Un attore, un regista, un cantante: Luca Martella, che da anni solca le scene di cinema e teatro, e la sua ultima riuscita prova teatrale, Storie del Signor G… 10 anni dopo. E pensare che c’era il pensiero, in cui ripropone il Teatro-Canzone reso famoso dal duo Giorgio Gaber-Sandro Luporini.
Forte della sua grande somiglianza con l’artista scomparso prematuramente 10 anni fa, ha voluto ripresentare al pubblico alcune delle canzoni e degli sketch con cui Gaber e Luporini rappresentarono l’Italia dagli anni '70 e oltre, due personaggi diversi tra loro ma che riuscirono a parlare al pubblico che li ascoltava, Gaber dal palco e Luporini dalle quinte, sollecitando quell’interesse nascosto che solo i grandi intellettuali sanno fare. Dopo l’anteprima dello spettacolo avvenuta lo scorso aprile all’Auditorium di Ciampino, abbiamo voluto scambiare due chiacchiere con Luca Martella, anche per farci raccontare di lui e del “suo” Teatro-Canzone.
L’Auditorium di Ciampino, da cui è partita questa tua nuova tournée sul Teatro-Canzone di Gaber-Luporini, negli anni passati ha ospitato un importante Festival del Jazz: che significato ha avuto esibirti su questo palco?
Come Giorgio Gaber, io ho sempre amato il jazz, tanto che ho costruito questo spettacolo con il preciso obiettivo di legare gli intensi monologhi scritti da Sandro Luporini e Gaber attraverso la musica. Non essendo possibile tenere impegnati gli spettatori con tre ore di soli monologhi, ho pensato di intervallare i brani recitati con le canzoni – come faceva Gaber del resto – e di usare il filo conduttore della musica per sottolineare anche i passaggi recitati, i cambi di tono, di ritmo, di argomento. Mi sono divertito a fare questa ricerca musicale e mi sono fatto aiutare per gli arrangiamenti dal Maestro Fabio Di Cocco. Del resto, il jazz è il mio vecchio amore e, addirittura, a mio figlio ho fatto sentire tanta di quella musica che quando a otto anni mi ha chiesto di imparare a suonare il sax sono corso a comprarglielo e ho facilitato in tutti i modi questa sua volontà… e ora anche lui fa parte della Band! L’Auditorium di Ciampino per me è il Paradiso Terrestre, senza contare che ho studiato per cinque anni in questa scuola e non puoi immaginare quanta emozione ho provato a tornarci dopo tanti anni e in questa nuova veste…
Come hai selezionato i brani di questo spettacolo, quale filo conduttore ti ha sostenuto?
Il Teatro-Canzone è talmente ricco che per me ogni volta è un vero problema scegliere quali pezzi inserire nello spettacolo e rientrare nei tempi previsti: ogni volta metto e tolgo dei pezzi, cucio e ricucio cercando di cogliere l’essenziale di quello che hanno creato il genio musicale di Gaber e il genio intellettuale di Luporini. Cerco di concentrarmi sui pezzi politici che hanno fatto epoca e inserisco qua e là qualche brano sull’amore, sulla relazione, sull’uomo e la donna... le canzoni tendono a spezzare il ritmo dei monologhi, e spazio da quelle più orecchiabili e quelle più divertenti e intense. Quando alla fine dello spettacolo vedo la gente che esce dal teatro contenta e divertita mi sento abbastanza soddisfatto: io non sono un cantante, ma un attore professionista, e mi calzo addosso tutto ciò che è più interessante da recitare o interpretare… del resto anche Gaber a un certo punto ha messo in secondo piano la canzone per immergersi nel Teatro.
Nell’interpretazione dei tuoi brani, quando ti coinvolge la personalità di Gaber?
Quasi ininterrottamente, nel senso che ho sempre presente la sua mimica facciale, l’entusiasmo e il coinvolgimento che lo caratterizzavano, quella sottile ironia e la capacità di rappresentarla con le pieghe della fronte, con lo sguardo, con le smorfie della bocca… Poi la dolcezza della sua voce e l’emozione di cui era sempre carica sono il mio timone…
Durante lo spettacolo ci sono dei momenti in cui ti influenza la figura di Luporini?
Certamente, molte volte: quando parlo del gabbiano in Qualcuno era comunista, perché il gabbiano è una fissazione che lui ha spesso nei suoi dipinti. Per lo spettacolo che farò il prossimo 29 maggio al Teatro Italia ho pensato a una semplice scenografia che proietta l’immagine dei suoi quadri (su gentile concessione dell’Associazione ADAC di Modena-n.d.a.): il gabbiano, l’uomo di spalle, la nave, il mare, sono temi che aveva già affrontato nella sua Metafisica del quotidiano e che poi ha portato dentro al Teatro-Canzone. Poi ho presente Luporini quando canto Lo Shampoo, da quando ho letto nel suo libro come è nata la canzone, ma soprattutto da quando Adriano Primo Baldi, suo gallerista e storico amico, mi ha raccontato che quella canzone ne rappresenta in pieno la sua indolenza…
Come mai un uomo così indolente come Luporini ha avuto tanta parte nel Teatro-Canzone?
Gli indolenti sono quelli che danno spazio al loro ozio creativo e finiscono con l’avere delle trovate geniali... Gaber non era certo indolente anzi, era sempre impegnato a creare – insieme a Luporini – o a portare in scena lo spettacolo, curando scrupolosamente e quasi in maniera maniacale ogni dettaglio… E Luporini è stato geniale nello scrivere i testi proprio in quel modo… naturalmente poi Gaber ci ha fatto i ricamini calzandoli a pennello a se stesso…
Il naso è un aspetto della tua sembianza che ti accomuna a Gaber: come influenza la tua performance?
Il naso è sempre stato il particolare che ha caratterizzato il mio viso da attore, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, in maniera positiva… e anche che ha reso interessante e divertente la faccia di Gaber… ma è anche la caratteristica su cui fissa l’attenzione Collodi in Pinocchio. A Pinocchio cresce il naso quando si allontana dalla strada maestra per andare all’avventura seguendo il suo istinto. Se ci pensate bene, il naso e l’orecchio rappresentano i sensi che seguono maggiormente l’istinto, quindi la parte più animale e selvaggia di noi. E la maschera di Pulcinella ha anch’essa un bel nasone…
In questo spettacolo hai introdotto il brano: La Razza in estinzione, tratto dall’album La mia generazione ha perso: cosa ha rappresentato questo album per il Signor G?
Fu certo l’album più amaro del Signor G che aprì un dibattito nella sinistra post sessantottina, forse esagerato nel suo generalizzare e dunque distorcere il vero messaggio. «Giorgio e io volevamo dire che quel grande cambiamento che tutti noi avevamo sperato con il Sessantotto non si era verificato completamente – spiega Luporini – e le nostre battaglie non erano state accolte dalle nuove generazioni come speravamo»: l’intenzione di Gaber e Luporini non era di criticare una generazione perdente, voleva essere solo l'amara constatazione di un cammino ancora lungo da percorrere. Del resto, anche io, seppure nato nel Sessantotto, non mi voglio considerare un perdente…
Ho visto che in queste Storie del Signor G c’è anche Il Suicidio: come pensi si suiciderebbe Luporini?
Non credo che potrebbe mai avere intenzione di farlo, ma, se proprio fosse costretto, prima si riposerebbe un po’…
E Giorgio Gaber, se fosse ancora vivo, come si suiciderebbe?
Prima farebbe lo spettacolo, poi se avesse ancora tempo, potrebbe suicidarsi sul palcoscenico a furia di bis…
Oltre ai temi politici, il Teatro-Canzone esplora temi di cui la gente non parla volentieri, come la masturbazione e l’impotenza: come reagisce la gente quando porti in scena questi temi?
Forse sono i momenti in cui si diverte di più, perché spesso non si parla di masturbazione e impotenza per paura o per vergogna… Ma quando qualcuno ha il coraggio di farlo, in modo così delicato, come hanno saputo fare Gaber e Luporini, sul palcoscenico, mettendo a nudo la debolezza umana, il pubblico se ne sente coinvolto e si può concedere di abbandonarsi al riso, sdrammatizzando la realtà… L’ironia è un’ottima cura per affrontare le paure e sciogliere i nodi irrisolti: altrimenti perché mi ci immergo così intensamente? C’è chi si cura dallo psicanalista e chi si mette a nudo a teatro…
Allora ad esempio ti metti a nudo quando reciti Il falso contatto? Lì si parla di relazione: poni l’accento sul disincanto o lasci uno spiraglio alla speranza nell’amore?
Io credo che il Teatro-Canzone sia una riflessione sul tema dell’uomo e della donna che tiene conto della realtà quotidiana che spesso conduce la coppia alla noia, all’abitudine e alla mancanza di desiderio. Eppure c’è sempre un’apertura alla speranza, al sogno, all’appagamento… Infatti io recito: «E vedremo come va a finire, c’è una fine per tutto e non è detto che sia sempre la morte…». C’è di continuo lo spazio per dubitare, Gaber è rimasto sempre con la stessa donna, Luporini si è sposato tante volte, costantemente convinto che fosse la volta buona, io forse sono più come Luporini e, nonostante la storia passata mi suggerisca di stare in guardia, finisco per crederci ancora… «E non so se mi conviene…».
Come nell’Illogica Allegria… a chi dedicheresti questa splendida canzone?
A tutti coloro che non hanno paura di vivere sebbene la vita sia un duro banco di prova per tutti, a quelli che sono rimasti delusi, ma vogliono comunque continuare a sognare, a quelli che hanno fallito ma da questo fallimento hanno imparato qualcosa, a quelli che non si stupiscono quando sono colti da Illogica Allegria…
… in sostanza a quelli che non hanno paura di sbagliare o se hanno paura comunque corrono il rischio di sbagliare?
Certo! La Paura è spesso una condizione mentale che non ci consente di crescere e di affrontare la vita. Quel monologo mi piace molto, amo l’ironia ma anche il pathos che Gaber pone in questa interpretazione… mi fa pensare poi a tutti quei telegiornali o notizie della stampa dove il diverso, l’extracomunitario, il ladro, l’assassino, sono utilizzati come spauracchio per le folle. Un tempo, ai tempi di Gaber, c’era la strategia della tensione, la paura della strage, ora c’è la strategia della paura, dell’instabilità dell’uomo di fronte a un’altra persona…
Di chi o di cosa dobbiamo avere paura secondo te?
Te lo dico con le parole di Gaber e Luporini: ho paura del «… grande e libero mercato delle facce… facce, facce, facce che lasciano intendere di sapere tutto e non dicono niente. Facce che non sanno niente e dicono… di tutto! Facce suadenti e cordiali, col sorriso di plastica...», insomma, per dirla tutta: “Mi fa male il mondo”…
Ti ho sentito recitare questo monologo e sembrano parole scritte da te: è perché ti rappresenta magari più di tanti altri brani?
Non solo questo brano, ma anche altri, seppur in modo differente, mi appartengono. Quando interpreto Mi fa male il mondo ho la facoltà di dire, attraverso le parole del testo scritto da Gaber e Luporini, tutto quello che vorrei dire ai politici italiani, ci metto tutta la mia passione e anche la rabbia, e so che così esprimo lo stato d’animo di molta gente… Ci sono dei monologhi che reputo siano i miei cavalli di battaglia. Quando interpreto per esempio L’equazione, vado a scavare in una parte più profonda di me sia riguardo alle relazioni sia a tanti altri aspetti della mia vita: questo mi consente di mettere in discussione il passato per reinterpretare il presente… E credo che faccia lo stesso effetto alla gente che ascolta…
Ne L’equazione entrano in gioco i sentimenti e “la vernice indelebile con cui li abbiamo dipinti”: secondo te, perché si fallisce sempre?
Forse noi abbiamo bisogno dei fallimenti per capire i nostri errori e operare trasformazioni che ci consentano di crescere. Se ci pensi non esistono ricette: e questo è il primo messaggio del Teatro-Canzone. In realtà Gaber e Luporini si sono posti un sacco di domande, hanno fatto delle critiche: il loro obiettivo non era quello di chiarire gli irrisolvibili problemi politici e sociali del nostro Paese o dell’uomo e della donna, ma semplicemente prenderne atto…
Norberto Bobbio ha scritto un interessante libretto intitolato Destra e Sinistra, simile alla canzone di Gaber-Luporini: cosa si muove dentro di te quando canti questa canzone?
Io sono molto arrabbiato con la sinistra che in questo alternarsi di governi si comporta in modo molto simile alla destra. Lo stesso Renzi è diventato Presidente del Consiglio con il beneplacito del Presidente della Repubblica con un’operazione non proprio ortodossa… Possiamo ancora parlare di alternanza democratica?
Il Teatro-Canzone oggi è legato all’autore vivente Sandro Luporini: ho saputo che sei coinvolto in un interessante progetto, ci anticipi qualcosa?
Si tratta di un evento sulla figura di Sandro Luporini per il 2015, ci sta lavorando il mio ufficio stampa con l’ADAC-Associazione Diffusione Arte e Cultura di Modena che gestisce in esclusiva l’attività di Luporini, ma per i dettagli – e anche per scaramanzia! – è meglio aspettare gli sviluppi del progetto…
Ultimamente è nata anche una collaborazione con il Centro Sportivo Italiano; come è legato lo sport con il teatro?
Il teatro è una specie di palestra di vita: mio padre, mio figlio e io siamo degli sportivi, abbiamo fatto sport a livello agonistico. Io ho fatto sia nuoto, sia tennis, sia sci. Luporini, poi, ha giocato a pallacanestro in serie A. Il teatro è movimento sia fisico sia mentale, la prima cosa che faccio quando si avvicina una data è di intensificare la corsa, il nuoto e stavolta anche lo sci, mi serve per fare il fiato che mi possa sostenere sul palcoscenico per più di due ore…
Qual è l’opera del teatro di Gaber-Luporini che desideri rappresentare in un prossimo futuro?
Io amo molto il Teatro-Canzone e, vista la quantità di brani che lo caratterizzano, vorrei fare ancora molti pezzi e molti spettacoli differenti, ma il mio sogno nel cassetto è un giorno di poter rappresentare Il grigio. Credo che il pubblico di oggi non sia ancora pronto per quest’opera, ma forse anche io ancora non sono convinto… Prima o poi, però, sono certo che lo sarò…
È vero, due grandi artisti come Giorgio Gaber e Sandro Luporini hanno lasciato in eredità brani magari ancora poco conosciuti ma sicuramente talmente coinvolgenti da stimolare la vena artistica di ogni grande attore o cantante che abbia voglia di mettersi in discussione… e Luca Martella è certamente uno di questi, avendo le capacità e le possibilità di poter oggi far rivivere quei momenti di intensa carica emotiva che erano tipici degli spettacoli del Teatro-Canzone.