India, Narendra Modi, il nuovo primo ministro ha riportato il BJP, il partito del popolo indiano, ovvero il partito nazionalista hindu, agli splendori di un tempo, spodestando la decennale dinastia Gandhi che aveva visto sulla poltrona di Modi, grazie ad un’abile mossa politica di Sonia Gandhi, il sikh Manmohan Sing.
“L’italiana” così la chiamano nel subcontinente, aveva avuto la scaltrezza di ricucire i rapporti tra il partito del Congresso e l’antica casta guerriera sulle cui spalle poggia ancora tutta la forza armata indiana, con una buona strategia politica aveva messo proprio un sikh al governo del subcontinente, ma gli ultimi anni hanno portato l’India ad un fenomeno di decrescita inaccettabile per un paese con un tasso demografico continuamente in crescita e con un immenso potenziale di forza lavoro. Un PIL irrisorio, contrasti interni mai appianati, una politica sociale che fa acqua, un tasso di scolarizzazione ancora inesorabilmente troppo basso.
L’India dei Gandhi, dei Gandhi degli ultimi 10 anni, che hanno dimenticato il vento innovativo e produttivo del governo Nehru, ha lasciato il paese in mano alle multinazionali, non ha fermato la guerra dei semi, ha permesso che i due colossi Monsanto e Cargill facessero delle verdi e incredibilmente belle terre himalayane, il loro parco giochi. Le terre più fertili del subcontinente sono diventate a partire dalla Green Revolution in poi, un’ area di sperimentazione continua per le colture OGM, sementi vendute a caro prezzo a chi non aveva idea neanche di cosa volesse dire “geneticamente modificato”.
In questo quadro, in quest’India in corsa verso un’occidentalizzazione che non le appartiene, perché il progresso, per essere equo ed efficace a lungo termine, non può e non deve avere un solo colore, ma deve modularsi e calibrarsi in base alle esigenze specifiche dei popoli e dei paesi che gli appartengono, la discriminazione di genere ha trovato terreno fertile, ha stretto una “mala alleanza” con la tradizione, che in realtà non è questo che vuole o prevede e basterebbe leggere il Ramayana per rendersene conto, fino ad arrivare agli agghiaccianti fatti di cronaca che vedono l’India protagonista di un’ondata irrefrenabile di discriminazione che vede la violenza come uno dei crimini sociali maggiormente perpetrati ai danni delle donne.
Grande dunque la responsabilità che si ritrova l’attuale primo ministro sulle spalle, il partito nazionalista, che appoggia chiaramente e senza veli la religione di stato, dovrebbe ritrovare proprio in quei principi hindu la forza per ricostruire una democrazia che possa definirsi tale, mettendo al centro una nuova politica di genere che veda la scolarizzazione delle donne come obiettivo fondamentale da raggiungere, perché non può esserci autonomia senza consapevolezza, non è possibile che si lotti per una possibilità di vita diversa se non se ne è coscienti, se non si è consapevoli che un altro modo possibile esiste.
Il modello Gujarat ha portato ricchezza, ma non ridistribuzione equa della medesima; d’altra parte è vero che è proprio l’India degli hindu di Modi ad essere stata penalizzata dalla cattiva politica eco-agro-economica dei Gandhi, la spinta nazionalista del BJP potrebbe rivelare inaspettati aspetti positivi, potrebbe voler mettere un freno all’occidentalizzazione a tutti i costi e favorire un progresso in linea con la storia e la cultura del subcontinente. La politica interna ed estera indiana rappresenta un fattore dirimente all’interno del quadro socio-politico mondiale e potrebbe insegnarci che non esiste un solo modello possibile, ma che è proprio la diversità a rappresentare la ricchezza, a patto, però, che l’attuale primo ministro si assuma il compito di dare alle donne indiane lo spazio che gli spetta di diritto e di garantire educazione, libertà, indipendenza dal ruolo sociale di “moglie”. L’augurio è che la nuova India sia un India al femminile.