Le storie di Carpaccio nato a Venezia nel 1475 e morto nel 1525, non sono inventate, sono scritte nei libri, sono leggende, o meglio legenda, storie da leggere, di grande raffinatezza e autonomia declinate in un’originalissima visione. E’ anche straordinario che il ciclo con le Storie di sant’Orsola, commissionatogli dall’omonima Scuola e su cui vorrei soffermarmi, sia sopravvissuto integro nella sua città, alle Gallerie dell’Accademia.
In breve i fatti. Orsola, una vergine principessa occidentale, invece di convolare a giuste nozze con il figlio pagano del re d’Inghilterra, raduna undicimila compagne come dame di compagnia, va a Roma in pellegrinaggio dal Papa, ma, arrivata a Colonia, lei e le altre fanciulle furono sterminate da un esercito di Unni che assediavano la città. Quindi, riceve la palma gloriosa del martirio. Sono storie mirabolanti, improbabili e fantasiose, di santi e vergini, di eroi eccellenti dell’epica cristiana. Sono mito, racconto favoloso, proprio come le pitture che le descrivono, le interpretano, le illustrano. Storie da guardare senza fretta, percorrendole avanti e indietro, soffermandosi sulle singole figure, sui dettagli, sui costumi, sui gesti, sulle scene.
I nove grandi teleri delle Storie di sant’Orsola, dipinti tra il 1490 e il 1495 e originariamente collocati intorno alle pareti della sala consiliare della Scuola, mostrano l’interesse che Carpaccio aveva per la pittura fiamminga, la cui contaminatio artistica con Venezia era evidente. L’attenzione con cui cura i particolari è impressionante: dai libri nell’armadio aperto ai vasi di fiori sul davanzale del Sogno di sant’Orsola, dagli intarsi in marmo a rilievo sulle pareti alle ghirlande vegetali che scendono dall’arco ne La partenza degli ambasciatori. Non solo particolari però. La pittura di Carpaccio è elegantemente sociale. Rappresentò una serie di arrivi e partenze in diverse forme rituali. Si vedono ambasciatori andare e venire: arrivano presso una corte, poi se ne ripartono con gesti di deferenza per giungere a un’altra. I personaggi sono creature pubbliche, pure le undicimila vergini – future martiri - al seguito di Orsola.
Il ciclo di sant’Orsola è anche una sorta di manuale per la resa della folla. Nel Ricevimento degli ambasciatori, il pubblico è vasto, riunito a sinistra del tempietto, mentre altre figure affollano balconi e ponti, che, soffermandosi a guardare, rispecchiano una società ordinata. Dettagli apparentemente insignificanti, come il bambino all’estrema sinistra che suona uno strumento a corde, regalano animazione e spontaneità. Nelle piccole oasi di ‘non partecipanti’, vicino ai gradini del tempietto, è seduta soltanto una scimmia che guarda una faraona. E qui si potrebbe aprire un lungo discorso sugli animali simbolici, sulle metafore, sul contesto, sull’iconologia, sulle fonti, sulla committenza.
Carpaccio, che John Ruskin, nel 1901, definiva una specie di specchio magico, che riflette istantaneamente qualunque ordine di bellezza, è uno scrigno magico, ancora da svelare completamente.
Articolo di Alessandra Artale