Quattro secoli prima dell'invenzione della fotografia, la riproduzione in più copie della traduzione grafica di un originale, quadro, scultura o altro, fu resa possibile dalla messa a punto di un procedimento che combinava sperimentazioni tecniche su metallo del mondo dell'oreficeria, come il cesello e il niello, con l'impiego della carta, un supporto da poco in uso, e l'utilizzo di uno strumento meccanico appositamente creato: il torchio. Nell'arte orafa si praticava l'incisione di metalli pregiati con il bulino col quale effettuare solchi più o meno profondi attraverso un'asportazione diretta di materiale: una tecnica strettamente connessa all'abilità nel disegnare, al cui esercizio appassionato si applicavano, fra Quattro e Cinquecento, tutti gli artisti che intendevano dare forma alle proprie idee.
Nelle botteghe orafe, per aiutarsi a realizzare l'opera o per documentare i lavori eseguiti, si iniziò a riportare il disegno inciso sulla carta, dopo averlo riempito con sostanze annerenti (come il niello, composto da rame, piombo, argento e zolfo): pare che a questa pratica si debba la nascita delle prime riproduzioni su supporto cartaceo di segni incisi. Competenze orafe, quindi, unite all'abilità nel disegno: non è un caso se Martin Schongauer, tra i più importanti incisori tedeschi del Quattrocento, rincorso da Dürer che lo voleva come maestro, collezionato da Rembrandt che - si dice - possedeva un armadio pieno delle sue stampe, sia figlio di un orafo, così come l'italiano Pollaiolo, primo peintre-graveur italiano, primo, cioè, a incidere personalmente le proprie invenzioni anziché farle eseguire da altri secondo una pratica in uso che vedeva distinti il creatore dell'immagine, da colui che aveva il compito di trasferirla su lastra metallica e di stamparla.
Secondo Giorgio Vasari, esiste però un inventore della stampa a incisione, che si chiama Maso Finiguerra, anche lui orafo, la cui abilità fu anche quella di avere praticato per primo, se non inventato secondo lo storiografo fiorentino a cui deve la sua fama, la stampa calcografica, un procedimento inverso alla xilografia principalmente in uso all'epoca. Con Finiguerra, infatti, la stampa su carta inizia a essere ottenuta da lastre di metallo che, anziché avere il disegno in rilievo come lo è quello ricavato dal legno in xilografia, avranno solchi incisi, i cui segni, una volta riempiti con sostanze annerenti e passati sotto pressione, rimarranno impressi sul foglio di carta risultando “come disegnati a penna”.
All'origine della stampa calcografica e dell'incisione, si trovano, quindi, strumenti tecnici dell'età moderna messi a punto e praticati nel contesto artistico rinascimentale. Sarà nel Cinquecento che si definiranno forme e procedimenti dell'incisione tradizionalmente conosciuta: si assiste, infatti, al perfezionamento delle pratiche di scavo della lastra alla “maniera diretta” (bulino ma soprattutto puntasecca e solo successivamente la maniera nera) distinti da quelli “alla maniera indiretta” come l'acquaforte e tutte le successive derivazioni (acquatinta e vernice molle ), ottenute da un'azione chimica, ovvero dalla corrosione del metallo da parte di sostanze acide.
Nella vasta produzione cinque e seicentesca troveremo quasi sempre la combinazione di due o più procedure, anche se il ricorso alle “tecniche miste” riguarderà soprattutto la preparazione della lastra, mentre rimane comune il procedimento di stampa al torchio, gigantesche strutture in legno, poi in metallo, in grado di generare movimento e pressione: il primo per fare passare fra due rulli un foglio di carta umida appoggiato su una lastra incisa e inchiostrata, la seconda per trasferire l'inchiostro dai solchi incisi nel metallo alla carta. La ricerca tecnologica unita a quella espressiva, fa degli artisti che praticarono l'incisione, i grandi protagonisti di sostanziali innovazioni formali condivise nella cultura figurativa europea.