L'uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza aver mai provato. Ma che valore può avere la vita se la prima volta è già la vita stessa?

(Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere)

A G. Conte elabora una sorta di “iconologia” della regolarità, ma nel far ciò non affronta e non prova a risolvere (o meglio a: contestualizzare) il problema sommamente filosofico della trasformazione dell’iterazione in regolarità e della regolarità in regola, concentrandosi la sua indagine di solito nella chiarificazione del linguaggio e nella definizione del tema. La prospettiva di A. G. Conte è così radicalmente fenomenologica che non viene affrontato pienamente il tema della metanoia fra uno status e un altro dentro la fenomenologia data.

Rileggiamo il prezioso saggio numerando i suoi passaggi:

1) Conte individua quattro significati di regolarità in rapporto al concetto di norma.

2) Conte distingue fra mondo della regola e mondo della regolarità, spezzando giustamente ogni deduttività fra di essi in quanto solo la regola si mostra come deontica mentre la regolarità non esce dal limite della prassi e dell’osservazione empirica;

3) Ciò è corretto in quanto fra regola e regolarità appare uno iato incolmabile dato dal senso di “doverosità” proprio del concetto di regola e del tutto assente nel concetto di regolarità ed equivalente allo iato che si presenta fra “validità” ed “efficacia”. Una regola può essere valida o non valida, efficace e non efficace; mentre una regolarità non può essere valutata in termini di validità o non validità; ma è efficace per sua natura: se esiste è efficace: è un fatto.

4) Conte implicitamente dice: ad ogni regola si accompagna una regolarità, quale suo ambito fisiologico e di senso inscindibile, ma non ad ogni regolarità una regola. Il rapporto non è biunivoco.

5)Coincidenza di “regolarità” ed efficacia; ergo ogni regola ha la sua efficacia, il suo ambito pragmatico.

6) I quattro sensi di “regolarità rispetto alla regola”:

  1. nomonomica (simile alla causa finale).
  2. nomoforica (concetto di verifica e controllo).
  3. nomotropica (concetto di interdipendenza, di sinergia, di olismo simbolico).
  4. nomologica (concetto di regolarita’ anomica, senza regole, definibile in negativo) non è regolarità di esercizio (si presuppone una capacità) di una regola ma regolarità di accadimento di meri eventi (senza capacità pregressa).

Giustamente Conte distingue fra possibile conoscenza della regolarità (quale oggetto di osservazione) e possibile conoscenza attraverso la regolarità (abduzione di norme dalla regolarità). Ne nasce un paradosso in merito al rapporto fra queste due distinte possibilità gnoseologiche:

1)Come facciamo ad essere sicuri che la regolarità che osserviamo non sia da noi generata per abduzione?

2)Come tenere aperta questa distinzione nell’ atto pratico di conoscenza di un’iterazione di eventi? Stiamo classificando e osservando o generando “regolarità” da iterazioni? Non sussistono criteri discretivi esterni all’osservatore e alla iterazione stessa!

In altre parole: che rapporto sussiste fra iterazione/regolarità/regola?

Non possiamo osservare o generare una regolarità senza una previa iterazione di accadimenti? È un passaggio da fenomeni di quantità nel tempo a qualificazioni sempre più vaste e distinte? Ma anche per definire “iterazione” una serialità di accadimenti devo qualificarne più di uno in termini di qualità ed identità. Come ci si trasla dalla quantità alla qualità? Oltre a ciò più che fine di conoscenza la tripartizione di senso delle regolarità nomiche appare seguire un intento classificatorio di fenomeni già conosciuti. Un altro problema insiste nel postulato che usa Conte quando insiste nel pensare che possano esistere regolarità “neutre”! Ogni regolarità, per suo nome e per sua natura, presenta un inizio di osservazione e un momento finale cioè un contesto e dei presupposti quindi nessuna regolarità è neutra; la regolarità “neutra” è la regolarità non vista! La regolarità è un’iterazione più “regolare”? O è vista così da noi nel suo prolungarsi nel tempo(diuturnitas)?

La ripetizione quantitativa di una valutazione di identità di un fatto ricorrente ne genera una nuova tipologia (la regolarità) in termini di sistema (il sistema dei fatti che si ripetono nel tempo) E infine genera anche una nuova qualità del sistema: l’insieme dei fatti che si ripetono e che “debbono” ripetersi; cioè l’insieme dei fatti ricorrenti la cui ripetizione è posta quale valore. Con Hume possiamo dire che l’hoc post hoc genera un hoc propter hoc? Siamo sempre dentro sostanzialmente al paradosso circolare della genesi di ogni consuetudine dove l’opinio iuris ac necessitatis è sua volta una consuetudine? Ogni consuetudine (regolarità deontica) contiene in se una regolarità di osservazioni e di atti ascrittivi. (fenomeno simbolico e gnoseologico). Il saggio “Kanon” non affronta la questione di che si tipo di regolarità stiamo trattando e di che tipo di regola stiamo trattando, ma opera per “assoluti” nominalistici. La regolarità rispetto all’iterazione reca sempre in sé una regola ascrittiva sul valore prevedibile ed affidabile della ripetizione di un’identità (non mero accadimento, ma identità).

La “regola” poi aggiunge al canone implicito ascrittivo un orientamento prescrittivo per il futuro il quale è anche ascrizione di valore nel tempo della regolarità passata e presente. Il valore aggiunto della regolarità rispetto all’iterazione è una costruzione di senso e così analogamente fra regolarità e regola. Certamente fra regolarità e regola si aggiunge un nuovo senso ulteriore: una previsione per il futuro, un “anticipazione” che è giudizio di valore verso il futuro, indipendente dalle future iterazioni. La genesi del valore maggiore del concetto di regolarità rispetto a quello di iterazione e del concetto di regola rispetto a quello di regolarità insta nel valore intrinseco del “ritorno” rispetto ad un mero effimero “esserci”. Ciò che può essere visto come un qualcosa che “ritorna” acquista un maggiore valore relazionale in quanto permette nuovi miti e nuovi valori: “scambio” e “previsione”. Basta studiare il linguaggio per entrare dentro il mistero del dover-essere che Conte ci ricorda darsi quale: chiamata all’essere?

Chiamare genere un’aspettativa. Ancora un ritorno…

Il tema è sempre questo: la genesi del valore. Da dove viene il movimento? E il senso? Su cosa si fonda il nesso causale? È solo una scaturigine contestuale? È un processo? Non basta la ripetizione per generare valore anche se la quantità può influire sulla qualità e anche se la ripetizione sembra generare già un primo embrionale contesto relazionale e sempre più intensivo, come l’immagine delle relazioni dei nodi di Laing suggerisce.

Il valore è una semplice modulazione individualizzante del tessuto dello spaziotempo tale da inarcare il linguaggio, da modificare le aspettative? Il diritto sorge dal conflitto fra differenti esperienze di sè e del proprio ambito d’influsso. Sorge dalla guerra fra differenti relazioni che più soggetti hanno con sè stessi e con la propria percezione del proprio mondo. Appare dalla tensione fra il sub-jectum e l’obiezione dell’ob-jectum e specie di quell’ob-jectum che è la soggettitività altrui che ancora di più ci mette in discussione.