L'idea di fare interagire fra loro linguaggi artistici diversi non è nuova in sé e anche il teatro ci offre costantemente esempi di soluzioni sceniche ardite, servendosi delle tecnologie più svariate. Il progetto Nella pelle dell'artista, tuttavia, nato a Milano dall'incontro fra gruppi di giovani impegnati in diversi campi artistici, recupera l'aspetto più artigianale fra le tante interazioni possibili, in quanto coniuga lo spettacolo teatrale con la pittura ma anche con i laboratori, gestiti da docenti, oppure direttamente dalle gallerie dove avvengono le rappresentazioni. Perciò, gli spettatori non assistono soltanto a una performance, ma possono accedere alla fucina dell'artista protagonista del copione andato in scena, entrando così in relazione con le sue tecniche, il suo modo di trattare il colore piuttosto che l'argilla, il collage e altro. Il testo, tuttavia non è un semplice supporto, ma conserva una propria autonomia. Sono sempre dei corti della durata massima di 35 minuti che si possono allungare a seconda delle scelte di regia.
Come è nato questo progetto? Lo chiedo a Luigi Genna che ne è stato l'ideatore: “Il ciclo di eventi, accompagnato dal nome del maestro delle arti visive celebrato durante la giornata, nasce con l'intento di portare l'Arte fuori dal classico contesto museale, fuori dai luoghi deputati e dal giro consueto di conoscenze consolidate. Tutto questo perché il metodo di fruizione dell'arte utilizzato, come un mantra, in Italia, tranne rare eccezioni, è prolisso, auto celebrativo e didascalico; risulta così di difficile comprensione per chi non è un appassionato. Questi atteggiamenti, a nostro avviso tendevano, e tendono, ad allontanare il pubblico. L'Arte in genere spesso è vissuta o come un gioiello che alcuni possono permettersi o come una piccola tortura da fare. Questo progetto tende a rompere questa sfera e a portare l'arte nella quotidianità, a farlo in modo pratico, veloce, facilmente comprensibile con un linguaggio diretto e non inusuale per il visitatore; come uno story telling tra amici ad un aperitivo. Il tutto insaporito dalla bravura teatrale dell'associazione che segue la parte recitativa e scenografica, cioè l'Associazione Culturale Fandabu.”
L'Associazione citata da Genna è il secondo pilastro portante di questa serie di eventi: formata da giovani attori e registi, si occupa di tutti gli aspetti della messa in scena dei copioni. L'originalità del progetto sta anche nell'andare controcorrente rispetto al consumo di massa di eventi che richiedono addirittura mesi di prenotazioni anticipate. La fruizione di un'opera d'arte necessita dello stato d'animo giusto e questo implica libertà d'approccio e anche una quantità limitata di presenze e quella distanza prossemica che permette la meditazione non la semplice visione. Naturalmente la cultura di massa ha le sue esigenze, che vanno rispettate, ma potere affiancare ai suoi riti anche momenti di fruizione più appartati come nel caso di questa rassegna, è senz'altro un'ottima idea. Il titolo mi incuriosisce e chiedo ancora una volta a Luigi Genna le ragioni di tale scelta: “L'idea è di portare il visitatore all'interno della vita del maestro, ma non come fosse un racconto asettico, schematico e lontano dal visitatore; volevamo proprio che come serpenti si potesse vestire - da qui il nome - la pelle dell'artista, assaporando le logiche psicologiche, il contesto storico, le movimentazioni interne, le scoperte, le peculiarità sia positive che negative. Nell'assecondare tutto questo, l'Artè, il laboratorio delle Arti a Milano è stato ed è un attore poliedrico dell'iniziativa: valido palcoscenico, punto di incontro tra arte e quotidianità, punto di aggregazione, grande ospite e molto altro ancora.”
Lo specifico teatrale
Veniamo ai copioni. Ne sono stati scritti e già rappresentati quattro nella galleria Artè e verranno riproposti in altri luoghi non canonici: ludoteche, circoli, ristoranti che offrono ai loro clienti momenti di intrattenimento, teatri. Gli artisti presi in considerazione sono: Vincent Van Gogh, Salvador Dalì, Pablo Picasso e Juan Miro, quest'ultimo pensato e dedicato in modo particolare ai bambini e curato in ogni suo aspetto (dalla stesura del copione alla regia) da Chiara Di Marco. Mi piace focalizzare l'attenzione, in particolare, sul primo di questi spettacoli e cioè quello dedicato a Vincent Van Gogh che verrà riproposto a fine mese o agli inizi di aprile. La regia è di Laura Vanacore che afferma: “ho voluto far affiorare la sua doppia personalità, molto forte e contrastante sia nel suo carattere che nei suoi quadri. Egli soffriva di una rara malattia ereditaria che con il tempo gli provocava sempre più attacchi improvvisi di schizofrenia intervallati da momenti di benessere. Ho voluto sdoppiare le sue due personalità e immaginare che i due momenti di questa malattia potessero coesistere.”
Il copione è stato scritto da Angela Coviello: “Sono partita dall'idea registica di utilizzare due Van Gogh in scena: il figlio del pastore calvinista, che forse avrebbe voluto seguire le orme del padre, e l'artista più dionisiaco. La vita del pittore scorre attraversando la sua opera, nel testo compaiono delle figure femminili che si modellano a seconda del periodo. Il suo amore infelice con la cugina Kee, nel momento più oscuro della sua vita, quando la tavolozza è piena di colori tenebrosi e l'artista vive a contatto coi minatori (I mangiatori di patate); poi la donna-madre Madame Roulin, durante il periodo dei ritratti ad Arles, in Provenza, con la tavolozza che si schiarisce; poi la prostituta Rachele (nel periodo in cui Gauguin arriva ad Arles, e Vincent dipinge Girasoli a iosa). È lei a ricevere l'orecchio di Vincent impacchettato. La figura femminile è l'emblema dell'opera d'arte che domina l'artista e uomo Van Gogh e lo conduce al suicidio. L'opera diventa così l'unico oggetto di desiderio dell'artista nella produzione conclusiva, da La notte stellata dipinta in manicomio a Saint Remy fino a Campo di Grano con Corvi.”
Pensando a quanto appena affermato da Angela Coviello, mi sembra di poter dire che in tutti i copioni della rassegna, l'importanza e anche la tragicità della presenza femminile nella vita e nell'opera di questi pittori è centrale e determinante, con la sola eccezione di Miro, fra tutti il più solare. Gli altri, divorati dalle loro donne come Van Gogh, oppure divoratori come Picasso, infine, come Dalì, sospesi fra diverse e contrastanti pulsioni; tutti incapaci di avere un rapporto equilibrio con la donna. Van Gogh, però, è prima di tutto la forza dei sui colori. “Sì” mi risponde Laura Vanacore: “Ho indagato molto sul loro utilizzo e anche delle tecniche diverse utilizzate. Dai suoi quadri, così diversi che sembrano a volte fatti da più pittori, si percepisce chiaramente il cambio di personalità nei vari momenti della sua vita. Dal giallo dei suoi girasoli che lo ossessionava al verde e il blu che lo tranquillizzava e gli ricordava il fratello Theo e infine il rosso. Ognuno di questi colori rappresenta un momento particolare della sua vita e ho cercato di rappresentarli tutti nello spettacolo che mettiamo in scena.”
Nella pelle dell'artista si arricchirà di altri copioni e altri artisti, ma le iniziative del gruppo non si limitano a questo. Lo chiedo di nuovo a Luigi Genna: “Tra i prossimi progetti ci sono Salotto D'artista – ricostruzione di un salotto di altri tempi dove ci si scambia idee, curiosità e impressioni sull'arte in genere; dove il viver gentile di ogni artista e pensatore da la possibilità di confrontarsi con gli altri: parlando, mostrando, ascoltando, recitando, cantando e molto altro. Infine, Borsa di studio d'Arte che ha l'interno di raccogliere fondi da donare a un giovane volonteroso dell'arte, in modo che possa approfondire per un periodo di un anno le peculiarità che una giuria artistica polivalente reputerà meritevoli di nota, grazie all'iscrizione gratuita ad uno o più corsi d'arte e alla supervisione di un tutor artistico. In questa fase siamo alla ricerca di sostenitori, anche economici.”
Quello che vorrei sottolineare, nelle conclusioni, è che l'attività di gruppi che un tempo si sarebbero definiti di base, è particolarmente presente nella città di Milano e nel suo hinterland. Tutti questi collettivi e associazioni, sebbene non sempre consapevolmente, si muovono sul territorio cercando di uscire dalle secche della rivendicazione pura e semplice nei confronti di un potere pubblico (specialmente a livello governativo centrale), che sta umiliando da anni la cultura, così come dalla ricerca spasmodica e spesso frustrante di fare aprire in qualche modo le porte della grandi istituzioni. La ricerca di spazi alternativi, iniziative a costi bassi ma che sappiano coinvolgere pubblico e creare un tessuto vivo vivace di iniziative culturali, è una delle tante risposte possibili alla rassegnazione. L'associazionismo svolge, in questo contesto un ruolo importante, ed è auspicabile che questo movimento informale si diffonda il più possibile.
Per maggiori informazioni sul ciclo: newsarte@coremod.it