Nella nostra società, nel contemporaneo, c'è una reale difficoltà nel cercare di interpretare l'attuale situazione culturale sui problemi filosofici concernenti la morte. Molti filosofi si sono posti la domanda: la morte è fuori o dentro la vita? Nel tentativo di capire se il valore della vita è condizionato dalla morte o se è la morte che acquista valore tramite la vita.
Uno tra gli artisti contemporanei che lavora affrontando queste problematiche è Damien Hirst, le sue opere suscitano sempre scandali e dibattiti. In una intervista riportata nel libro Manuale per giovani artisti, leggiamo: “È noto che il suo lavoro si sia sempre concentrato sulla morte e il decadimento progressivo, lui stesso ha affermato “Mi piace creare emozioni scientificamente”. Le sue gabbie prive di presenza umana parlano di una morte moderna in stanze d’ospedale piastrellate da un silenzio rimosso tecnologicamente. Parlano, diciamolo pure, di come la morte sia diventata sempre più mediata, di come la tecnologia mediatica abbia messo una distanza tra noi e la nostra morte, rinforzando la convinzione che sia solo un fatto che riguarda gli altri.”
Hirst dichiarava più avanti nella stessa intervista: “… sono ossessionato dalla morte, però credo che sia una celebrazione della vita e non qualcosa di macabro. Non puoi avere una cosa senza l’altra. (..) La morte non esiste senza la vita. Credo che la sola cosa che esista sia l’ossessione della morte, è un modo per celebrare la vita. (…) Ho sempre voluto tirarmi uno schiaffo e dirmi “Aspetta un minuto, morirai, non essere troppo presuntuoso”. È inevitabile.” 1
La morte in ospedale è un fenomeno che ha iniziato a diffondersi dalla seconda metà del Novecento ed è diventato generalizzato, nel senso che il morire è stato medicalizzato, morire in tale luogo nella mentalità quotidiana si sente sempre più come “normale”, l’ospedale è percepito come un territorio neutro, dove gli eventi coinvolgono i familiari in modo velato e parziale. Inoltre nel XVIII secolo è avvenuto un processo di “commercializzazione” della morte, avviatosi in seguito alla diffusione dei servizi mortuari. Dalla seconda metà del Novecento, e soprattutto negli ultimi decenni, si assiste a una nuova sensibilità; l’attenzione si è spostata dal problema morte, come evento filosofico, al tema più concreto del morire, con i molteplici aspetti ad esso legati (tematiche come la vecchiaia, la malattia, i trapianti d’organo, ecc.) L’arte rappresenta questa “realtà nuova” e registra i mutamenti del mondo.
L’artista Damien Hirst, nel testo Contemporanei di Paolo Vagheggi , alla domanda perché è così ossessionato dal tema della morte, rispose: “Perche ritengo che la vita sia molto entusiasmante e mi sembra strano che a un certo punto debba finire. (..) La nostra società evita di porsi domande sulla morte mentre gli artisti, in un certo senso, costringono la gente a farlo”. 2
Alcune ricerche condotte da sociologi e antropologi hanno mostrato come l'idea della morte sia poco presente nell'immaginario collettivo attuale. L'uomo moderno, attraverso la tecnologia, sembra nutrire una segreta speranza di immortalità. Nel passato la raffigurazione della morte non costituiva motivo di clamore, oggi nell’odierna società delle immagini le cose sono cambiate, le reazioni alle opere degli artisti che trattano la tematica sono fra la curiosità, lo scandalo, lo sdegno o lo shock. Spesso l’artista tenta con il suo lavoro di scuotere dall’apatia dell’assuefazione alle immagini. In molti considerano la morte molto più oscena del sesso e la sua riproduzione è vista come un tabù. La morte, la nostra morte è qualcosa di innominabile.
Alcuni tra i numerosi artisti contemporanei che hanno realizzato opere ispirate al tema della morte sono: Weegee, Andy Warhol, Robert Mappelthorpe, Christian Boltanski, Hermann Nitsch, Oliviero Toscani, Gino De Dominicis, Gerhard Richter, i fratelli Jake & Dinos Chapman, Andres Serrano, Maurizio Cattelan, ecc. Nel corso dei secoli, ogni società si è confrontata con il tema della morte. Esiste una nuova sensibilità sociale relativa alla morte come possiamo desumere dalle parole di Foucault: “La mummia è il grande corpo utopico che persiste attraverso il tempo. Ci sono state anche le maschere d’oro che la civiltà micenea posava sui volti dei re defunti, utopie dei loro corpi gloriosi, potenti, solari, terrore degli eserciti. Ci sono state le pitture e le sculture funerarie, e figure giacenti che a partire dal Medioevo prolungano nell’immobilità una giovinezza che non passerà mai. Ci sono ora, ai giorni nostri, quei semplici cubi di marmo, corpi resi geometrici dalla pietra, figure regolari e bianche sulla grande lavagna dei cimiteri. E in questa città dell’utopia dei morti, ecco che il mio corpo diventa solido come un oggetto, eterno come un dio”. 3 Mi pare che l’atteggiamento dell’uomo di fronte alla morte sia un fenomeno dinamico, che è in continua evoluzione.
Note
1) Manuale per giovani artisti, L’arte raccontata da Damien Hirst, Postmedia books, intervista 1, pag. 14-21.
2) Paolo Vagheggi, Contemporanei, Conversazioni d’artista, Damien Hirst, Skira, pag. 110
3) Michel Foucault, Il corpo, luogo di utopia, i sassi nottetempo, pag. 8