In questo periodo la nebbia cupa e la pioggia, nei loro giochi insaziabili, divorano la luce e scombinano i miei giorni ad un punto tale che al mattino mi è sempre più difficile conquistare la posizione verticale e raggomitolata in posizione fetale mi ripeto "Ecco sto bene qui, non mi alzo più".
Invece mi alzo e continuo a scrivere anche se attorno a me si consuma la notte dei tempi con una violenza inaudita. Nel mondo non passa giorno che si manifesti questo odio di genere. Tra i tanti, questa volta ne ho scelti tre: si conoscono perché li leggiamo nei quotidiani ma sono così frequenti che quasi non fanno più notizia. Allora per fare ancora notizia ecco che Cosimo Pagnani dopo aver ucciso la ex moglie ha scritto sulla sua pagina Facebook "Sei morta tr..." e in 308 hanno cliccato "mi piace".
Il 26 novembre, il giorno che segue la giornata mondiale contro la violenza alle donne, in India una ragazzina di 15 anni riesce a sottrarsi al branco. Per vendetta il branco la brucia viva. È accaduto in un paese che dista solo 180 km da New Delhi, quindi non in un paesino sperduto nel quale vige ancora la legge tribale. Negli Stati Uniti da Bill Cosby, il "papà d'America", ora potenziale stupratore seriale, ai college dove le truffe vengono trattate con più severità degli stupri si manifesta "una cultura che consente lo stupro". In questo articolo pubblicato su La Repubblica (sabato 24 novembre 2014) così prosegue Nicholas Kristof: "Il problema più in generale siamo noi. Collettivamente siamo ancora troppo passivi riguardo alla violenza sessuale in mezzo a noi, troppo pronti a trovare giustificazioni, troppo inclini a percepire un elemento di vergogna nell'essere stuprati. Sono tutti atteggiamenti che facilitano la violenza creando una coltre protettiva di silenzio e impunità. In questo senso, siamo tutti complici oggettivi. ...".
Penso che l'evento che rende simili tutte le nazioni del mondo sia il femminicidio e lo stupro. Ed è anche il segnale che le donne, in tutto il mondo, stanno disubbidendo alle leggi fondanti l'ordine patriarcale che le vorrebbe solo come esseri aggiuntivi per la riproduzione dei mortali. Noi donne, fin dalle origini siamo allenate a disubbidire, a lottare con i nostri mezzi per conquistare una libertà che liberebbe l'umanità intera. E per farlo abbiamo compiuto e compiamo miracoli. A volte, data la mia età che sta percorrendo le vie infide della vecchiaia, mi chiedo se la passione - da passus part. pass. di pati, patire - per un mutamento radicale dell'educazione partendo dalla famiglia e dalla pubblica istruzione, sia diventata, come il desiderio del silenzio, una fissazione. Ora, seguendo il mio patire potrei denunciare tutte le sedi della cultura per avere trasmesso per secoli una storia che appartiene solo agli uomini e viene data invece per assoluta e separa e annienta il mondo delle donne. Sarebbe così semplice coinvolgere due parzialità e compiere un percorso in grado di aiutare le coscienze a riconoscersi e questo sarebbe un bene immenso.
Lo so. Posso risultare patetica e ripetitiva ma non me ne importa niente perché la posta in gioco è la più grave ingiustizia globale che io conosca e si perpetua sin dalle origini e guarda caso, colpisce la mia umanità. Nella storia non esiste persecuzione più grave e devastante nella sua ferocia ripetitiva. Ho iniziato a scrivere pensando di riprendere un scritto pubblicato nel 1989 e scritto da Donatella Franchi e da me in occasione di una serie di mostre personali alla Galleria 420 WB di Ravenna. Mi sono detta che per iniziare la mia storia delle donne potevo partire dall'Arte e la Politica, che è il mio campo d'azione. Poi invece ho preso apparentemente un'altra via. Lo trascrivo ora. Questa seconda parte del racconto è una risposta nata da un incontro che "rientrava in quel campo dell'eccezionalità che a volte investe le donne: il considerarsi reciprocamente."
L'arte e la politica
Non iniziamo da una storia nuova, continuiamo a elaborare pensieri e immagini che altre donne prima di noi, e in questo momento, hanno scritto o stanno scrivendo. Sono tante. Le nostre citazioni sono la testimonianza del lungo percorso fatto dalle donne nel campo dell'arte ( da quando era loro proibito fino a oggi). A noi sembra che dare una forma a questo esserci sia un dovere nei confronti di noi stesse e un atto di responsabilità.
Siamo consapevoli della parzialità del nostro pensiero, del nostro angolo di visuale. Ma crediamo che proprio nella consapevolezza della parzialità si possa trovare forza, nella definizione di un limite, di una forma. Siamo convinte che l'arte non parla un linguaggio neutro, semplicemente perché non esiste un linguaggio neutro. Ciò che viene così definito non è la somma di due voci distinte, di due punti di vista sul mondo, ma l'espressione di un unico punto di vista, dato per assoluto. "Da questa incapacità del pensiero umano di conoscersi nella dualità di uomo/donna, viene che la differenza si vive piuttosto nella forma di passione. Questa passione della differenza sessuale è rintracciabile nell'arte e nella letteratura, specialmente nella grande letteratura femminile del Novecento che la porta fino alla forma del sapere...Così a ciascuno accade di essere donna o uomo a seconda del corpo che ha. Ma sarebbe più giusto dire: che è" [1] .
La nostra riflessione sull'arte ci spinge, inevitabilmente, a una diversa lettura della produzione artistica e al modo di comunicarla, che ci porta lontano dalle categorie interpretative correnti e dalla cosiddetta "critica d'arte". La lettura della produzione artistica di un'altra donna va intesa come scambio, incontro/confronto, rapporto generativo, di crescita. Abbiamo un magnifico inizio: il pensiero poetico di Marina Cvetaeva nel suo Ritratto di un'artista, sulla pittrice Natalia Goncarova, una intensissima testimonianza poetica di ciò che noi intendiamo per "critica d'arte". In questo testo, l'incontro/confronto con una donna che produce arte, diventa esso stesso un'azione creativa di "crescita" e "ramificazione", così vede Marina Cvetaeva l'attività creativa. Il gesto dono della pittrice, suscita una sorta di reazione amorosa, germogliante, in chi si pone in ascolto, in un processo di reciprocità di crescita" [2] .
Evidenziando l'ambivalenza semantica del verbo russo pisat (che significa sia "scrivere" che "dipingere"), definendo se stessa pittrice e il suo saggio ritratto, talvolta la Cvetaeva sembra quasi voler sottolineare la sua immedesimazione, o piuttosto il suo accoglimento in sé dell'altra, fino a mutare il proprio ruolo, da scrittrice a pittrice per ritrarre la natura-viva Goncarova [3]. Un'altra iniziatrice è Carla Lonzi, che verso la fine degli anni '60 si interroga sul senso del ruolo critico in cui avverte "una codificazione di estraneità al fatto artistico", mentre per lei, l'opera d'arte è "una possibilità di incontro, come un invito a partecipare" [4]. Ancora più preziosa è la riflessione che più tardi Carla Lonzi conduce, sul diverso modo di produrre di una donna. Essa può produrre solo nella relazione, senza sacrificare i rapporti reali all'opera. Non si può creare se non si ha coscienza di sé, e ciò è possibile solo quando una donna afferma la propria differenza, producendo opere senza rompere i rapporti con la propria realtà [5] .
In questo momento storico ci sentiamo parte di un progetto che investe altri campi di sapere e di attività, dove sta emergendo il pensiero femminile (scrittura, filosofia, storia, scienza, pedagogia, diritto, ...), e da cui traiamo nutrimento per la nostra riflessione sull'arte. Siamo consapevoli che il progetto è legato non solo alla ricerca di interlocutrici del presente, ma anche alla memoria, al riconoscimento e alla valorizzazione delle donne che si sono occupate di arte nel passato.
Centinaia di donne che si sono misurate non solo con gli strumenti della creazione artistica, ma anche con i rapporti, creando tessuti di relazioni, che poi successivi processi storici hanno lacerato o resi clandestini. Nella storia delle artiste americane del terzo decennio dell'Ottocento leggiamo: "È un momento essenziale di crescita sotterranea. Al di là dei risultati estetici concretamente raggiunti, il periodo registra una intensissima attività femminile nel campo artistico con, da un lato una sequela di riconoscimenti e di vittorie sociali, dall'altro un accanito travaglio di perfezionamento dei mezzi formali e tecnici. Questa immensa mole di lavoro, parzialmente oscuro, dissoderà il terreno per la fioritura successiva, che non sarebbe stata altrimenti possibile" [6] . È solo attraverso la creazione di un tessuto di rapporti forti con le donne del passato e la valorizzazione dell'eredità che ci viene dalle donne del passato, che possiamo creare autorevolezza femminile nel campo dell'arte, autonomia di pensiero e di azione, presupposti indispensabili per un'attività creativa veramente libera.
E ora ancora un po' più lontana nel tempo, Maria Sibylla Merian.
Ecco una mia cara compagna di viaggio che viene da Francoforte. Quello che ci accomuna è la passione per gli insetti e le loro metamorfosi. Non ci conoscevamo ancora e percorrevamo tutte e due la stessa via. Maria Sibylla Merian è nata nel 1647 da una famiglia di stampatori ed editori. In compagnia della figlia Dorothea se ne andò in Surinam (Guiana olandese) per approfondire i suoi studi sugli insetti e in generale sulla flora e la fauna dei tropici. Ad Amsterdam nel 1705 fu pubblicata la prima edizione (in latino e olandese) delle Metamorfosi, con sessanta tavole ricavate dagli acquarelli originali. Negli anni successivi continuò le ricerche sugli insetti europei, accentuandone sempre più il carattere scientifico. Morì ad Amsterdam nel 1717, in miseria. In Italia nulla o quasi, sicuramente le sue stupende metamorfosi non si studiano a scuola.
Nel mio prossimo intervento racconterò Per necessità il caso ovvero le ragioni che mi hanno condotta all'arte e la politica.
[1] Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga, 1987
[2] Marina Cvetaeva, Natal'ja Goncarova, Ritratto di un artista, ed. delle Donne, 1982, pag. 112
[3] Ibidem, pag. 9
[4] Carla Lonzi, Autoritratto
[5] Carla Lonzi, Vai pure
[6] Franca Zoccoli, Dall'ago al pennello. Storia delle artiste americane ed. Quattroventi, 1987