Si affievolisce il calore dell’aria intorno a noi che anche il colore-calore delle rosse foglie diverge al giallo e lento cade alle fredde brume, si che l’essere umano di calore ha volontà ricercata in un angolo protetto del suo intelletto: il Teatro.
E’ teatro la parola che, all’incalzare di un nuovo inverno, gli italiani stanno andando a ricercare maggiormente sul web.
Il mio spirito non può che veleggiare sul ricordo, di quando ragazzo, aprivo l’armadio dei vestiti e mi recavo al Politeama di Genova assaporando, nel freddo caldo parterre ad aprir chiudersi degli androni, l’incipit della serata; di quando mi immergevo nella trama, coccolato dal calore degli attori e del loro pubblico silenzioso; di quando sferzavano le sensazioni innate nel dopo teatro di fronte ad una gioviale convivio; di quando felicemente lambivo i sogni del vissuto; di quando composi:
soirée au théâtre
at te sa vesti to
lì
là bas
bru sio luce
silenzio buio
voce irraggia mento
stell a zione
luce
brusio
cibo bru sio
brusio
let to
E' un lento cadenzato passaggio di luoghi e non spazi, rumori e silenzi, luci e oscurità, emozioni che srotola il teatro e l’incidenza che riesca ad avere sulle anime umane, finanche, oggi lo leggeremo, generare rivoluzioni trasformanti in evoluzioni. Infatti il termine teatro è quel trait d’union semiotico che permette marcare, nelle lingue odierne, il concetto di persona: approfondiamo ciò che da un attento percorrere inglobi la prossèmica, cioè quella scienza che studia lo spazio (e le distanze interpersonali) come fatto comunicativo.
Teatro deriva dal latino [theātrum] termine clonato dalla più antica classicità greca [théatron] quel luogo di [théama] spettacoli da Politeama appunto, frammisti a [thãuma] meraviglie e prodigi tale da essere [thaūmatos] ammirevole e divenir [theōrēma]; talis quasi la considerazione nutrita verso le scuole pitagoriche che, nei teoremi, impersonificavano la “luce divina.
Va infatti, giusto appunto, indagato che il [th/e/a] greco sia stata evoluzione del [dhī] sanscrito a causa di una mutata correlazione fonica naturale; mutamento che l’uomo ha utilizzato, nel corso dei secoli, ivi a raggiungere una maggiore durezza espressiva tale da ritenersi più comprensibile, in parole povere: più diretto; sia a prodomo di tale principio, la pressoché totale mancanza di tali radicali [th/e/a] [dhī] nelle parole, nuove o modificate, delle lingue occidentali moderne.
E' pur vero che l’uomo moderno necessiti di conferme ricercandole nella quadratura di un angolo e di una spigolosità razionale prima che intellettuale; piuttosto che osservarsi le dita coniche, il viso ovale e lasciarsi cullare dal mistero di un ph greco per dopo, gaudium maximum, rimanere attonito di fronte a:
l’infinito
*Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
In sanscrito infatti [dhī] significa riflettere, pensare, fino alle sue derivazioni semantiche [dīdhī/dīdhīte] splendere, meditare, aver fede, o, con quanto di più illuminante semplicità, pensiero; nello slegare le singole lettere, ritroviamo poi, quelle deliziose e naturali conferme di quanto la lingua segua l’essere umano e viceversa; scomponendo [dhī] possiamo infatti scrivere si tratti di uno spostamento [h] incessante e continuo [i] di luce [d] per cui: un pensare in sintonia con la luce divina, intellectus, intellegere.
Il teatro, infatti, nasce dalla rappresentazione sacrale e rituale in un particolare spazio circoscritto adibito al culto, e tale spazio aveva forma circolare; nella Grecia antica, le rappresentazioni erano strettamente correlate al culto di Dionisio; il teatro Nō giapponese, agli albori del XIV secolo, ne sia ulteriore fulgido esempio con i suoi personaggi leggendari e soprannaturali, le sue maschere, la sua più antica forma di rappresentazione, okina, che combinava la danza ai rituali scintoisti, il luogo della scena che oltre al quadrato del palcoscenico ottemperava anche ad una serie di luoghi ben identificati che permettevano alla rappresentazione, di divenire circolare.
A chi volesse, un rimando ai consapevoli approfondimenti che possa ritrovare in testi quali, a titolo esemplificativo: Semiotica del Teatro: la stabilizzazione del senso di Franco Ruffini; Per una semiologia del Teatro classico del Pagnini; Teatro ed Attori di Miller; e, non ultimo per importanza, Semiotica del Teatro testo fondamentale, scritto nel 1982 dal Marco De Marinis.
Di fatto, quadrando il cerchio, incontrando il termine greco [prósōpon] alias colui che è innanzi [prós] a chi guarda [ōpon], ritroviamo le radici latine di [persona/ae] quindi persona; scavando oltre, il termine greco è diretta emanazione del termine sanscrito [pratīska] cioè ciò che si vede innanzi; termine costituito dalla radice [aks] che scomposta non significa altro che: dare l’avvio [a] a un moto curvilineo [ks], per cui svilupparsi tutto intorno in ogni direzione, per cui muovere in cerchio; siamo, per cui, tutte persone aventi carattere teatrale o maschera come tanto piaceva descriversi al maestro Pirandello, il cui termine [per] è intensivo del secondo elemento [sona], quindi voce della nostra essenza da farsi sentire agli spettatori più lontani: noi stessi; siamo tutte persone in cui, presto o tardi, la maschera inizia a fondersi come nel più carismatico dei Dorian Gray, noioso e tedioso non accettarlo.
E' qui ed ora che comprendiamo la vera natura del Teatro, quale, ora o mai più, rappresentazione della cultura umana, sia essa vicina alla materialità per cui quadrata, sia essa vicina alla sacralità per cui circolare, sia essa non più solo rivoluzionaria, bensì ed anche, evoluzionistica per figure geometriche di cui i solidi platonici hanno dato spettacolare esempio sopito e poco noto ai più nei secoli. Ora abbiamo il 3D anche nei televisori e i tempi sono maturi per calcare non il parterre o la platea ed i nobiliari palchi, neanche il proscenio o il patio ma piuttosto la parte attiva che ben si identifica in un spettacolare Labiritum Into SE, che ben sia il palco: il palco della vita umana.
Auguri a voi, ai vostri cari, a tutti noi: attori e spettatori in essenza: persone.