Nella casa accanto al Nuraghe era cresciuto da tempi antichissimi un enorme Noce Bianco che sovrastava ricoprendolo con la sua chioma il mastodontico Nuraghe. Nonostante il grande Nuraghe a pianta quadrilobata fosse formato da quattro torri angolari unite da bastioni rettilinei e da una torre centrale che conservava ancora un'altezza di 15 metri, il Noce secolare si alzava superbo sopra di esso e lo ombreggiava quasi interamente.
D’inverno i suoi rami contorti mostravano un’ossatura robusta e vigorosa e le sue braccia forzute e possenti si protendevano verso il vuoto come volessero raggiungere un’estensione infinita. Il tronco alto, diritto e di una solidità aggrappata a immense radici aveva un portamento maestoso e fiero. Sembrava un guerriero centenario, un saggio combattente della vita che ha affrontato migliaia di traversie, milioni di tempeste, infinite difficoltà. Il suo vigore maschio aveva vinto ogni lotta, era sopravvissuto a ogni tentativo di sradicamento e nessuno era riuscito a raderlo al suolo.
Quando il rigore dell’inverno lo ricopriva di candide nevi, la pianta si trasformava in un possente fantasma, una forza del passato incatenata a infinite esistenze e forse sopravviveva nell’inconscio collettivo di generazioni e generazioni di genti. Il suo sviluppo orizzontale e verticale lo rendeva immortale, stampato nella mente degli uomini come il simbolo di un dio. Dal suo legno pregiato erano state forgiate innumerevoli forme. Il suo colore bruno aveva plasmato la mobilia delle case, le venature scure, qualche volta nere, erano state utilizzate nelle cantorie delle chiese o nelle sculture figurative rappresentanti immagini di santi e di madonne. È sempre stato un legno pregiato, sia a livello estetico sia per la sua duttilità.
Quando a primavera la sua testa estesa si rivestiva di una folta chioma di foglie pennate e opposte, da tutte quelle foglioline appuntite all'estremità, l’ampio spazio sottostante si trasformava in una casa accogliente, in un tetto per rifrangere i raggi solari e rendere sopportabile il calore. Allora era piacevole intrattenersi là sotto godendo della frescura di quell’immenso pennacchio da re. Capitava spesso che le Gemelle della casetta bianca accanto al Noce, s’intrattenessero a chiacchierare sotto quel morbido fogliame, a sorseggiare acqua fresca e a refrigerarsi col venticello traspirante tra le foglie. Lucia e Lidia, in un tempo remoto, dovevano essere state sacerdotesse del pozzo sacro, forse avevano predetto destini, oppure erano state tessitrici di nascite e di rinascite miracolose. Erano a loro agio quando camminavano silenziose verso la fonte all’alba. O quando gironzolavano per il paese sfidando la calura pomeridiana, eleganti e compite nei loro abiti candidi, regali nei copricapo dalle ampie tese indossati per proteggersi dal sole cocente. Spesso si fermavano ad accarezzare le pietre del Nuraghe, a cercare tra le rovine segni della sorte o immagini sbiadite di antichi guerrieri. Lo spirito degli antenati comunicava con le loro anime regalando storie da raccontare agli abitanti del paese. Conoscevano eventi del passato, sapevano come muoversi nel presente ed erano in grado di prevedere il futuro. Tutti stavano attenti ai loro ammonimenti, ascoltavano i loro suggerimenti, chiedevano i loro consigli.
Quando i medici non riuscivano a curare i malanni della gente, venivano consultate le Gemelle, le Guaritrici del Nuraghe. Sotto l’albero magico del Noce facevano i loro riti, mescolavano le loro erbe, applicavano i loro unguenti. Molti non sapevano se credere ai loro poteri occulti, altri si affidavano loro con totale fiducia. Erano troppo belle per essere streghe, ma troppo solitarie per essere donne normali. Nessuno le volle sposare, la maggior parte degli uomini ne aveva timore, o forse nutriva nei loro confronti un complesso d’inferiorità. Eppure molti le corteggiarono, alcuni le illusero, altri le considerarono donne facili. Nessuno riuscì a renderle felici, perciò cercarono affetto tra animali e piante piuttosto che tra gli esseri umani. Vissero tra gatti e conigli coltivando le verdure nell’orto. Le erbe magiche le presero, invece, nei luoghi carichi di energia: tra i Nuraghi, accanto alle Tombe dei Giganti, sulle Domus de Janas e in prossimità delle fonti perlustrando tra le pietre quando il sole non era ancora sorto e sul far del tramonto. Qualcuno sostiene di averle vedute al chiaro di luna, nelle notti magiche d’agosto, altri nelle notti di pioggia e di tempesta a sfidare gli spiriti avversi, eppure il loro aspetto regale e dignitoso ha spesso fatto scomparire i fantasmi della notte e le ha elette Regine del giorno.
Le loro chiome fluenti sotto l’abbraccio del Noce, sul far della sera, riflettevano i raggi violetti del tramonto sorridendo al crepuscolo incuranti dell’avanzare del buio. I loro occhi verdi di gatte si accendevano nella notte come fari puntati nella direzione dell’ignoto e i loro abiti risplendevano argentei alla luce delle stelle. Si diceva fossero figlie di una straniera giunta in paese per studiare i resti del passato. Qualcuno credeva, invece, che fossero state trovate proprio sotto il Noce forse nate da una stella. Allevate da una vecchia, si pensava le avesse rese così belle la magia di una Jana.
I bambini le adoravano, ascoltavano spesso le loro storie accoccolati sotto il Noce. Lucia narrava sempre le storie più luminose, descriveva gli animali più soffici e dolci che si fossero mai visti e le piacevano i fiumi, i laghi, i mari e il potere delle acque. Lidia era la principessa delle piante e delle erbe, faceva vivere ogni albero del bosco, ogni fiore del prato, ogni filo d’erba. Amava il sole e la luna e trasportava gli ascoltatori nel mondo incantato degli elfi e delle fate. I piccoli, seduti ai piedi del grande albero, quando i colori dell’autunno dipingevano le foglie di rosso e di bruno, aiutavano le Gemelle a raccogliere ceste di freschissime noci, poi si faceva una grande festa che terminava la sera con un rogo di foglie secche.
Il prete del paese ne ebbe sempre riguardo e si fece regalare regolarmente quel nocino delizioso che sorseggiava poi di nascosto dai suoi parrocchiani. Nessuno le ha mai vedute morire, si dice che siano volate su una stella in una magica notte di plenilunio, ma se guardate attentamente sotto il Noce vedrete nettamente il loro spirito delicato e leggero.
Se le Gemelle sopra la Luna
ad ogni bimbo portan fortuna
in un paese pieno di stelle
diventeranno molto più belle.
Sotto quel Noce grande e cortese
le abbiamo viste di mese in mese
a regalar favolette e magie
noci, nocini e grandi follie.