvertita dal gioco visivo creato dall’ambiente circostante, che rende invisibile il soggetto fotografato trasformandolo in una presenza dai caratteri quasi magici. Il collage di immagini, il cui titolo prende spunto dall’opera “The Magic of the State” dell’antropologo Michael Taussig, esplora e critica lo sguardo occidentale sui popoli e le tribù “non civilizzate”, intrecciando concetti di subalternità ed invisibilità sociale con la storia dimenticata di Shirley e di gran parte della fotografia documentaria del Novecento.
Instaurando un continuo dialogo con le tecniche e lo sviluppo della fotografia analogica degli anni Cinquanta e Sessanta, “To Photograph the Details of a Dark Horse in Low Light” scava radici profonde che si diramano in un passato di oppressione e categorazzazione razziale proiettato su uno scenario in bianco e nero, dove l'idea di “norma” rivela tutta la sua fragilità sfumando dolcemente tra le piante esotiche del paesaggio africano.
“To Photograph the Details of a Dark Horse in Low Light” è al FOAM di Amsterdam dal 20 marzo al 3 giugno 2015. Per maggiori informazioni visitare www.foam.org.