Messina fu la città che mi schiuse la mente al sapere, prima con le scuole medie (al tempo rappresentate dalle prime tre classi del ginnasio) e poi con il corso universitario. Oggi però, raggiunta l’età del pensionamento, per Messina mi si ripresenta l’antica passione saggistica, poiché fra le tante mie carte ho ritrovato un documento, probabilmente unico, del quale avevo fatto cenno in un articolo pubblicato molti anni addietro sulla «paginatré» della Gazzetta del Sud1 .

L’opuscolo è costituito, subito dopo il cartoncino della copertina, da una miniatura, riproduzione che Adolfo Cinquini riferisce provenire dal codice ritrovato presso la Biblioteca Nazionale di Roma, codice fondo Vittorio Emanuele, n. 55 (foto n. 5); segue la copertina interna: Per la storia di Messina nel Quattrocento, NOZZE PICARDI-DURANTE, ROMA XXX GENNAIO MCMX, Per cura di Adolfo Cinquini, libero docente della R. Università di Roma; la pagina successiva riporta la dedica agli sposi, seguita da una pagina con i versi IN LODE DI MESSANA, nel codice originale ai fogli 15 – 18; conclude il lavoro una lunga NOTA su tre facciate nella quale fa una disamina sul possibile autore che nel codice si firma Callimachus Siculus.

Questo interessante documento mi ha testimoniato un modo colto di «eternare» un avvenimento importante della vita di ciascuno, quale un matrimonio, un compleanno o una nascita, proprio perché ciò può costituire, oggi come allora, «il riconoscimento di un ambiente intellettuale che faceva parte di una società che apprezzava la cultura e soprattutto la poesia...»2 . Se ne deduce che all'inizio del secolo rappresentasse usanza raffinata far dono di un lavoro letterario dedicato agli sposi che si volessero gratificare; ricordo non a caso Adolfo Cinquini3 , libero docente all'Università di Roma, del quale posso citare ben due esempi:
- uno per le nozze del fratello Enea con la signorina Linda Miotti, del 12 dicembre 1904, ove studiò, tradusse e commentò la Canzone de Ser Gaugello de la Pergola4 ;
- un altro ci interessa più da vicino perché riporta nel frontespizio la dichiarazione dell'autore circa l'utilità del saggio «per la storia letteraria di Messina del Quattrocento»; è offerto agli sposi Picardi-Durante per le loro nozze celebrate in Roma il 30 gennaio 19105 .

Credo sia questo il modo più duraturo e degno di ricordare un avvenimento: a quegli sposi, per il loro più importante rito di passaggio, gli amici avranno donato tanti oggetti utili o anche preziosi; e tuttavia solo per questo particolare «dono» la fortunata coppia viene ancora oggi ricordata a distanza di oltre un secolo e lo sarà ancora nel tempo, ogni volta che tornerà d’attualità l'argomento. La dedica recita: Gentili Sposi, svolgendo un codice di antiche memorie messinesi, parvemi che la vostra Messana, riavutasi per poco dal profondo dolore in cui giace, mi chiamasse e, mestamente sorridendo, mi dicesse: “Giungemi da Roma lieto tripudio per le nozze di due de’ miei prediletti figli, Vincenzo Picardi e Livia Durante: non manchi il dono e l'augurio di me, prima madre! Ma poiché mal converrebbero ora le mie gramaglie6 , reca Loro la mia immagine, nitida e armoniosa, del Quattrocento, quando ero splendida gemma di quella corona di città che allietavano l'Italia umanistica. Contro la perfida lotta degli elementi naturali, più volte vinsi e trionfai per virtù de' figli miei, pei quali, ancora, il domani sarà per me alba di novella rinascita: ora di questa auspicati duci gli sposi d'oggi”. O Vincenzo o Livia, che dalla sicula terra aveste Intelletto e Bellezza, giurate oggi fedeltà d'amore per Voi e per la rinascente Messana: Vostro Adolfo Cinquini.

Il lavoro, come anticipato, è corredato dalla miniatura della città come si presentava al navigante del secolo XV che vi giungeva dal mare e da una «lode» in lingua latina che l'Autore aveva ritrovato in un codice manoscritto7 . Il ritrovamento del manoscritto del “fondo Vittorio Emanuele n. 55”, presso la biblioteca nazionale di Roma, gli consentì di leggere la lode a Messana scritta da un poeta siciliano nel secolo XV; viene cantata la città dello Stretto con la stessa intensa passione che dimostrarono e dimostrano gli scrittori di ogni tempo, sempre affascinati dallo spettacolo irripetibile che la prodiga natura qui seppe realizzare. Quelle lodi con qualche variante mitologica potrebbero essere state scritte pure oggi:

«Ma con quali auspici e con quale carme io canterò ora te, o Messana? Che sei cara al sommo Tonante, l'onore del quale con un tempio, che si conserva, è sostenuto da un amore ardente, così tutti possiedi pii doni degli dei e tutte le virtù, le quali le altre città godono solo in minima parte, in te le vediamo tutte insieme: quale riferirò per prima? Un'antichità degna di venerazione ti rende celebre: (...) Come è grande e ampio il porto di cui tu godi, o città famosa, che accoglie mille navi in qualunque condizione di tempo, e di qualsiasi grandezza fissano le chiglie nella terra, e possono essere trattenute in sicurezza da una tremula fune, affinché (il porto) superi con il canto di un poeta quello famoso di Brindisi (...). Come sei splendida, protetta dalle tue mura e con gli alti tetti e allo stesso tempo con le strade pavimentate che risplendono esattamente dritte e spaziose! Ivi è permesso che abitino i potenti, i cavalieri, i magnati. Infatti tu separi il volgo e la stessa plebe dall'alto ceto: ricompensi l'onore a tutti i nati liberi con straordinaria autorità. Infatti chiunque sia nato nella gloriosa città è nobile e si ritiene che tu non nutra alcunché di turpe, di vile e di ripugnante: sono luminose tutte quelle cose che brillano per i meriti che sono doni ricambiati. Certamente perché tu prestasti ardentemente soccorso ad un potere, ad un eroe sfortunato della regione, quando il pio Arcadio deteneva solidi domini: e tu, corona potente, ottenesti poi un grande splendore e un nome glorioso. Come sei dotta tu stessa che mantieni poeti egregi e retori, e che raccogli coloro che devono essere educati a un impegno appassionato e coloro che sono competenti della Grecia e della Romanità a una grande ricompensa, e i dotti della lingua che diffondi in tutte le terre! Come sei ricca tu che spargi ricchezze con risplendente metallo coniato, e la celebre maestà regale vive presso di te, sebbene chi tiene gli alti domini, di colui che importa, è altrove, sono tutti doni spartiti secondo il suo favore: così piacque a colui che presiede il mondo. Infine come sei di animo grande! Che ti opponi spesso a tiranni come scudo di Marte e tieni lontani i danni, e attacchi il nemico con la spada tratta! (...) Come è felice di nuovo Messina con tanti favori degli dei e piena di uomini potenti, tu che sei il capo del regno delle ricchezze del genio siciliano! (...)8 ».

Il manoscritto appartiene alla biblioteca romana dal 1881, anno nel quale fu acquistato da tal Pio Amori per la somma di ottanta lire; è acefalo, forse perché furono asportati i primi fogli contenenti qualche buona miniatura; è membranaceo, accuratamente redatto con calli¬grafia del secolo XVI e adorno di piccole iniziali in oro su fondo a colori: la miniatura, al foglio 18, raffigura la quattrocentesca città di Messina vista dal mare. Il ritrovamento del manoscritto ad opera del Cinquini fu un momento importante per la messa a punto di alcuni temi che languivano nelle secche dell'indefinito.

Il poema è di un Callimachus Siculus, poeta che, secondo il vezzo del tempo, aveva assunto un nome latino. Giuseppe Huszti lo disse amico del filosofo platonico Marsilio Ficino; tramandò pure che il palermitano Pietro Ransano nei suoi Annali aveva trascritta una poesia panegirica in onore di Miklòs Bathory9 redatta dal nostro Callimachus Siculus. La confusione regnò per un certo tempo anche sulla possibilità che fosse stato più d'un umanista, in Sicilia, ad avere assunto detto nome latino; il veneziano Apostolo Zeno ritenne infatti che fosse esistito un Callimaco di Messina, identificato con Angelo Barboglitta e un Callimaco di Monte Verde di Mazzara, amico del veronese Domizio Calderini. Quanti ammettevano due poeti siculi con lo pseudonimo di Callimaco, attribuivano a quello di Messina il poema della vita del cardinale Pietro Isualles, vescovo di Reggio Calabria e a quello di Mazzara le lodi della Sicilia.

Il codice del “fondo Vittorio Emanuele n. 55” riuscì a dirimere tutte queste precedenti controversie: composto di due libri, nella didascalia del secondo si poteva leggere infatti Angeli Callimachi Siculi et Mazariensis Regine liber secundus. Il fortunato ritrovamento del manoscritto completo consentì al Cinquini pertanto di riportare ad un solo Callimachus Siculus l'intero corpus laudativo. Ma cancellò pure l'unico nome che fosse stato avanzato, senza poter peraltro fornire il dato anagrafico del Callimachus Mazariensis. Il manoscritto, come anticipato, si compone di due libri; nel primo il poeta, dopo avere narrato una succinta storia della Sicilia, da Enea a re Ferdinando, celebra le principali città dell'isola: Siracusa, Palermo, Catania, Agrigento, Selinunte, Mazzara (della quale scrive: patriae sunt iura colenda - Sancta quidem), Trapani e Messina; il secondo è dedicato al citato Cardinale reggino, suo mecenate. Le lodi di quest'ultimo vengono tessute pure in una ecloga latina dello stesso Callimaco, inserita nello stesso manoscritto e che precede i due anzidetti libri, “colla quale, come già Virgilio nella I delle *Bucoliche, fa celebrare dai pastori il suo protettore e mecenate*”.

Accanto alle opere già note e a queste altre reperite nel manoscritto, al Callimaco Siculo, secondo il Cinquini, vanno attribuite ancora: una silloge di distici latini ritrovata nel codice Urbinate-Vaticano 1193; una saffica latina in lode di S. Tommaso d'Aquino riscontrata in un codice della biblioteca trivulziana di Milano; nella citata opera di «omaggio agli sposi», infine, il Cinquini non tralasciò di ricordare come il nostro umanista possa essere stato pure l'autore di un poema intorno a Giangiacomo Trivulzio e di alcuni esametri latini dedicati al poeta Lazzarelli.

La “nota” di Adolfo Cinquini

All'autore di questi versi rivolsi l'attenzione fin dal 1905 nella MISCELLANEA DI STORIA E CULTURA ECCL. che si pubblicava in Roma; egli è un umanista, il cui nome e le cui opere non erano ricordate nelle storie letterarie se non fugacemente e in modo inesatto10 , né erano state esaminate ancora da alcun dotto antico o moderno: voglio dire di un poeta siculo, che, secondo il vezzo umanistico, aveva assunto un nome latino, quello di CALLIMACHUS SICULUS.

Di lui io aveva raccolto e pubblicato una silloge di distici latini, che ritrovai nel cod. Urbinate-Vaticano 1193 (ff, 199-203), e una saffica latina in lode di S. Tommaso d'Aquino che mi occorse in un codice della biblioteca trivulziana di Milano: ricordavo inoltre, colla scorta del Rosmini (Dell'istoria intorno alle imprese e alla vita di Gian Jacopo Trivulzio) e del Porro (Catalogo dei codici mss. della Trivulziana) che egli era pure l'autore di un poema intorno al Trivulzio, e rimandavo al Lancillotto11 per alcuni esametri latini dedicati al poeta Lazzarelli. Finalmente, cercavo di rintracciare, ma inutilmente, un poema in lode di Pietro Isualles, arcivescovo di Reggio calabra, che il Narbone12 affermava, coll'autorità del Mazzucchelli13 serbarsi ms. nel monastero cassinese di Messina.

Rispetto alla persona del poeta, accadeva quello che ancor oggi accade per quasi tutti gli umanisti che assunsero il nome di Callimaco, che, essendo in parecchi, a mala pena possiamo distinguere l'uno dall'altro14 ; così anche gli eruditi di letteratura sicula erano incerti sull'esistenza di un sol Callimaco siculo, e più d'uno d'essi, come lo Zeno, ritenevano essere vissuto un Callimaco di Messina, che identificavano col rimatore volgare Angelo Barboglitta, e un'altro Callimaco di Monte Verde de Mazzara, amico del veronese Domizio Calderini15 .

Se non che, scoprendo più tardi, nella biblioteca nazionale di Roma16 , sotto il nome di Angelo Barboglitta, un poema latino in due libri, leggevo nella didascalia del secondo libro Angeli Callimachi Siculi et Mazariensis Regine liber secundus; dalle quali parole io deduco che l'Angelo Callimaco siculo non è di Messina, bensì di Mazzara del Vallo. Inoltre, nella lettura dei due libri del poema, mi avvenne di determinare che il primo (per altro acefalo nel cod.) svolge esclusivamente le lodi della Sicilia, e che il secondo, a cui appartiene la didascalia sopra riferita e la denominazione di Regina, è dedicato ad una parte della vita del cardinale Pietro Isualles, vescovo di Reggio, chiamato anche il cardinale Regino. Ora, coloro che, come lo Zeno17 , ammettevano due poeti siculi col (sic) pseudonimo di Callimaco, attribuivano a quello di Messina il poema in onore del cardinale Isualles, e a quello di Monte-Verde il poema de laudibus Sìciliae: ma ognun vede, che secondo il codice della Vitt. Em. di Roma, uno solo è il poeta siculo Callimaco e che uno solo è il poema che la tradizione letteraria aveva arbitrariamente diviso in due distinti poemi.

Che poi il Callimaco siculo, di cui ora si tratta, sia il medesimo autore del poema in lode del Trivulzio e dei distici pel duca Federico di Urbino, non credo dia luogo a dubbio; forse fu autore anche di versi latini, nei quali lamentava la cacciata del duca Guidobaldo d'Urbino (1502) per opera del duca Valentino, come fanno supporre certi versi del Panegirico trivulziano, che cita il Porro18 , e, secondo l'ab. Pirro19 , scrisse anche epistolas familiares e condusse vitam philosophicam et coronam lauream sprevit. Dubito per altro che il nostro Callimaco possa essere quell'Angelo Barboglitta, del quale abbiamo a stampa pochi versi volgari nelle Collettanee: per la morte di Serafino Aquilano (Bologna, 1504), né so vedere chi pel primo e con quali prove abbia tentato tale identificazione, ad escluder la quale basterebbe notare che il Barboglitta era di Messina; vero è che lo Zeno, riportando una lettera latina del nostro Callimaco al Cardinale Regino, al quale presentava la Defensio Astronomiae di Gabriello Pirovano20 , deduce che il poeta stesso si dichiara messinese, perché deplorat infelicitatem patriae nostrae (e Messina era infatti la patria del Cardinale); ma io non vedo perché con le parole PATRIAE NOSTRAE il poeta non potesse piuttosto alludere alle tristi condizioni dell'Italia intiera, quando pensiamo che la lettera fu scritta dopo il 1506, durante il pontificato di Giulio II. Non ho altre notizie che riguardino la persona del poeta, se si eccettui il lamento solito negli umanisti, ch'egli era povero: Sic ego cum censum fortuna adversa negavit — Et quìbus obstrìngor nequeat par grafia reddi21 ... e la dichiarazione che Semper ero illorum quos tollit ad aethera virtus — Inclyta quae fertur saevo vel in hoste iuvare ; — Namque boni officium vatis detrudere ad undas — Laetheas vitium et probitate tollere caelo22 .

Ed ora vediamo brevemente il poema che ms. si conserva nella Vitt. Em. di Roma (n. 55), soltanto dal 1881, nel qual anno fu comperato per L. 80 da un tal Amori Pio. Sarà la medesima copia che nel 1700 si possedeva dal convento cassinese (evidentemente benedettino) di Messina, come riferisce lo Zeno? e il codice l'essere miniato, ci autorizza a credere che sia la copia stessa presentata al Cardinale?

Il ms. è acefalo; forse i primi fogli furono strappati perché dovevano contenere qualche buona miniatura, come si ammira nel Panegirico della biblioteca Trivulziana e riprodotta dal Porro23 : è membranaceo e misura 250 x 160, di ff. 45, ciascuno dei quali ha 20 linee per facciata; scritto accuratamente con calligrafia del sec. XVI, è adorno di piccole iniziali in oro su fondo a colori, e di due miniature; una al f. 18. che qui riportiamo per mezzo della fotografia, l'altra al f. 40, alquanto guasta in parte e di lavoro in parte assai fino, rappresenta Dameta che dorme sotto un albero, da cui pende la zampogna e Damone lo sveglia: tale miniatura precede un'ecloga latina (ff. 41-45) dello stesso Callimaco, colla quale, come già Virgilio nella Ia delle Bucoliche, fa celebrare dai pastori il suo protettore, il suo mecenate, il Cardinale Regino. Altrove riprodurrò questa seconda miniatura, che, a prima vista, sembra opera della fine del 500; giacché se l'albero è di forme arcaiche, quali appaiono, p. e., negli alberi delle tavolette trecentistiche di Siena, di Pisa, ecc., è la figura del pastore eretto di lavoro assai delicato, ricco di sentimento e che fa quasi pensare alla scuola toscana, specialmente a quella di Antonio e Piero del Pollaiolo (1433-98): veggansi sopratutto le mani e il disegno della testa; in modo più sommario e meno elegante par trattato il vecchio Dameta, nella cui figura, per così dire, si sente il sonno.

Il restante del ms. è occupato da due libri del poema, il primo dei quali, dopo aver narrato succintamente la storia della Sicilia, da Enea fino al re Ferdinando, (del quale ricorda la lotta coi Francesi pel reame napolitano) celebra ad una ad una le principali città dell'isola: vorrebbe incominciare da Messina, ma poi decide di cantarla per ultima, e in primo luogo ricorda Siracusa, quindi Palermo, Catania, Agrigento, Selinunte, finché giunto a Mazzara dice: patriae sunt / iura colenda - Sancta quidem (f. 15) ; procede a Trapani, poi ad altre minori località per poi consacrare un numero maggiore di versi a Messana, il cui nome è trascritto in margine del foglio in un rettangolo miniato, sormontato da una corona baronale.

Il secondo libro che corre dal f. 19 al f. 39, è dedicato per intiero al Cardinale Regino, del quale da prima canta la bona educatio et istitutio, poi lo studium in lingua latina et eruditio, poi al f. 21 il Petri in praesulatu Rhegino tertius honor, finalmente la legazione che il Cardinale sotto Alessandro VI tenne nella Boemia ed Ungheria, per indurre il re Vladislao II a conchiudere una lega contro il Turco: in questa occasione il poeta introduce la città di Venezia, che appare in visione al pontefice a sollecitarlo per la lotta contro l'infedele e per la scelta di Pietro Isualles a legato. Siccome il poema ha fine col ritorno del Cardinale dalla legazione, né accenna all'incarico guerresco che il Cardinale ebbe da Giulio II, quando questi volendo ricuperare la città di Bologna, di cui si eran resi padroni i Bentivogli, gli aveva ordinato di avvicinarsi con un accampamento volante a provare se i Bolognesi non lo volessero ricevere come legato della Santa Sede, così fu senza dubbio condotto a fine prima del 1510.

I due libri epici del nostro Callimaco Siculo non hanno speciali bellezze poetiche, ma neppure sono inferiori ad altri poemi della medesima età composti da umanisti di maggior grido: il primo dei due libri testimonia il sincero amore e l'ammirazione che il poeta sente per la sua bella isola; il secondo ci può servire di contributo storico per la vita di un personaggio, di cui meritatamente si gloria Messina e del quale, per altro, non abbiamo ancora a stampa molte notizie biografiche: Pietro Isualles, messinese, di modeste condizioni sociali, seppe raggiungere le più alte vette della carriera ecclesiastica, facendosi amare per l'onestà della vita e stimare per la dottrina, sopratutto nelle scienze e nelle arti meccaniche: fu per molti anni arcivescovo di Reggio e nel 1500 nominato cardinale; sostenne parecchi incarichi d'indole guerresca, finché nel 1511, durante la lotta contro Bologna, cadde gravemente ammalato a Cesena, dove morì e donde la sua salma venne trasportata a Roma in S. Maria Maggiore.

Pertanto il poema di Callimaco siculo è buon contributo alla storia del cardinalato di Pietro Isualles, per la quale finora ricorrevamo al Ciaconius24 (t. III, p. 197), all'Aubery (III, 37), al Cardella (IIII, 283), al Pastor (3. e 4. ed. ted., 1899, p. 662-665), al Diario di Paride Grassi (edito da Luigi Frati), e, per la legazione nella Pannonia, alle lettere pontificie pubblicate dal Theiner nei Vetera Monumenta ecc. (1860, II, pp. 560-578). Altrove daremo larghi estratti del poema: qui basti che colla nostra nota consacriamo ancora una volta il nome di Messana.

Note:
1 Sul momento culturale attraversato da Messina, posteriore al devastante terremoto del 1908 nel quale maturarono tanti scrittori del tempo – e fra questi il Cinquini e il Quasimodo - cfr. pure G. Corsi, Messina nella poetica di Quasimodo, 5 maggio 1997, p. 3. In quest’articolo il Corsi ha voluto mettere in luce le radici culturali di Quasimodo sulle quali fino ad allora i critici pare avessero sorvolato. Quasimodo nacque anagraficamente a Modica, bella e importante città della Sicilia «interna» che però viveva un particolare momento di stasi della cultura, anche per le sue ridotte dimensioni didattiche che non le consentivano istituzioni universitarie, né aperture e contatti con una visione cosmopolitica della realtà. Possibilità che invece Messina si poteva consentire perché, dopo il terremoto del 1908, era diventata una città dalla vita particolarmente dinamica in cui operavano personalità di primo piano, fra cui Salvatore Pugliatti che seppe imprimere il suo fervore e i suoi slanci a tutta la città che fu contagiata dal suo genio vitale.
2 Salvatore G. Vicario, Poemetto per lodare Messina, “Gazzetta del Sud”, 23 agosto 1997, p. 3.
3 Adolfo Cinquini (Milano, 25 maggio 1863 - Roma 15 novembre 1949) laureato in Lettere e Filosofia a Milano il 20 dicembre 1886, conseguì la libera docenza in Grammatica greca e latina presso la R. Università di Roma nel 1901; ebbe l’incarico ufficiale dell’insegnamento in Grammatica greca e latina presso la R. Università di Roma (1902-1903): presso questa Università insegnò nella Facoltà di Lettere sino all’Anno accademico 1948-49. Iniziò la sua vita di docente, per concorso, nel 1887 come professore di Lingua latina nel Collegio Militare (San Luca) di Milano. Insegnò ancora per concorso come professore di latino e greco nel R. Liceo di Ascoli Piceno per decreto reale nel 1890; sempre per concorso nel 1893 professore di latino e greco presso il R. Liceo Dante di Firenze, nel 1900 presso il R. Liceo E. Q. Visconti di Roma e nel 1903, per trasferimento, presso il R. Liceo Terenzio Mamiani di Roma. Dal 26 febbraio 1907 fu Capo Servizio nel Ministero per la Pubblica Istruzione e trasferito subito (12 marzo) nel ruolo di R. Provveditore di 4° classe a Girgenti, oggi Agrigento. Restituito nel 1910 al ruolo di insegnate di Lettere latine e greche nei R. Licei e assegnato alla 1° classe dei titolari per l’art. 210 della legge 13 novembre 1859, n. 3725 e assegnato al R. Liceo T. Mamiani. Nel 1919 fu incaricato dell’insegnamento di Lingua latina nel R. Istituto Superiore Femminile di Roma. Con motu proprio fu nominato Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia il 2 aprile 1900. Come curiosità storica ricordo che i documenti ufficiali degli anni 1900 e 1901 furono listati a lutto per l’uccisione del re Umberto I. Il 25 maggio 1933-XI, S. Ecc. il prof. Alfredo Rocco, rettore magnifico della R. Università di Roma, nell’Aula magna del R. Liceo-Ginnasio E. Q. Visconti consegnò al Cinquini la medaglia d’oro per il 70° compleanno. Morì a Roma in via Stoppani, 1.
4 La canzone in terza rima fu scritta in occasione della morte di Battista Sforza, figlia di Alessandro signore di Pesaro e seconda moglie di Federico da Montefeltro, avvenuta nel 1472: De vita et morte illustriss. d. Baptistae Sfortiae comitissae Urbini. La canzone è stata edita da A. Cinquini (in Nozze E. Cinquini - L. Miotti, Roma 1905, pp.13-37).
5 Non so se fosse usanza donare ai destinatari un unicum: per logica, così dovrebbe essere stato. Reputo quindi utile riportare in questo saggio pure la “nota” che il Cinquini inserì nell’opuscolo donato agli sposi (cm 23 x 31 ½, 6 pag. legate in cordoncino, più copertina; fra pag. 1 e 2 è inserita la miniatura di Messina nel Quattrocento protetta da una velina).
6 Qui il Cinquini vuole ricordare che le nozze venivano celebrate solo due anni dopo il nefasto terremoto del 1908.
7 Già nel 1905 aveva dato notizia del ritrovamento del ms. in un articolo intitolato Spigolature fra gli umanisti del secolo XV: Callimaco Siculo, “Miscellanea di storia e cultura ecclesiastica”, Roma 1905. Il Cinquini, che aveva avuto modo di apprezzare le doti culturali dei docenti siciliani in occasione del suo trasferimento nel ruolo dei Provveditori agli Studi ad Agrigento, nel 1907, svolgerà successivamente tutto il suo curriculum accademico a Roma dove insegnerà Grammatica greca e latina sino al 1949, ma conserverà il ricordo intenso di quella esperienza siciliana.
8 Per la traduzione sono grato al dott. Alessandro La Porta.
9 Bathory fu un umanista ungherese († 1506); studiò in Italia, fu vescovo di Szerém (1469), poi di Vác (1475); chiamò in Ungheria F. Bandini, poi S. Salvini, introducendo la filosofia platonica del Ficino, che gli dedicò una lettera filosofica.
10 Renda-Ragusa, Mongitore, Narbone, Mira.
11 Ludovici Lazzaretti Bombyx... Iesi 1765.
12 Bib. Sic. hist. IV, 65, Palermo 1855.
13 Scrit. It. 1758, 11, 1.324.
14 cfr. Zeno, Diss. Voss. 1753, II. 317-320; Zippel nell'ed. muratoriana di Michele Canensi De vita et pontificatu Pauli secundi, p. 155, n. 3.
15 Domizio Calderini compì i suoi primi studi a Verona, dove incontrò l'insigne maestro Antonio Broianica e si dedicò alle lettere greche e latine. Nel 1465 si recò a Venezia alla scuola di Benedetto Brugnoli, dopodiché si trasferì a Roma dove ebbe come suo estimatore e protettore il papa Paolo II; qui divenne un dotto studioso da tutti riconosciuto e apprezzato. Pubblicò le sue prime opere letterarie durante il suo insegnamento all'Università di Roma, a partire dal 1470. La sua opera è stata essenzialmente il commento di autori quali Marziale, Stazio, Giovenale ed Ovidio. Vittima della peste micidiale, la morte lo colse all'età di 34 anni. Il padre Antonio volle onorarlo con una lapide. Nell'iscrizione sul retro, dettata dal Poliziano, si legge: Fermati, o viandante, e rendi onore con i tuoi occhi alla sacra polvere che l'onda del tumultuoso Benaco molesta. Qui la musa Libetra trasforma sovente il medesimo alla stessa guisa della fonte di Sisifo e dei verdi boschetti del fiume Permesso: in questa terra Domizio emise sicuramente il primo vagito. E' proprio lui quel dotto, proprio quello, si sa, che brillantemente commentò alla gioventù di Roma i suoi saggi, che svelò le meraviglie tratte dall'ispirazione dei poeti. Va, o viandante, devi ora abbastanza ai tuoi occhi.
16 Fondo Vittorio Emanuele, n. 55.
17 Zeno, op. cit.
18 Porro, op. cit.
19 Pirro, Notitia Eccles. Mazar. p. 543
20 Astrologo personale di Gian Giacomo Trivulzio nonché estensore probabile del programma astrologico degli Arazzi dei Mesi che come premio ottenne il feudo di Bovisio Masciago, già appartenuto a Lucia Visconti Marliani.
21 Così io, anche se la sorte avversa mi negò la ricchezza /e non v’è scritto atto a rendere i debiti che mi soffocano/ … Cod. Vitt. Em., n. 55, f. 39.
22 Sempre sarò tra quelli che sarà sollevato nei cieli dalla virtù / Illustre, che si dice giovi anche in un nemico feroce; / infatti è compito di un buon vate gettare nelle onde /dell’Oblio il vizio, e di innalzare al cielo l’onestà. (per la trad. delle note 21 e 22 sono grato all’amico prof. Alessandro De Luigi).
23 Porro, op. cit.
24 Alfonso Chacón (Circa 1540 – 1599), noto anche come Alphonsus Ciacconius, storico, filologo, religioso domenicano ed erudito spagnolo.