Quell’Olmo Solitario era l’ultimo esemplare rimasto di tutta una foresta che ricopriva la collina. Era situato proprio in cima, accanto a una chiesetta campestre e veniva chiamato “Il Sopravvissuto”. Le altre piante erano morte da oltre un secolo, attaccate da un terribile fungo che le uccise una dopo l’altra, anno dopo anno, spegnendo ogni loro sorriso. Il fungo aggrediva prima le radici e poi saliva verso l’alto invadendo lentamente l’anima della pianta. Anche il Grande Olmo fu colpito dal fungo, che ne aggredì le robuste radici creando nell’alto fusto un impercettibile disequilibrio, ma poi, forse per la sua enorme forza, per il suo essere saldamente piantato a terra, naturalmente possente e longevo, vinse il contagio guarendo inspiegabilmente, condannato, però, a vedere la fine di tutti i suoi compagni.
L’Albero era davvero coriaceo e comunque non si fece abbattere dalla malasorte: continuò a crescere, a tirare fuori nuovi rami e a riempirsi di germogli a primavera. All’età di un secolo e mezzo, raggiungeva l’altezza di un campanile e la sua chioma ovale, larga ed elegante, più ampia della chiesa, era il segno distintivo della sua bellezza. Verdissima nella buona stagione, diventava dorata in autunno e lasciava i rami interamente scoperti in inverno. La sua corteccia grigia, che da giovane era liscia e vellutata come le sue foglie, con l’avanzare dell’età acquisì le tonalità del bruno scuro mettendo in risalto parecchie fenditure. Però la pianta conservò la sua struttura imponente e tutta la sua superba eleganza.
A causa del suo sinistro destino di essere piantato in mezzo a un cimitero di Olmi, fu ritenuto dai viandanti una sorta di albero del sonno eterno, la pianta della morte, per questo la gente se ne tenne in un certo modo distante. Quelli che uscivano dalla chiesa ci si appoggiavano distrattamente quand’era pieno di germogli, mentre quando i rami, rattrappiti dal freddo, erano spogli, se ne allontanavano impauriti. Eppure l’Olmo era pieno di vita, capace di un’attività incessante, di sfoggiare sempre nuove idee, d’elaborare un sacco di progetti. Se lo si fosse conosciuto meglio, invece che l’Albero del Sonno, lo si sarebbe considerato la Pianta dei Sogni, un vegetale creativo e pieno di energia, inespugnabile e inesauribile.
Certo il suo prediligere quel cantuccio all’ombra della chiesa gli tenne lontano un certo numero di scocciatori, ma tanto tutte le volte che tentò di socializzare con qualcuno gli furono sempre staccate le foglie e amputati i germogli. Una volta venne addirittura incarcerato. Un’equipe di studiosi giunse con un sacco di arnesi strani, lo circondò con una rete asfissiante e lo tenne prigioniero per un anno intero. Gli mancò la luce, l’aria, il respiro, l’alito leggero del vento. Poi, dopo tanti attentati alla sua corteccia, ai sui rami, alla sua chioma e alle sue profonde radici, visto che non si riusciva a comprenderne il carattere e la forza vitale, furono abbandonati gli studi lasciandolo definitivamente in pace.
Così recuperò la sua libertà, ma il suo carattere divenne ancora più chiuso, sempre più solo e lontano dagli altri alberi, ma profondamente immerso nel mondo dello spirito. Forse lui proveniva da un altro pianeta, forse possedeva la scorza di un extraterrestre, o forse era semplicemente un gigante in un mondo di nani, aggrappato al Paradiso dei suoi sogni. Quando aveva ormai rinunciato a ogni velleità di socializzazione, si fermò accanto a lui un pellegrino alquanto strano, un giovanotto simpatico e sorridente. Si sedette sotto la protezione della sua ombra e cominciò a riempire del suo canto il silenzio della vallata. Il vecchio Olmo s’incuriosì e abbassò leggermente il capo per udire meglio. Fu avvolto dalle melodie di quella voce che travalicava i confini del vento, si levava sopra il canto degli uccelli e raggiungeva con un acuto l’anima di Dio. Allora s’inchinò protendendo tutti i rami in direzione dello sconosciuto. Il giovanotto continuò a cantare tutta la sua gioia e a stupire il nostro gigante. Non che lui avesse bisogno di compagnia, ma dopo anni di solitudine fu affascinato da quella voce onesta e sincera.
Allora donò al ragazzo rami e foglie per costruire una piccola capanna. Si svegliavano entrambi sul far del giorno per raccontarsi i loro sogni, osservavano con gusto lo spettacolo degli uccelli, i colori del paesaggio, l’eleganza dei fiori. Poi il giovanotto tirava fuori la sua voce e ammantava della sua magia tutti gli spiriti della natura. Venne un giorno in quel cantuccio anche la Fatina Ambra. Prese la sua bacchetta magica e trasformò la capanna in un castello straordinario immerso in un vasto prato. L’Olmo e il giovanotto vissero comodi e a loro agio in quella dimora. Ogni mattina, chiamavano a raccolta gli uccelli del posto e cantavano al sole i numeri della fortuna. Il sole strizzava l’occhietto e faceva cadere dal cielo una pioggia di monete. Erano tutte d’oro puro e riempivano il prato di un riflesso brillante. La Fata regalò ai due amici anche una splendida fontana dove loro fecero abbeverare tutti gli animaletti della campagna. Le farfalle svolazzavano intorno all’Olmo richiamate dalla musica, le coccinelle s’appoggiavano numerosissime sopra il fusto dipingendolo di fuoco e le libellule danzavano sul prato il ballo sfrenato della buona sorte.
Quando il sole tramontava e calava il crepuscolo, l’Olmo raccoglieva dall’anima i suoi sogni e cominciava a sistemarli per la notte. Il ragazzo crollava sempre dal sonno e non faceva in tempo a riunire le idee per il riposo notturno, anzi perdeva sempre la sua voce e non ricordava mai dove l’aveva messa. Spesso il vecchio Olmo si trovò da solo a guardare la Luna, la ringraziò per il dono della vita e per la soavità della sua luce. L’Astro rappresentava il mondo femminile che irradiava i suoi raggi argentei ingravidando di emozioni ogni sentire. L’Olmo inginocchiò la sua anima allo spirito della notte e chiese alle stelle l’accoglimento di ogni suo desiderio. Le stelle risposero brillando intensamente e una pioggia di diamanti calò dal cielo e si stese luccicante sopra il prato. Il gigante sorrise contento e chiamò il suo giovane amico per farlo immergere in quel mare di luce. Ma il giovanotto si voltò dall’altro lato e dormì fino a consumare tutto il suo sonno.
Quando la Luce brilla di cuore
con un bel canto e un tenue calore
ogni diamante si può ottenere
oro rubini e forte potere.
Se ci si affida ai propri sogni
s’appagheranno tutti i bisogni
come quell’Olmo unico e solo
che nell’amico trovò il suo oro.