Perdere un'illusione rende più saggi che trovare una verità.
Ludwig Börne, Frammenti e aforismi, 1840 (postumo)
Forse un orizzonte che non puoi raggiungere è tuo per sempre, ho pensato trovandomi lì. In campo ottico fatamorgana indica la possibilità di vedere miraggi, nelle leggende celtiche fatamorgana rivestiva i panni di una strega con poteri sovrannaturali, uno di questi era appunto la sospensione.
Sull'illusione e la sospensione nasce la mostra fatamorgana alla Galleria Astuni di Bologna curata da Antonia Alampi. I lavori esposti dialogano e rimangono in bilico tra l'immaginazione e la speranza, verso nuovi desideri e conquiste, fittizie illusione e la nostalgia di una realtà passata. Le opere si interrogano quindi anche sul ruolo del potere oggi, e non solo quello politico, sulla crescente dote di creare fra le più grandi e pericolose illusioni.
Sin dall'entrata in galleria ci accolgono dei lavori, il vinile adesivo sulla vetrina dell'artista lituana Goda Budvytyte, dal titolo fatamorgana appunto. Un ibrido tra un logo e un disegno, un monogramma astrattamente concreto delle lettere FM. L'artista stessa afferma di interpretare il segno come un profilo di onde e poi di montagne. L'illusione metaforica di un paesaggio che può essere tutto come niente. Appena sulla soglia ci troviamo convogliati da un'installazione site specific per la galleria firmata Clemens Hollerer, con Noshelter, l'artista austriaco indaga lo spazio, regalandoci un senso di precaria sospensione e precaria protezione. Non vi è alcuna protezione e la sicurezza non è che l'ennesima illusione. E' questo quello sul quale vuol farci riflettere l'artista. Come un cantiere dell'immaginario alterna lunghi legni aggrovigliati bianchi e giallo fluorescente, come uno Shanghai sospeso sulla nostra percezione.
La prima impressione che si ha trovandosi all'interno della galleria è quella di un set cinematografico ai confini della realtà. Le opere dell'artista egiziana Malak Helmy si collocano a metà tra finzione e realtà, acquistando significato diverso a secondo del contesto, gioca su codici semiotici che confondono la fruizione. Al centro dello spazio espositivo troviamo la scultura della fontana total white in poliuretano, altro non è che la riproduzione in scala reale di un tipo di fontana tipicamente costruita in complessi residenziali e spazi commerciali in Medio Oriente. Il materiali impiegato è solitamente utilizzato per modellini architettonici. Questa fontana diviene una pedina fittizia di un'architettura inesistente e rimane immutata in un film dal futuro vacillante e precario.
Di stessa natura le sculture dal titolo Scene 4: a composition for gradients, riproduzioni in scala reale di diversi tipi di roccia salina realizzate in resina. Queste pseudo rocce geneticamente modificate narrano gli spesso alterati ritmi biologici e sociali della nostra contemporaneità. Gli interventi della Helmy sono spiazzanti, ci si aspetta di trovare marmo o minerali e invece non potremmo che toccare polistirolo ad alta densità o resina. Il fittizio di interroga spietato sulle mutazioni del reale. Nel video Chapter 3: Lost referents of some attraction, tre paesaggi tra il surreale, l'artificiale e il naturale metafisico trovano dialogo. Una Piana di sale, una spiaggia, e una futura centrale elettrica nucleare. Personaggi alla deriva tra attese, risoluzioni e desideri. Un'analisi bio sul paesaggio di una costa egiziana.
Su due lati speculari del perimetro dello spazio espositivo sono poste in serie, in una successione ordinata i frammenti di visioni, dei molteplici viaggi dell'artista egiziano Basim Magdy, Every Subtle Gesture del 2013 sono 25 stampe a colori incorniciate non solo da un passpartout bianco, ma da frasi in argento stampate, come incisioni e ponti di collegamento, altrovi linguistici che ampliano le possibilità delle immagini immortalate su carta fotografica. Queste foto sono parte di una grande collezione che ormai prosegue da anni, istantanei indizi, pezzi di un puzzle che probabilmente non esiste, parti di un gioco che vuole essere costruzione in bilico tra realtà e finzione. Fiori che sbocciano, universi o planetari plastificati, gabbie di volatili, diversi sguardi su diversi paesaggi, un uomo barbuto sperimenta su un giovane un apparecchio metallico semisferico all'altezza del cranio e la frase-cornice ci racconta brevemente con un tweet su carta: we wake up in dirty masks and election costumes of unknown history. E ancora, un cantiere, e alcuni operai fanno da sfondo a un altro breve ma intenso e mirato tweet: we construct intricate alibs to make up for our absent-mindedness. Magdy ci offre appunti di viaggi radicati nell'incertezza. Una natura sempre in sospensione.
Quella stessa sospensione che rende visibile l'opera di Luca Pozzi. Trinity platform del 2014, è un'installazione che utilizza neon, campi di levitazione elettromagnetica, e spugne. Tre piattaforme quadrate sono interconnesse al fine di tenere in levitazione delle spugne luminescenti e colorate. La forma dell'installazione non è casuale, difatti riprende la posizione delle tre piramidi di Giza, connessa a loro volte con la costellazione di Orione. Il lavoro si presenta ricco di sinergie cosmiche e dicotomiche. L'artista stesso lo definisce come un "rimescolamento violento di informazione tra una forma geometrica-grafica di derivazione architettonica stabilità e verificata è una spugna di imprecisabile contorno". Limitato e illimitato, definito e indefinito si ritrovano a collidere. L'immaginifico e il possibile digitale si mescola alla costruzione analogica dalla quale lo stesso digitale dipende.
Razionale e irrazionale. Tutta la mostra è costruita su quel limen dai contorni fragili e precari, illusori, il visitatore stesso si sente in balia di una vertigine-voragine ambigua tra ciò che è è quello che non è. El buro fantasma, dell'artista messicano Carlos Amorales, presenta quattro lastre incise di sette pagine di giornale prodotte nel suo studio nell'estate 2013. L'artista e il team hanno creato ad hoc articoli del tutto fittizi che tramite la collaborazione di un giornalista, di domenica mattina (giornata di minor controlli), sono stati inviati alla redazione di un quotidiano nazionale e pubblicati successivamente come veri. Il contenuto degli articoli riguarda la poesia, l'arte e la storia politica dopo il colpo di stato cileno. Gli articoli raccontano di gesti compiuti sia dal regime fascista che dalla resistenza, molto simili tra loro per la peculiare e programmatica distorsione della realtà e strumentalizzazione dei media. Ritorna in luce quindi il discorso iniziale sul potere politico e non come maggiore produttore di false illusioni.
Altro lavoro esposto in mostra dell'artista messicano è Screenplay for Amsterdam, una serie di 100 stampe in bianco e nero su carta che ben dialogano a mio parere con il lavoro di Magdy. Anche qui ci troviamo davanti a un certo numero di frammenti di visioni. Questo lavoro è una sceneggiatura preparata per il film Amsterdam. Sceneggiatura che diventa opera a sé dal film è che rappresenta un filone di ricerca di Amorales ovvero l'indagine dell'artista sulle lingue non semantiche. Segni e simboli, immagini di attori e testi sono stati mixati e creati tramite l'uso di una fotocopiatrice. Diventando il linguaggio parlato sempre più astratto la comunicazione fra gli attori si è svolta via via in maniera eminentemente corporea. Questa ambiguità ha concesso di arrivare a un'esperienza simile a "un'anarchia sociale temporanea" come l'ha definita l'artista durante le riprese del film.
Fatamorgana ci appare sfuggente, sempre in bilico fra verità di diversa natura, non si lascia concepire mai integralmente, l'illusione di un possesso totale non è che l'idea fittizia sulla quale getta le proprie radici il potere avaro. Il beneficio di essere equilibristi dell'incerto è una precarietà che oggi più che mai fatichiamo ad accettare. Rimanere sospesi come spugne indefinite in un preciso ritmo cosmico che sempre più viene modificato costa più che un passo falso. Fatamorgana è una circense in fuga, temporanea, un miraggio profondo aldilà di un velo di Maya cinematografico.