A Bronte i pistacchieti compaiono all’improvviso, se si viene dal versante nord dell’Etna. Finché non si arriva proprio nei pressi del paese, nessuna traccia.
Sono solo le 10 del mattino e a Bronte la potenza del sole è già stravolgente e fa rabbrividire chi con la tintarella ha un po’ esagerato. Dalla stazione della Ferrovia Circumetnea, che collega i diversi centri pedemontani etnei, percorriamo qualche chilometro in direzione di Adrano lasciandoci il paese alle spalle. Ecco che si apre la vallata mantata di un verde omogeneo, brillante: pistacchieti a perdita d’occhio.
Siamo con Nicola Maio, giovanissimo produttore che ha dato inizio alla sua attività quando era poco più che ventenne. “Quali sono le tue piante?” gli chiediamo. “Quelle che i vostri occhi riescono a vedere. “Sono infatti tante, si estendono per diciotto ettari. In quel terreno vulcanico così particolare cresce naturalmente il terebinto, specie arborea che non soffre affatto la siccità e viene utilizzata da secoli come portainnesto della pianta del pistacchio. E Nicola, l’innesto lo fa lui, in campo.
“Siete venuti nell’anno sbagliato. Il pistacchio generalmente si raccoglie ad anni alterni e questo è l’anno di riposo, quindi di scarica, come diciamo noi qui: si tratta di una pratica secolare.” Infatti, negli anni pari, quindi di non raccolta, si fa la potatura verde: in fase di crescita verso fine maggio le gemme vengono tolte manualmente cosicché la pianta si rafforzi per essere più produttiva e vigorosa l’anno successivo. Nicola, realista e propositivo, a cui piace sperimentare, ci rivela che lui quest’anno è uno dei pochi produttori che raccoglie il pistacchio. “Ho provato a potare alcune piante in modo che producessero anche quest’anno, ma non conviene. Né a me da un punto di vista economico, né alle piante, che soffrono uno stress troppo elevato.” E oltretutto, essendo uno dei pochi produttori a far fruttificare le piante, il rischio che esse possano essere attaccate da fitofagi è molto più alto.
Facciamo una passeggiata tra le piante, che crescono in mezzo alle rocce laviche, si ramificano selvaticamente. Il terreno non è piano, difficilmente coltivabile, sabbioso e sciaroso. La raccolta non è quindi affatto facile, avviene tutta manualmente e consiste nel penetrare tra la vegetazione delle piante. Il pistacchio, appena raccolto, viene privato del mallo e poi messo a essiccare al sole per 3 giorni, per ottenere il pistacchio che generalmente si conosce, ancora con il guscio. “Qui non piove dal 2 giugno: non tanto positivo per la maturazione del frutto. Speriamo, però, che nei giorni dell’essicazione la pioggia ci grazi.” Ci rivela Nicola.
Poi assaggiamo i pistacchi che ha prodotto l’anno scorso, di un verde luminosissimo. Sono saporiti, ricordano quella terra figlia della montagna di fuoco. E sono anche un po’ dolciastri. Al primo che metto in bocca cerco istintivamente di riconoscere il gusto del pistacchio che la mia memoria conosce da sempre, o quasi; ma poi al secondo ci rinuncio. È qualcos’altro, unico.