Ecco una saga straordinaria, come del resto è la musica a cui si appoggia. La Verve insieme a Impulse! e Blue Note ha sempre rappresentato un felice approdo per ogni appassionato di jazz che rispetti. A metà degli anni ’40 il genere visse un’autentica rivoluzione, per l’apparizione di due personaggi diversi per quanto complementari: se Charlie Parker (di cui è ben nota la breve per quanto folgorante parabola), stravolse tutte le consuetudini musicali fino a quel momento in voga, l’impresario Norman Granz, cambiò il modo in cui il jazz veniva fruito togliendolo fuori dai fumosi locali delle metropoli, per donargli un tipo di esposizione maggiore, essenzialmente sui palchi dei teatri fino a quel momento appannaggio della musica più colta.
Ardente fan di Coleman Hawkins, Granz era figlio di una modesta famiglia di origini ucraine che aveva tentato la fortuna in California. Nell’America ancora oscurantista dell’epoca, per un uomo dal cervello fino come lui, il jazz rappresentò un veicolo da cavalcare per superare le disgregazioni, conferire una dignità sociale ed economica per sé e i musicisti coinvolti ai quali veniva persino negato l’accesso agli hotel di categoria superiore, offrendo dei buoni concerti dal vivo per un'audience sempre più vasta e appassionata. Cominciò a organizzare dei piccoli eventi, ma quando gli si schiuse la chance di organizzare un evento presso la prestigiosa Los Angeles Philarmonic Hall, non se lo fece ripetere due volte. Abbinando il concetto di una all-stars jam che per la prima volta poteva indirizzarsi verso un pubblico di massa, cominciò a rastrellare fondi perché questo suo sogno si potesse realizzare.
Fu così che nacque la sigla Jazz at the Philarmonic, con un successo tale che gli appuntamenti diventarono prima a base mensile e poi addirittura uno show da portare in tournée su e giù per gli Stati Uniti (e successivamente anche nella più ricca Europa), con musicisti del calibro di Oscar Peterson, Ella Fitzgerald, Lester Young, Billie Holiday, lo stesso Hawkins, Dizzy Gillespie, Count Basie, Ben Webster e tanti altri. Abile e scaltro come pochi, Granz decise di fondare delle proprie etichette per gestire al meglio il patrimonio registrato da quelle straordinarie session. Clef e Norgran assolsero meglio al loro compito fino a quando il nostro uomo decise di prendere un rischio maggiore anche se ben calcolato, concentrandosi essenzialmente su Ella Fitzgerald, che si era appena svincolata dalla Decca, per arrivare alla sua definitiva consacrazione, poggiando essenzialmente la promozione di tutto il progetto su di lei.
Nel 1955 nacque così la Verve Records, e il primo disco licenziato dalla label fu così dedicato al dorato canzoniere di Cole Porter che nelle magistrali interpretazioni della più grande cantante di tutti i tempi portò il jazz financo nei posti alti delle classifiche di vendita, aprendo la serie per una raccolta praticamente esaustiva del fantastico repertorio che dai palchi di Broadway si trasmise rapidamente al jazz. In questo voluminoso tomo, prossimo alla traduzione anche in italiano, quella fantastica epopea rivive attraverso un caleidoscopio di immagini, foto d’archivio, locandine e aneddoti di un jazz che oggi praticamente non esiste più. Per cinque anni Granz fu in sala di regia di molte delle più straordinarie sedute che la storia del genere possa annoverare, cedendo poi alle lusinghe della Metro Goldwin Mayer che acquistò la Verve per la cifra astronomica di 2 milioni e mezzo di dollari. Ricco abbastanza da permettersi persino dei quadri di Picasso, Granz si ritirò stabilmente in Svizzera per promuovere ancora di più la sigla JATP.
Cosa successe invece alla prediletta Verve? Dopo un periodo di relativo appannamento, alla metà degli anni’60 fu soggetta a un nuovo rilancio grazie alla direzione oculata del produttore Creed Taylor, che mise sotto contratto artisti di culto come Wes Montgomery, Bill Evans e un giovane George Benson, registrando anche la sconfinata passione di Stan Getz per la bossa nova di Antonio Carlos Jobim e Joao Gilberto, mettendo in fila una serie di album che conobbero un successo che ancora oggi rimane tracimante e planetario. Nell’ultimo decennio, oltre alla quasi integrale ristampa del suo pregiato catalogo, sono stati pubblicati alcuni album di notevole livello grazie al talento sconfinato di Pat Metheny, Charlie Haden, Wayne Shorter, Michael Brecker, Kenny Barron, Dee Dee Bridgewater e molti altri, inframezzati ad abili mosse commerciali che hanno nell’algida Diana Krall, la sua massima esplicazione. Un tassello fondamentale per (ri) scoprire la golden age del jazz più elegante e rispettoso della tradizione mai suonato. Quello capace di conquistare anche lo scetticismo più estremo e che invece non ha ragione di esistere.
Per maggiori informazioni: Richard Havers, Verve: the Sound of America, Thames and Hudson