I protagonisti di queste righe sono pittori, cominciamo dunque con i loro ritratti. L’artista che li dipinge a parole è Giorgio Vasari nell’eternamente fascinoso Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri pubblicato a Firenze nel 1568, aggiornato e ampliato, dopo la prima edizione del 1550.
Ecco Jacopo Carucci detto il Pontormo, nato a Pontorme, vicino a Empoli, il 24 maggio del 1494: “Ebbe il Puntormo di bellissimi tratti, e fu tanto pauroso della morte, che non voleva, non che altro, udirne ragionare, e fuggiva l’avere a incontrare morti. Non andò mai a feste, né in altri luoghi dove si ragunassero genti, per non essere stretto nella calca e fu oltre ogni credenza solitario. Alcuna volta, andando per lavorare, si mise così profondamente a pensare quello che volesse fare, che se ne partì senz’avere fatto altro in tutto quel giorno che stare in pensiero”.
Ed ecco Giovan Battista di Jacopo detto il Rosso, nato a Firenze nella parrocchia di San Michele Visdomini, l’8 marzo 1494: “Con ciò sia che il Rosso era oltra la virtù, dotato di bellissima presenza; il modo del parlar suo era molto garbato e grave; era bonissimo musico et aveva ottimi termini di filosofia, e quel che importava più che tutte l’altre sue bonissime qualità, fu che egli del continuo nelle composizioni delle figure sue era molto poetico, e nel disegno fiero e fondato, con leggiadra maniera e terribilità di cose stravaganti, et un bellissimo compositore di figure”.
Diversi di temperamento e dal talento eccezionale, secondo il Vasari, “fra le voci più originali dell’intera storia dell’arte occidentale e capisaldi assoluti della pittura del Cinquecento”, secondo Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi, e Carlo Falciani, docente di Storia dell’arte, curatori della mostra Pontormo e Rosso fiorentino. Divergenti vie della “maniera” aperta fino al 20 luglio a Palazzo Strozzi.
Pontormo e Rosso “sono uguali nella volontà d’innovazione, nella spregiudicatezza intellettuale, nell’anticonformismo e nella capacità di rispondere a tempi turbati e complessi con una lingua figurativa d’altissimo tenore poetico - spiegano Natali e Falciani -. Sono diversissimi nella specificità di quella lingua, a partire dai maestri di riferimento, eccettuato Andrea del Sarto che fu loro comune mentore”. A vent’anni i due artisti trovarono, ognuno da par suo, una maniera di dipingere inconfondibile. “La brusca sterzata rispetto al classicismo d’inizio Cinquecento, di stampo raffaellesco, ma anche rispetto alla pittura ritenuta da Vasari senza errori di Andrea del Sarto - proseguono Natali e Falciani -, avviene intorno al 1514 e quella nuova maniera venne portata avanti da entrambi i pittori in modo autonomo e differente”.
Pontormo fu debitore di Leonardo, attratto da Dürer, lavorò per i Medici, visse sempre a Firenze, spesso barricato in casa e talvolta negandosi anche al caro amico Agnolo di Cosimo detto il Bronzino con il quale era solito desinare e cenare, “15 domenica fu picchiato da Bronzino e poi el dì da Daniello; non so quello che volessino” annotò nel Diario.”Fatto nel tempo che dipingeva il coro di San Lorenzo” (1554-1556). Diario che documenta le giornate di un uomo davvero singolare: “Giovedì feci un braccio. Venerdì l’altro braccio. Sabato quella coscia di quella figura che sta così. Lunedì cominciai quel braccio di detta figura che sta così - e la sera cenai once 10 di pane, huova e pisegli. Martedì quello altro braccio. 22 mercoledì el torso, e giovedì, che fu l’Ascensione, desinai con Bronzino e la sera con Daniello. Venerdì quella coscia; once diece di pane, uno pesce d’uovo e finii la figura”.
Il Rosso, mago e cabalista, guardò invece alla tradizione figurativa del Quattrocento di Masaccio e Donatello, lavorò per le famiglie aristocratiche nemiche dei Medici, fu un gran viaggiatore ed emigrò Oltralpe dove morì nel 1540, a Fontainebleau, dopo dieci anni gloriosi da pittore di corte, riverito e ben remunerato, lasciando scolorire, fra feste e agi, la fede savonaroliana e le convinzioni repubblicane che l’avevano animato in patria. Racconta il Vasari: “Gli era già venuto capriccio volere finire la sua vita in Francia e levarsi da questa miseria e povertà, perché lavorando gli uomini in Toscana e ne’ paesi dove e’ sono nati, si mantengono sempre poveri. Ma per meglio comparire fra que’ barbari, cercò farsi insegnare la lingua latina, la quale imparò benissimo”.
Con ottanta opere (divise in dieci sezioni), molte delle quali di un’intensa, sconvolgente bellezza, introdotte dagli scritti chiari ed eleganti dei curatori, il visitatore di Palazzo Strozzi può passare un po’ di tempo nella civiltà, come se vivesse nell’Italia che vorremmo. Un tempo meraviglioso, pieno di pathos: Pontormo e Rosso sono implacabili nell’immortalare la complessità e la drammaticità della vita. “I soggetti religiosi del Pontormo sono quelli della tradizione, ma vengono reinterpretati attraverso forme autonome e una soggettività che lo porterà a dipingere in modo del tutto eccentrico soggetti usuali come la Visitazione - aggiungono Natali e Falciani -. Il Rosso seguendo invece l’insegnamento del Savonarola dipinse come tema ricorrente il Cristo morto esprimendo una religiosità potente e austera. Tuttavia seppe anche adeguarsi ai desideri e alla cultura di una corte come quella francese per la quale dipinse soggetti profani con una forma pittorica ricca di decorazione e innovativa”.
La Visitazione di Carmignano, forse l’opera più celebre del Pontormo, restaurata per l’occasione, rivela adesso piccole figure che erano state sepolte dall’ingiuria dei secoli e, più che mai, la potenza della femminilità. Nel movimento circolare, quasi un girotondo solenne, che avvicina Maria, madre di Gesù a Sant’Elisabetta, madre di San Giovanni Battista e alle loro alter ego senza aureola, negli sguardi delle quattro donne, sembra essere racchiuso il destino del mondo.
Scrisse nel suo Diario il Pontormo:“[…] credo che gl’avenissi che el fredo non fu di genaio e sfogossi in questa luna di marzo, che si sentiva un fredo velenoso sordo combattere con l’aria rinfocolata da la stagione de’ giorni grandi, che era come sentire frigere el fuoco ne l’acqua, tal che io sono stato con gran paura”. Lo stesso clima insincero dell’anno 2014.