Anche in Italia si diffonde la tendenza dello spazio di lavoro condiviso. Ce ne parla Mattia Sullini, proprietario del coworking Combo a Firenze.
Come e dove nasce l’idea del coworking?
Il coworking nasce in modo molto semplice intorno al 2005 dal bisogno concreto di un certo Brad Neuberg, un programmatore di San Francisco che aveva necessità di un luogo dove riunirsi con il suo gruppo di lavoro, spesso variabile, in un posto diverso da un bar. Poco dopo questo primo tentativo informale ne avvenne un secondo più articolato e consapevole, nel contesto del quale la stessa disponibilità fu data anche a “estranei”. Lo spazio si saturò molto rapidamente e altrettanto rapidamente ne sorsero altri. Intorno al 2007 il fenomeno era già globale.
Cos'è esattamente un coworking?
Cercando di scrostare tutta la retorica e le interpretazioni erronee che se ne fanno, un coworking è uno spazio fisico che mette a disposizione di una community dinamica e mutevole spazi e strumenti per l’esecuzione del proprio lavoro autonomo.
Da quanto tempo si è diffusa questa tendenza in Italia?
La rete italiana Cowo, che peraltro è tuttora quella numericamente più ampia, nasce nel 2008. Prima ci sono stati alcuni progetti riconducibili nella sostanza a un coworking, come La Pillola a Bologna. Ad oggi quella rete conta quasi 100 spazi, ma il numero di coworking italiani è abbondantemente superiore. Difficile quantificare esattamente, perché le forme possibili sono estremamente eterogenee, comunque una stima di 300 spazi mi sembra plausibile.
In quali città italiane esistono coworking e quanto sono frequentati?
Di coworking ce ne sono un po’ in tutte le città, con una prevalenza al centronord. La ragione risiede non solo nell’economia delle regioni centrosettentrionali, ma anche dalla demografia e sociologia dei lavoratori. Il coworking si accompagna facilmente a contesti urbani, molto dinamici, con lavoratori freelance e autonomi spesso impiantati nelle città in cui lavorano e non autoctoni. In questi contesti i coworking sono molto frequentati, e sia la domanda che l’offerta sono in forte crescita.
Chi si rivolge a un coworking necessariamente fa un lavoro creativo?
Assolutamente no. Nei coworking ci possono essere impiegati di aziende, ma anche multinazionali. Ci sono consulenti, startupper, giovani professionisti quali avvocati e architetti. Certamente i creativi e i lavoratori della conoscenza, sia per attitudine, che per modalità di esecuzione del proprio lavoro che per dotazione strumentale (un computer e una connessione internet spesso bastano), sono la categoria che più prontamente e favorevolmente ha reagito all’innovazione degli spazi di coworking.
Oltre a condividere uno spazio, il coworking può rappresentare un momento di collaborazione professionale, un luogo per sviluppare contatti, per incontrare clienti?
Assolutamente sì, il valore aggiunto è esattamente quello. In un coworking spesso si entra per risparmiare, e ci si rimane invece perché ci si rende conto dell’enorme vantaggio che uno spazio aperto, dinamico e collaborativo può garantire.
Da quanto tempo hai iniziato il tuo percorso coworking?
Ho fondato il mio primo progetto, il 22A|22, nel 2009.
Parlaci di Combo.
Combo più che un progetto per un coworking, è un progetto che usa il coworking come strumento. Lo scopo finale è quello di creare una rete di piccoli spazi collaborativi specializzati, accessibili a una community tramite un sistema unificato di crediti. Non prevediamo quindi postazioni fisse, ma crediti che possono essere spesi usando i servizi messi a disposizione dai diversi spazi. Possiamo immaginarcelo come un coworking diffuso, formato da nodi vicini tra loro, direi a portata di bicicletta. Il senso del progetto è molteplice: innanzitutto è rivolto a lavoratori nomadi, di passaggio e con esigenze molto discontinue che non hanno interesse a ottenere una postazione privata. In secondo luogo cerchiamo con questo progetto di attivare team che vogliano impegnarsi per avviare e gestire spazi collaborativi, fornendo supporto sia a livello di progettazione che di avvio. In terzo luogo cerchiamo di ripopolare luoghi della città, botteghe, piccoli uffici, trasformandoli da luoghi privati a luoghi semipubblici. Attualmente abbiamo avviato Lofoio, il nodo dedicato all’artigianato e al fai-da-te e stiamo progettando p2p learn, uno spazio costruito con i docenti che già hanno svolto corsi da noi e dedicato specificamente alla formazione. Il prossimo passo sarà un piccolo coworking rurale. Piano piano, uno all’anno.
Alcuni coworking sembrano negozi, oltre a una zona postazioni e un’area riunioni, ci sono show-room. Come funzionano?
A dire il vero non ce ne sono moltissimi strutturati in questa maniera. 22A|22 lo era, e lo spazio di showroom serviva per organizzare esposizioni ed eventi socializzanti, a beneficio dei membri della community e costruiti in modo tale da portare le persone dentro i luoghi di lavoro attraverso occasioni di diversa natura.
I coworking delle varie città italiane e straniere sono in contatto tra loro e si supportano a vicenda?
Sì, c’è sicuramente un contatto costante, specialmente tra alcuni. Sono questi stessi che organizzano attività e progetti comuni, particolarmente quelli indirizzati alla divulgazione dei temi toccati dai coworking. Molto frequente è anche che i gestori si mettano in contatto per replicare nelle diverse città uno stesso format di evento. Certamente, trovandoci ancora in fase di piena sperimentazione, l’attitudine di quasi tutti i gestori è quella di condividere soluzioni e buone pratiche, secondo un approccio collaborativo e di esercizio di forme di intelligenza collettiva che per noi è assolutamente spontaneo.
I coworking possono essere anche affittati per eventi particolari, feste, presentazioni di prodotti, conferenze?
Sì, non è solo una possibilità, è un elemento distintivo e fondamentale. La commistione tra spazi e tempi del lavoro con quelli della formazione, della relazione o anche semplicemente del divertimento è un elemento imprescindibile. Ed è peraltro il più efficace veicolo di marketing dello spazio.
Chi ha bisogno di concentrazione preferisce lavorare da casa o riesce a trovare anche nel coworking un suo spazio di riflessione e silenzio?
Spesso chi ha bisogno di concentrazione pensa che lavorare a casa sia una scelta obbligata. Anche qualora conosca i coworking ritiene che siano luoghi dispersivi e dove non ci si possa concentrare. In realtà una ricerca a cura di Deskmag, ha dimostrato che una percentuale di circa il 75% di chi frequenta un coworking sostiene di aver incrementato la propria produttività. Per il rimanente 25% comunque i vantaggi compensano abbondantemente i disagi oppure semplicemente il disagio non è poi così tanto. Anche senza ricorrere alle ricerche, basta entrare in uno spazio di coworking per rendersi conto che sono luoghi di lavoro. Sono sistemi autoregolati, dove difficilmente ci si disturba a vicenda. Peraltro, a tutela di privacy e concentrazione, spesso dispongono di salette conversazione separate o di cabine per teefonare o comunque di sale riunioni.
Firenze è in una posizione strategica, al centro d’Italia, equidistante da tutte le città, in questa ottica i coworking fiorentini dovrebbero avere maggiore popolarità e utenza, è così?
In realtà non è esattamente vero. La grandissima parte della popolazione degli spazi di coworking fiorentini è costituita da persone che vivono a breve distanza dagli spazi di coworking. Benché sia ragionevolissimo attendersi che con il diffondersi di forme di lavoro autonomo gli spazi di coworking diventino sempre più luoghi di passaggio più che di residenza, questo sviluppo è ancora abbastanza remoto.
Il coworking è uno strumento che rende l’Italia più internazionale e aperta? Quali sono le prospettive a breve e lungo termine che può offrire?
I coworking sono porte aperte sul mondo. Torna utile il concetto di glocalità, perché accolgono comunità spesso fortemente radicate sui territori eppure allo stesso tempo sono in contatto quasi in tempo reale sulle innovazioni a livello globale. Anche questa dimensione è un’utilità capitale. Non a caso, tutti i format più aggiornati ed efficaci, particolarmente da due anni a questa parte, transitano inevitabilmente nei maggiori spazi di coworking italiani. Il potenziale dirompente degli spazi di coworking è che fornisce gambe e sostegno a forme di lavoro moderne e in fortissima ascesa come il lavoro indipendente, che per quanto praticamente misconosciuto rappresenta già circa il 25% della forza lavoro in Europa. In paesi come l’Italia, fortissimamente in crisi per l’incapacità di trovare un modello economico che soppianti quello evidentemente bloccato nel quale abbiamo vissuto finora, questo dato assume valenza strategica, oltre che oggettiva. Nei coworking confluiscono proprio quei segmenti di professionisti con competenze tecniche evolute, spesso con istruzione superiore e che esercitano professioni con altissimo valore aggiunto. Tutte le nuove professioni che abbiano attinenza con il web. La programmazione e le startup trovano nei coworking il loro brodo di coltura ideale. Quindi, invece di disgregare ulteriormente le forme di lavoro dipendente introducendo ulteriore flessibilità, perché non cominciare a ragionare sul riconoscimento delle forme di vera autonomia dei professionisti? È necessario un forte investimento culturale per cercare di introdurre il concetto di autoimpiego, autonomia, professionalità, collaborazione, e i coworking sono i luoghi ideali per sperimentarli.
Coworking e media. Come si fanno conoscere, utilizzando carta stampata, web, radio, tv, social network?
I coworking spesso racchiudono competenze professionali nei campi del marketing e della comunicazione, quindi riescono frequentemente a utilizzare efficacemente tutti i canali. Certamente la comunicazione online agita attraverso i canali sociali è quella più efficace ed economica. La seconda forma di marketing, forse ancora più efficace, è quella delle attività corollarie che gli spazi organizzano. Se la chiave del successo del messaggio pubblicitario è quella di attirare l’attenzione di chi ancora non ti conosce, organizzare eventi multiformi ed eterogenei è il modo migliore per raggiungere reti sociali molto diverse, peraltro con un messaggio fortemente incisivo perché i coworking fanno vivere di fatto l’esperienza dell’atmosfera che vi si respira.
Se ogni coworking avesse oltre al nome, uno slogan/pay-off, quello di Combo quale sarebbe?
No non sarebbe, è: “Reti di persone, di luoghi e di idee”.