C'è un luogo di una magia possente, talmente radicato nella mia persona che in quel luogo spesso ritorno. È a Cesena in via Montalti. Sono qui anche ora come turista curiosa (qui vicino c'è la meravigliosa Biblioteca Malatestiana). Sono nella casa del dottor Biagini dove ho vissuto i primi quindici anni della mia vita. Sto ferma immobile come a un crocevia, guardo a destra, a sinistra, di fronte. In questa casa c'è tutta la forza della nostalgia.
All'interno, ora lo so, alcune di quelle innumerevoli bambine che condividevano un corpo solo, il mio, stanno fissando nella mia memoria quello che mi ha preceduto e ciò che mi sta accadendo ora. Una sorta di imprinting, un regalo dell'infanzia. Quella più vicina a me è impegnata a domare un cartone. Lo piega cercando di creare una cosa simile alle cartelle delle sorelle maggiori. Ha cinque anni, non va ancora a scuola ma deve assolutamente costruire una cartella. Da sola non ci riesce e così cerca aiuto. Sale nell'appartamento della signora Amelia che insieme al marito fabbrica borse e rilega libri. La loro è un'abitazione carica di antiche alchimie e come per incanto le mani sapienti della signora incollano tagliano aggiungono tolgono pezzi e alla fine ecco una cartella.
"A cosa ti serve la cartella Mariella?" e lei "Per giocare!" E via di volata giù per le scale con il cuore in tumulto. È sconvolta da una insana passione. Più semplicemente; è innamorata. Deve fare presto perché tra poco le lezioni finiranno e Lui passerà con amiche e amici in via Montalti. Lui è il figlio di quella che sarà poi la sua maestra e frequenta il Liceo Classico. Tutte le mattine la mia bambina sale su un piccolo sgabello e attende il suo passaggio più che appoggiata, aggrappata alla finestra. Regolarmente la mamma le dice: "Che cosa fai alla finestra? Stai attenta, non ti affacciare troppo perché la testa pesa..." E lei, "sto aspettando Viri e Antonietta."
Chissà cosa può fare una bambina di cinque anni alla finestra se non aspettare le sorelle che rientrano da scuola? Ma lei ha un segreto che le toglie il respiro ed è disposta a mentire senza nessun pentimento. Oggi con la cartella in mano è grande. Scende nella strada e si sente ed è coetanea di quegli studenti che rientrano dalle lezioni. Lui finalmente arriva e pone lo sguardo su quella strana cartella di cartone, fatta però a regola d 'arte. Pensa a quanta miseria c'è in giro e dona un sorriso a quella povera bambina. E lei pensa: "Mi ha sorriso; è fatta." Corre veloce a casa, sale nella stanza da letto dei genitori e siede sul grande letto di fronte allo specchio e gli dice: "Fammi diventare grande, subito, perché domani mi sposo."
Ora sono nel cortile, alzo lo sguardo e vedo un'altra bambina della mia infanzia. Sta seduta nel piccolo terrazzo ed è intenta ad allargare un buco nel muro. Attorno ce ne sono altri - di buchi. Lei costruisce e organizza spazi. Non lo può fare dentro casa, allora si mette all'opera all'esterno approfittando di un vecchio muro pieno di segni del tempo. "Questo è l'ingresso, salgo; a destra la cucina e per andarci faccio altri tre gradini, a sinistra la stanza da pranzo e qui scendo sempre di tre gradini. Di fronte le stanze da letto, di qua la soffitta, di là lontane, le cantine. E il bagno? Il bagno a metà scala tanto mi faccio sempre accompagnare perché ho paura." Col cucchiaio continua a scavare e tenta di tracciare spazi che conosce bene. La sua casa, il suo rifugio. Quotidianamente scopre nuovi nascondigli, luoghi protetti dove si allontana dalla realtà e in stato di completa libertà percorre i sentieri dell'immaginazione. Ora principessa, poi attrice ma anche madre e cuoca ma soprattutto scatenata disegnatrice. E ancora, il gioco. La passione del gioco creativo nei ciottoli del cortile, nelle crepe del muro, nella soffitta, nel buio del voltone e delle cantine. Nelle voragini delle scale. C'è poi il babbo che con la neve del balcone compie miracoli e alla sera dopo cena ci incanta con i racconti della sua giovinezza.
La mia infanzia è stata il tempo della verità cieca: prima le radici, poi il tronco, poi i rami. Guardo queste facciate e vedo i luoghi che racchiudono. Ci sono case che vivono. Da sole. Case che hanno vissuto così intensamente, che semplicemente continuano a vivere. Al di fuori delle persone. Non mi importa chi ci abita ora. Riconosco le pareti, i gradini, le logge, le buie cantine, i corridoi ciechi, i passi, le ombre, perché mi hanno accompagnata sino qui.