Alcune delle credenze che avevamo -e ritenevamo certe ed immutabili- sono state scosse dagli avvenimenti, letteralmente in tutti i campi, tanto che nessuno può ritenersi esentato.

L’affermazione è forte e forse andrebbe argomentata, questo però ci porterebbe lontano dal tema scelto. Non resta che limitarsi a degli esempi, che di certo non mancano, qui, infatti, non è possibile né elencarne molti né ragionare sulle cause scatenanti e sugli effetti conseguiti, ci facciamo perciò bastare la pandemia, magari aggiungendo quanto sia cambiato il mondo del lavoro, noi con esso.

La cosa più importante non è però il cambiamento continuo, che anzi forse potremmo pure considerare più o meno interessante ma soprattutto un vero e proprio deterrente contro la noia. Quello che ci mette davvero in difficoltà è la scomparsa -e quindi la pressoché assoluta mancanza- di punti di riferimento degni di tale definizione. Se ci pensiamo, anche solo distrattamente, ogni nostra azione -ma pure tutti i discorsi e anche l’immateriale pensiero- non possono che basarsi su ciò che ci circonda, fisico o meno che sia. Questo “non avere” (più?) ha minato le fondamenta di molti, soprattutto in ambito lavorativo ma non solo, aprendo una serie di baratri in sequenza, separati da strettissimi percorsi impervi e ventosi, nei quali è facilissimo scivolare.

Il quadro emerso decisamente non è proprio confortante, soprattutto per chi deve sbarcare il lunario ma lo è ancor di più per chi abbia anche qualche velleità di tipo culturale. Attenzione: non si afferma che la cultura sia più importante dello sfamarsi ma che la difficoltà di orientamento è maggiore nel primo caso!

Il termine utilizzato non è, infatti, casuale, semmai causale, dato che la cultura non è un bisogno primario ma, secondo un numero crescente di individui, un optional, quasi come stessimo parlando dei cerchi in lega o della vernice metallizzata per le automobili. Non è (o era?) necessaria ma costituisce un di più da sfoggiare, come si fa con il lusso. Certo, considerare e paragonare termini che sembrano antitetici, appare quanto meno particolare.

Lo hanno capito molto bene i formatori e le loro società, infatti sorte come funghi: questo dis-orientamento diffuso e spesso deleterio non può che dare origine a un bisogno tanto generalizzato da aprire un mercato enorme e soprattutto florido. Non ci si riferisce di certo a quei corsi sulle nuove tecnologie o simili, che puntano ad aumentare le nostre competenze da spendere immediatamente nel mercato del lavoro, attestando che una persona di notevoli capacità manuali ed esperienze dello stesso tipo potrebbe comandare macchine a controllo numerico, solo per aver partecipato ad un corso di poche ore. Non vi è alcun giudizio ma si tratta di piani diversi, che probabilmente non si toccano proprio!

Ad esempio, se sembra inderogabile l’ingresso dell’intelligenza artificiale in tutti gli ambiti, prepararsi all’utilizzo di questo nuovo e ineluttabile modo di fare non è biasimabile, diverso però se ci rivolgiamo a chi ci re-insegna le basi che dovremmo sapere da (quasi) sempre e aver applicato fino a noia. Esagerando un poco, solo per chiarezza, sarebbe come fare un corso per insegnare a ricordarci di respirare! Che non sia così? Evidentemente è necessario rifondare la cosa dalle basi, cioè dall’inizio -verrebbe da scrivere dalle fondamenta- e, se da soli non ci riusciamo, non resta che affidarsi a qualche sedicente “esperto” che ci riporti sulla retta via.

In realtà questi tuttologi, nella migliore delle ipotesi, ci possono indicare -o aiutare a scegliere- cosa dovremmo fare così che, nel caso più probabile (il mancato successo), avranno modo di giustificarsi, scaricando su di noi -poveri meschini- la causa del fiasco ottenuto. Il risultato, infatti, non può che latitare per la nostra cattiva applicazione del perfetto verbo. Non c’è e non può esserci alternativa.

L’insegnamento tipo è perciò quello che spiega -e convince- come alla domanda da dove si debba iniziare un’attività la risposta sia “dall’inizio”. Banale o rivoluzionario? La prima risposta è quella di chi non ha questo problema, perché da sempre si attiene a principi scontati, come lo sono quelli della convenienza. L’ultima appartiene a chi deve riordinare i propri modi di fare perché questi hanno perso la direzione cui erano rivolti…. prima di essere dirottati altrove. Involuzione è probabilmente il termine che meglio spiega questo fenomeno, non certo la vicina, più nota e abusata evoluzione.

Tra le azioni altrettanto rivoluzionarie potremmo indicare il riconsiderare l’uso delle cose con cui entriamo in contatto, per ritornare all’uso originario, ripulendolo dai “sovrasignificati” aggiuntisi nel tempo: l’automobile serve a spostarci, il telefono per comunicare a distanza e così via. Tanto scontato da non essere (nella realtà) più vero!

Se invece preferiamo rovesciare il discorso, non lavoriamo (solo) per pagare il mutuo e le bollette, il titolo di studio non può essere funzionale ai biglietti da visita e ancor meno ad avere uno stipendio più alto (visto, considerato e confrontato cosa prendono un laureato ed un carpentiere?).

Niente morale, che ha il suo valore -diverso per ognuno di noi- e che deve comunque essere rispettato, solo qualche spunto per ripartire… a marcia avanti, non imitiamo i gamberi, meglio osservarli, al limite mangiarli!

Il primo spunto non può che essere quello di cominciare da noi, evitando di cercare giustificazioni all’esterno, che peraltro non mancherebbero, e ci renderebbero tutto più semplice, anzi è facile il termine corretto. Ma se è colpa del mondo, del tempo, del governo, del coniuge, della sorte, dei poteri forti o simili, su cui -ovvio ma non per questo affermabile con leggerezza- non abbiamo alcuna influenza, come potremo migliorare la nostra condizione?

Semplice, anzi inequivocabile, non c’è modo: piaccia o non piaccia, non resta che giustificarsi e mettersi l’anima in pace. Staremo meglio? Solo se la nostra soddisfazione è quella della commiserazione da parte di chi ci sta vicino o addirittura di noi stessi, tramite l’autocommiserazione. In entrambi i casi, senza stabilire quale sia la peggiore, la consolazione è piuttosto magra, no? Eppure gli adepti a questa nuova religione sono in aumento. L’importante è che non arrivi il bambino a dire loro che il re è nudo, e quello scugnizzo potremmo (o dovremmo?) essere noi.

Il secondo è che in un mondo di uguali molti -ma non tutti!- sentono il bisogno di distinguersi, comprensibile se non condivisibile, però l’originalità fine a sé stessa non porta lontano. Guardiamo, ad esempio, questi cantanti che non sanno cantare e quei compositori che non sanno comporre, tutti dotati di livree ed atteggiamenti forzatamente “alternativi” che fanno il paio con la banalità dei loro prodotti.

Vogliamo confrontarli con chi davvero ha avuto la capacità di cambiare il mondo, e girava in banalissime giacca e cravatta? Inoltre, il corollario è che la distinzione non comporta nulla dal punto di vista qualitativo, anzi differenziarsi in meglio è tutt’altro che semplice, infatti, di solito ci si stacca dall’ordinario per fare peggio. Ne vale la pena? Oltretutto in un mondo di ipocriti nessuno ve lo farà notare direttamente.

Sicuramente il nostro giudizio potrebbe essere diverso ma se non riteniamo che il valore sia solo quello anzidetto qualche domanda dovremmo pur farcela! É un dato di fatto: questa presunta originalità spessissimo non è tale. Guardiamoli questi “artisti del vivere”, sono o non sono molto simili tra loro e ben classificabili in precisissime famiglie (di uguali) dal valore noto?

Un possibile terzo argomento è che se le cose succedono un motivo spesso, “ovviamente” non sempre, ci sarà. Discorso vastissimo, limitiamolo alle ricerche di personale. Come può essere che ovunque si cerchi qualcuno da assumere (spessissimo non specializzato) e moltissime siano le persone in cerca di occupazione, con buona pace dell’incontro -latitante- tra domanda ed offerta? Se i minimi sindacali non sono derogabili cosa possiamo dirci? Forse che chi quel lavoro lo fa da anni è un eroe, punta al paradiso o, scendendo sulla terra, ad una lapide in fabbrica. Ma potrebbe anche essere che stia in realtà facendo del volontariato in favore dell’imprenditore, che magari gira in elicottero. Ammettiamolo -a noi e a chi ci ascolta- a volte/tante volte facciamo un sacco di strada ma finiamo all’indirizzo sbagliato, anche utilizzando acclamati navigatori satellitari.

Buon quarto è la saggezza dei proverbi, specie quelli sui raccolti, che si narra siano proibiti a chi non ha seminato. Con buona pace (eterna) di chi vive l’attimo, non pianta alberi ma si lamenta della mancanza di verde, non paga contributi per la pensione ordinaria e men che meno l’integrativa per poi stupirsi di non riuscire a sopravvivere una volta uscito dal mondo del lavoro, non si assume alcun rischio o responsabilità e non comprende perché altri guadagnino di più.

Tutti capaci di rivendicare diritti e compensi ma abbiamo idea di cosa diamo -o saremmo in grado di dare- in cambio? Vogliamo approfondire? Sicuri ci convenga? Cosa/quanto saremmo disposti a dare a qualcuno che facesse per noi quello che è il nostro lavoro quotidiano e che noi facciamo per altri, lamentandoci per lo scarso compenso? Sicuramente non quello che vorremmo ricevere, e -ci scommetterei- nemmeno quanto riceviamo come compenso, che non riteniamo equo ma quasi offensivo?

La lista potrebbe continuare all’infinito, non c’è dubbio, ma non potrebbe che ribadire il concetto, a questo punto ultra noto. Diverso è il mettere in pratica tutto ciò, come sempre, ma in questo caso il sapore è diverso. Servono esempi tanto concreti da essere fattibili? Nulla di più facile, eccone alcuni.

Cominciamo con l’ascoltare -con la mente, non con l’orecchio- i politici: chi si tira contro qualche possibile elettore? Ovvio, questi -pubblicamente- sono solo contro i loro avversari, più probabile siano contro tutti, a cominciare dai loro colleghi -come attestano tutti coloro che hanno provato, in tutte le fazioni, a fare qualcosa dall’interno di qualche gruppo politico (ma anche solo di opinione)- per finire con noi… I nostri delegati rappresentano solo sé stessi, e ovviamente i loro interessi!

Conviene essere omertosi, quindi? Perfino la religione tuttora più diffusa nel nostro paese -fino a quando?- indica i peccati di cui scusarsi come pensieri, parole, opere e -appunto- omissioni. Perché non si dovrebbe fare ma è pratica diffusissima.

Cosa potremmo perciò suggerirci per effettuare reciprocamente qualche tentativo di auto-miglioramento?

Il tema è quello dell’ovvio, non c‘è dubbio (meglio scrivere “ovvio”?)! Perché il solo modo per venirne fuori è rimuovere queste finte certezze, poi, dopo aver fatto (liberato?) spazio sugli scaffali della mente sarà meno complesso stoccare nuovi principi (senza corona, è ovvio!).

Non dobbiamo però non considerare l’esatto contrario: è proprio la paura dello scontato ad aver avuto un ruolo in questo modus operandi che ci ha condotto al decadimento che ognuno di buon senso percepisce. Compresa la necessità di non generalizzare, ci è consentito una sorta di salto verso l’alto verso la comprensione del fenomeno se riusciamo a mettere insieme lo scontato e banale ovvio con la traslazione del significato con cui lo abbiamo rivestito per aumentarne il valore.

Ma allora, che sia l’autenticità il contrario di questo strano ovvio-poco-ovvio? Ricorda da vicino il tema della chiarezza, sbandierata ovunque, soprattutto proprio da coloro che non la applicano affatto. A proposito: lo fanno per incapacità o per un secondo fine? Il responso è sia ovvio che chiaro!

In attesa che, ad esempio, le automobili e le motociclette pensate per il fuoristrada abbandonino il nastro d'asfalto per imboccare sentieri e mulattiere, lasciando a noi normodotati le carreggiate stradali, ma anche che si inizino ad usare gli smartphone per dire qualcosa a qualcuno (non quindi per parlare senza scopo) possiamo ricordare come il nostro -di noi cosiddetti “occidentali”-modo di pensare derivi da quello dei greci. In primis il principio di non contraddizione, che in una civiltà non legata, come la nostra, all’immagine aveva tutto un altro sapore e spessore.

Spero di potermi ritenere esentato dal fare esempi e dal dare spiegazioni, non riesco però a non far notare come l’immagine della (nostra) società, del tutto sbilanciata sull’apparenza (che è una contraddizione di termini e sostanza), sia nettamente inferiore, per non scrivere che non ci può essere paragone, a quella di chi aveva tutt’altro rapporto con la realtà.