La UEFA cambia un menù da cui subito si percepisce un forte sapore di compromesso: una crasi tra le esigenze dell’élite sostenitrice della Superlega ed un’agenda UEFA che promette inclusività e visibilità anche per i club più piccoli. Due match in più – che tuttavia avranno conseguenze sull’infermiera dei club – ed addio ai gironi con Real Madrid-Qarabag all’ultima ininfluente giornata, benvenuti invece i big match che l’audience spesso attendeva dagli ottavi a seguire.
Le motivazioni sono quelle condotte dalla Superlega di cui il presidente blanco Florentino Perez si era fatto portavoce nel 2021: necessità di ricevere sia maggiori introiti che maggior attenzione dalla generazione Z, annoiati da lunghi 90 minuti e sempre più esclusivamente riversati sugli highlights da 3 minuti scarsi. Partite dove i cosiddetti giovani d’oggi non si sentono più prevalentemente legati alla vittoria o meno della propria squadra del cuore, bensì dalla presenza del campione e dell’icona a cui si ispirano (in tal senso Mbappè proprio al Real di Florentino Perez non è solo un acquisto puramente tecnico, in una squadra per altro già colma di campioni, bensì anche un atto di marketing).
Quindi, come tentare di assicurarsi l’attenzione presente e futura dei ragazzi nei confronti del calcio che conta? Offrendo loro ciò che desiderano: i campioni. Dove si trovano i tanto seguiti campioni? Nelle grandi squadre.
Viene dunque necessariamente eliminato il principio per cui le squadre detentrici dei rispettivi campionati nazionali non possono affrontarsi fino eventualmente a febbraio – la famosa prima fascia – a favore dell’introduzione di partite di cartello già nella prima fase: ecco quindi Inter-Manchester City, Real Madrid-Liverpool e Bayern Monaco-PSG già entro dicembre.
Tuttavia, saranno incroci diretti in casa di una delle due società e non prevederanno una gara di ritorno; perché sì, bello Mbappè contro Salah, ma assistere a questo scontro per una seconda volta a distanza di poche settimane avrebbe perso l’elemento di attesa e novità.
La parola chiave per l’attuale edizione della Champions League diventa quindi proprio novità nei format (modello NBA come linea guida con tanto di playoff), nei contenuti e nello spettacolo, un po' come quando scrolliamo il telefono alla ricerca di contenuti che ci destino determinate emozioni – tra cui la sorpresa – e catturino la nostra attenzione, possibilmente per più di qualche secondo.
Una volta parzialmente placati gli animi dei grandi club in orbita Superlega, l’UEFA doveva individuare delle soluzioni anche per i club più piccoli, concretizzando le promesse di inclusività e sostenibilità per tutti. Ecco dunque che il numero di club si allarga democraticamente da 32 a 36, ma con 9 partite che coinvolgeranno club di quarta fascia e di conseguenza di scarsa attrattiva per il grande pubblico.
Il bacino d’utenza calciofilo avrà sì un numero maggiori di match da guardare e già big match come antipasto, ma il livello tecnico generale e quindi la spettacolarità non si sono qualitativamente alzati, anzi. Nel calcio l’inclusività è strettamente legata alla competitività: i maggiori introiti dei club provengono dai diritti televisivi e solo i top cinque campionato europei - Inghilterra, Spagna, Germania, Italia e Francia- godono in maniera significativa di questo privilegio (con la Serie A comunque lontanissima dalla Premier League a livello di incassi tv).
Il divario economico tra le Federazioni e quindi il gap tecnico tra i club, specie a sfavore di quelli dell’est Europa, sarà forse ancora più evidente in questa edizione di Champions, nella speranza che alcune partite non appaiano quasi goliardiche. Manca poco per scoprirlo: si comincia tra qualche giorno e la data da cerchiare sul calendario è martedì 17 settembre. Impossibile accontentare tutti, ma l’augurio è che la nuova Champions rappresenti una soluzione immediata per i problemi del mondo dell’intrattenimento del calcio.
Buona Champions a tutti.